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IL " PIANO BRITANNIA " E IL SACCO D' ITALIA
Di Reporter
Era
 il 1992, all’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava 
sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era 
stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema 
politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva 
potuto scalfirlo. Né le denunce, né le proteste popolari
(talvolta
 represse nel sangue), né i casi di connivenza con la mafia, che di 
tanto in tanto salivano alla cronaca. Ma ecco che, improvvisamente, il 
sistema crollava.
Cos’era
 successo da fare in modo che gli italiani potessero avere, 
inaspettatamente, la soddisfazione di constatare che i loro sospetti 
sulla corruzione del sistema politico erano reali? Mentre l’attenzione 
degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo 
italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del 
paese. Con l’uragano di “Tangentopoli” gli italiani credettero che 
potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia. Ma in segreto, il 
governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del 
paese. Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà
 messa in vendita. La svendita venne chiamata “privatizzazione”. 
Anni
 dopo, l’ex ministro Scotti confesserà a Cirino Pomicino: “Tutto nacque 
da una comunicazione riservata fattami dal capo della polizia Parisi 
che, sulla base di un lavoro di intelligence svolto dal Sisde e 
supportato da informazioni confidenziali, parlava di riunioni 
internazionali nelle quali sarebbero state decise azioni destabilizzanti
 sia con attentati mafiosi sia con indagini giudiziarie nei confronti 
dei leaders dei partiti di governo”. Una delle riunioni di cui parlava 
Scotti si svolse il 2 giugno del 1992, sul panfilo Britannia , in 
navigazione lungo le coste siciliane.
Sul
 panfilo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere 
anglo-americana, come i reali britannici e i grandi banchieri delle 
banche a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle 
privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers). In 
quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca 
d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne
 un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione 
parteciparono anche diversi italiani, come Mario Draghi, allora 
direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni 
Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Galli. Gli intrighi
 decisi sulla Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di 
mettere le mani sul 48% delle aziende italiane, fra le quali c’erano la 
Buitoni, la Locatelli, la Negroni, la Ferrarelle, la Perugina e la 
Galbani. La stampa martellava su “Mani pulite”, facendo intendere che da
 quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti. Nel giugno 1992 si 
insediò il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in 
armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. 
Infatti, Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a 
consultare il centro del potere finanziario internazionale: le tre 
grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon 
Brothers. Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali in 
Società per Azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale 
che l’élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare. 
L’inizio fu concertato dal Fondo Monetario Internazionale, che, come 
aveva fatto in altri paesi, voleva privatizzare selvaggiamente e 
svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio 
economico-finanziario dell’élite. L’incarico di far crollare l’economia 
italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite 
informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune 
autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di
 molte aziende italiane. Soros ebbe l’incarico, da parte dei banchieri 
anglo-americani, di attuare una serie di speculazioni, efficaci grazie 
alle informazioni che egli riceveva dall’élite finanziaria. 
Egli fece attacchi speculativi degli hedge funds per far crollare la lira. 
A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni. Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia. La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest’ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l’Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell’Europa e dell’Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa. In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul Financial Times, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L’accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani. La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà: Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell’economia produttiva e l’esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l’Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico. Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell’ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un’inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L’attacco speculativo di Soros, gli aveva permesso di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l’attacco, l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di dollari. Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete. Spiegano il Presidente e il segretario generale del “Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà”, durante l’esposto contro Soros: È stata… annotata nel 1992 l ‘esistenza… di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros conGerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell’apparato della Banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria “Goldman Sachs & co.” come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig. Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della “Albertini e co. SIM” di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del “Quantum Fund” di Soros. III.
A causa di questi attacchi, il 5 novembre del 1993 la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni. Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia. La Rothschild Italia Spa, filiale di Milano della Rothschild & Sons di Londra, venne creata nel 1989, sotto la direzione di Richard Katz. Quest’ultimo diventò direttore del Quantum Fund di Soros nel periodo delle speculazioni a danno della lira. Soros era stato incaricato dai Rothschild di attuare una serie di speculazioni contro la sterlina, il marco e la lira, per destabilizzare il sistema Monetario Europeo. Sempre per conto degli stessi committenti, egli fece diverse speculazioni contro le monete di alcuni paesi asiatici, come l’Indonesia e la Malesia. Dopo la distruzione finanziaria dell’Europa e dell’Asia, Soros venne incaricato di creare una rete per la diffusione degli stupefacenti in Europa. In seguito, i Rothschild, fedeli al loro modo di fare, cercarono di far cadere la responsabilità del crollo economico italiano su qualcun altro. Attraverso una serie di articoli pubblicati sul Financial Times, accusarono la Germania, sostenendo che la Bundesbank aveva attuato operazioni di aggiotaggio contro la lira. L’accusa non reggeva, perché i vantaggi del crollo della lira e della svendita delle imprese italiane andarono agli anglo-americani. La privatizzazione è stata un saccheggio, che ancora continua. Spiega Paolo Raimondi, del Movimento Solidarietà: Abbiamo avuto anni di privatizzazione, saccheggio dell’economia produttiva e l’esplosione della bolla della finanza derivata. Questa stessa strategia di destabilizzazione riparte oggi, quando l’Europa continentale viene nuovamente attratta, anche se non come promotrice e con prospettive ancora da definire, nel grande progetto di infrastrutture di base del Ponte di Sviluppo Eurasiatico. Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo. Nell’ottobre del 1995, il presidente del Movimento Internazionale per i Diritti Civili-Solidarietà, Paolo Raimondi, presentò un esposto alla magistratura per aprire un’inchiesta sulle attività speculative di Soros & Co, che avevano colpito la lira. L’attacco speculativo di Soros, gli aveva permesso di impossessarsi di 15.000 miliardi di lire. Per contrastare l’attacco, l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, bruciò inutilmente 48 miliardi di dollari. Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete. Spiegano il Presidente e il segretario generale del “Movimento Internazionale per i Diritti Civili – Solidarietà”, durante l’esposto contro Soros: È stata… annotata nel 1992 l ‘esistenza… di un contatto molto stretto e particolare del sig. Soros conGerald Carrigan, presidente della Federal Reserve Bank di New York, che fa parte dell’apparato della Banca centrale americana, luogo di massima circolazione di informazioni economiche riservate, il quale, stranamente, una volta dimessosi da questo posto, venne poi immediatamente assunto a tempo pieno dalla finanziaria “Goldman Sachs & co.” come presidente dei consiglieri internazionali. La Goldman Sachs è uno dei centri della grande speculazione sui derivati e sulle monete a livello mondiale. La Goldman Sachs è anche coinvolta in modo diretto nella politica delle privatizzazioni in Italia. In Italia inoltre, il sig. Soros conta sulla strettissima collaborazione del sig. Isidoro Albertini, ex presidente degli agenti di cambio della Borsa di Milano e attuale presidente della “Albertini e co. SIM” di Milano, una delle ditte guida nel settore speculativo dei derivati. Albertini è membro del consiglio di amministrazione del “Quantum Fund” di Soros. III.
L’attacco
 speculativo contro la lira del settembre 1992 era stato preceduto e 
preparato dal famoso incontro del 2 giugno 1992 sullo yacht “Britannia” 
della regina Elisabetta II d’Inghilterra, dove i massimi rappresentanti 
della finanza internazionale, soprattutto britannica, impegnati nella 
grande speculazione dei derivati, come la S. G. Warburg, la Barings e 
simili, si incontrarono con la controparte italiana guidata da Mario 
Draghi, direttore generale del ministero del Tesoro, e dal futuro 
ministro Beniamino Andreatta, per pianificare la privatizzazione 
dell’industria di stato italiana. A seguito dell’attacco speculativo 
contro la lira e della sua immediata svalutazione del 30%, codesta 
privatizzazione sarebbe stata fatta a prezzi stracciati, a beneficio 
della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello 
stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. 
Stranamente, gli stessi partecipanti all’incontro del Britannia avevano 
già ottenuto l’autorizzazione da parte di uomini di governo come Mario 
Draghi, di studiare e programmare le privatizzazioni stesse. Qui ci si 
riferisce per esempio alla Warburg, alla Morgan Stanley, solo per fare 
due tra gli esempi più noti. L’agenzia stampa EIR (Executive 
Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida 
operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze 
parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di 
mettere in discussione l’intero procedimento, alquanto singolare, di 
privatizzazione. I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero
 Barucci, l’allora Direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora 
governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità 
vanno all’allora capo del governo Giuliano Amato e al Direttore Generale
 del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il
 doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli 
speculatori. Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo 
salariale non conveniente ai lavoratori, per la “necessità di rimanere 
nel Sistema Monetario Europeo”, pur sapendo che l’Italia ne sarebbe 
uscita a causa delle imminenti speculazioni. Gli attacchi all’economia 
italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il 
sistema economico- finanziario italiano non cadde sotto il completo 
controllo dell’élite. 
Nel
 gennaio del 1996, nel rapporto semestrale sulla politica informativa e 
della sicurezza, il Presidente del Consiglio Lamberto Dini disse: I 
mercati valutari e le borse delle principali piazze mondiali continuano a
 registrare correnti speculative ai danni della nostra moneta, 
originate, specie in passaggi delicati della vita 
politico-istituzionale, dalla diffusione incontrollata di notizie 
infondate riguardanti la compagine governativa e da anticipazioni di 
dati oggetto delle periodiche comunicazioni sui prezzi al consumo… è 
possibile attendersi la reiterazione di manovre speculative fraudolente,
 considerato il persistere di una fase congiunturale interna e le 
scadenze dell’unificazione monetaria. Il giorno dopo, il governatore 
della Banca d’Italia, Antonio Fazio, riferiva che l’Italia non poteva 
far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché 
“se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di 
fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la 
dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro 
capacità di fuoco”. Le nostre autorità denunciavano il potere dell’élite
 internazionale, ma gettavano la spugna, ritenendo inevitabili quegli 
eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma 
nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli 
attacchi destabilizzanti dell’élite anglo-americana. 
Il
 Movimento Solidarietà fu l’unico a denunciare quello che stava 
effettivamente accadendo, additando i veri responsabili del crollo 
dell’economia italiana. Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà 
svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul
 Britannia e quello che ne era derivato. Il 6 novembre 1993, l ‘allora 
presidente del Consiglio, Carlo Azeglio Ciampi scrisse una lettera al 
procuratore capo della Repubblica di Roma, Vittorio Mele, per avviare 
“le procedure relative al delitto previsto all’art. 501 del codice 
penale (“Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o 
nelle borse di commercio”), considerato nell’ipotesi delle aggravanti in
 esso contenute”. Anche a Ciampi era evidente il reato di aggiotaggio da
 parte di Soros, che aveva operato contro la lira e i titoli quotati in 
Borsa delle nostre aziende. Anche negli anni successivi avvennero altre 
privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore. Che stesse 
cambiando qualcosa, gli italiani lo capivano dal cambio di nome delle 
aziende, la Sip era diventata Telecom Italia e le Ferrovie dello Stato 
erano diventate Trenitalia. Il decreto legislativo 79/99 avrebbe 
permesso la privatizzazione delle aziende energetiche. Nel settore del 
gas e dell’elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 
300. Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una 
S.p.a. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono
 aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con 
contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli 
rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio. Le 
nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo
 che si doveva “risanare il bilancio pubblico”, ma non specificavano che
 si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote 
che valevano come la carta straccia. 
A
 guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori 
già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e 
pochi altri). Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la 
gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono 
verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai 
cittadini italiani. Le nostre aziende sono state svendute ad 
imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell’élite finanziaria, 
da cui ricevevano le somme per l’acquisto. La privatizzazione della 
Telecom avvenne nell’ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di 
euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi. La società fu 
rilevata da un gruppo di imprenditori e banche., e al Ministero del 
Tesoro rimase una quota del 3,5%. Il piano per il controllo di Telecom 
aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del Gruppo Bancario 
americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank. 
Alla fine del 1998, il titolo aveva perso il 20% (4,33 euro). Le banche 
dell’élite, la Chase Manhattan e laLehman Brothers, si fecero avanti per
 attuare un’opa. Attraverso Colaninno, che ricevette finanziamenti dalla
 Chase Manhattan, l’Olivetti diventò proprietaria di Telecom. L’Olivetti
 era controllata dalla Bell, una società con sede a Lussemburgo, a sua 
volta controllata dalla Hopa di Emilio Gnutti e Roberto Colaninno. Il 
titolo, che durante l’opa era stato fatto salire a 20 euro, nel giro un 
anno si dimezzò. 
Dopo pochi anni finirà sotto i tre euro. 
Nel
 2001 la Telecom si trovava in gravi difficoltà, le azioni continuavano a
 scendere. La Bell di Gnutti e la Unipol di Consorte decisero di vendere
 a Tronchetti Provera buona parte loro quota azionaria in Olivetti. Il 
presidente di Pirelli, finanziato dalla J. P. Morgan, ottenne il 
controllo su Telecom, attraverso la finanziaria Olimpia, creata con la 
famiglia Benetton (sostenuta da Banca Intesa e Unicredit). Dopo dieci 
anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio è disastroso sotto
 tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i 
titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i 
costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita. La 
privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo
 per truffare i piccoli azionisti. La Telecom , come molte altre 
società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse 
allo Stato italiano. Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati
 privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, 
società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e 
aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, che, com’è noto, 
sono un paradiso fiscale. Gli speculatori finanziari basano la loro 
attività sull’esistenza di questi paradisi fiscali, dove non è possibile
 ottenere informazioni nemmeno alle autorità giudiziarie. I paradisi 
fiscali hanno permesso agli speculatori di distruggere le economie di 
interi paesi, eppure i media non parlano mai di questo gravissimo 
problema. 
Mettere
 un’azienda importante come quella telefonica in mani private significa 
anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più 
volte calpestata, com’è emerso negli ultimi anni. Anche per le altre 
privatizzazioni, Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia ecc., si sono 
verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei 
risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva 
amministrazione e problemi di vario genere. La famiglia Benetton è 
diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di 
privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti,
 facendo rimanere l’onere della manutenzione sulle spalle dei 
contribuenti. I Benetton hanno incassato un bel po’ di denaro grazie 
alla fusione di Autostrade con il gruppo spagnolo Abertis. La fusione è 
avvenuta con la complicità del governo Prodi, che in seguito ad un 
vertice con Zapatero, ha deciso di autorizzarla. Antonio Di Pietro, 
Ministro delle Infrastrutture, si era opposto, ma ha alla fine si è 
piegato alle proteste dell’Unione Europea e alla politica del Presidente
 del Consiglio. Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre 
autorità governative non hanno alcuna intenzione di rinazionalizzare le 
imprese allo sfacelo, anzi, sono disposte ad utilizzare denaro pubblico 
per riparare ai danni causati dai privati. La società Trenitalia è stata
 portata sull’orlo del fallimento. In pochi anni il servizio è diventato
 sempre più scadente, i treni sono sempre più sporchi, il costo dei 
biglietti continua a salire e risultano numerosi disservizi. A causa dei
 tagli al personale (ad esempio, non c’è più il secondo conducente), si 
sono verificati diversi incidenti (anche mortali). Nel 2006, l 
‘amministratore delegato di Trenitalia, Mauro Moretti, si è presentato 
ad una audizione alla commissione Lavori Pubblici del Senato, per 
battere cassa, confessando un buco di un miliardo e settecento milioni 
di euro, che avrebbe potuto portare la società al fallimento. 
Nell’ottobre del 2006, il Ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, 
approvò il piano di ricapitalizzazione proposto da Trenitalia. Altro 
denaro pubblico ad un’azienda privatizzata ridotta allo sfacelo. Dietro 
tutto questo c’era l’élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, 
Harriman, Kahn, Warburg,Rockfeller, Rothschild ecc.) che ha agito 
preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana, e lo ha 
attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori. 
Nascondersi
 è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere 
il controllo di altre società o banche. Questo significa che è sempre 
difficile capire veramente chi controlla le società privatizzate. E’ 
simile al gioco delle scatole cinesi, come spiega Giuseppe Turani: 
“Colaninno & soci controllano al 51% la Hopa, che controlla il 56,6%
 della Bell, che controlla il 13,9% della Olivetti, che controlla il 70%
 della Tecnost, che controlla il 52% della Telecom”. Numerose aziende di
 imprenditori italiani sono state distrutte dal sistema dei mercati 
finanziari, ad esempio la Cirio e la Parmalat. Queste aziende hanno 
truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie (“Bond”) con 
un alto margine di rischio. La Parmalat emise Bond per un valore di 7 
miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie 
speculative, e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni 
(e per venderne altre) truccava i bilanci. Le banche nazionali e 
internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e 
l’agenzia di rating, Standard & Poor’s, si è decisa a declassare la 
Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti. I 
risparmiatori truffati hanno avviato una procedura giudiziaria contro 
Calisto Tanzi, Fausto Tonna, Coloniale S.p.a. (società della famiglia 
Tanzi), Citigroup, Inc. (società finanziaria americana), Buconero LLC 
(società che faceva capo a Citigroup), Zini & Associates (una 
compagnia finanziaria americana), Deloitte Touche Tohmatsu 
(organizzazione che forniva consulenza e servizi professionali), 
Deloitte & Touche SpA (società di revisione contabile), Grant 
Thornton International (società di consulenza finanziaria) e Grant 
Thornton S.p.a. (società incaricata della revisione contabile del 
sottogruppo Parmalat S.p.a.). La Cirio era gestita dalla Cragnotti &
 Partners. I “Partners” non erano altro che una serie di banche 
nazionali e internazionali. La Cirio emise Bond per circa 1.125 milioni 
di Euro. Molte di queste obbligazioni venivano utilizzate dalle banche 
per spillare denaro ai piccoli risparmiatori. Tutto questo avveniva in 
perfetta armonia col sistema finanziario, che non offre garanzie di 
onestà e di trasparenza. Grazie alle privatizzazioni, un gruppo 
ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso 
all’élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante
 controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero. Agli 
italiani venne dato il contentino di “Mani Pulite”, che si risolse con 
numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere. 
A
 causa delle privatizzazioni e del controllo da parte della Banca 
Centrale Europea, il paese è più povero e deve pagare somme molto alte 
per il debito. Ogni anno viene varata la finanziaria, allo scopo di 
pagare le banche e di partecipare al finanziamento delle loro guerre. 
Mentre la povertà aumenta, come la disoccupazione, il lavoro precario, 
il degrado e il potere della mafia. Il nostro paese è oggi controllato 
da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati
 come “autorevoli” (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale 
Europea), di tagliare la spesa pubblica, di privatizzare quello che 
ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione 
italiana. I nostri governi operano nell’interesse di questa élite, e non
 in quello del paese.
    Da avv. Edoardo Longo 





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