PONZIO PILATO
di Anonimo
Pontino.
La figura di Ponzio
Pilato nella cultura dominante, nei discorsi che capita spesso di sentire
ovunque, è diventata il simbolo di chi si sottrae alle proprie responsabilità,
del menefreghismo, della viltà. La cosa che mi rattrista maggiormente è vedere
molti cattolici, anche sacerdoti, accogliere con leggerezza queste posizioni.
Ma le cose stanno
realmente così?
Ponzio Pilato ha
amministrato la Giudea per circa un decennio dal 26 al 36. Gesù ha iniziato
il suo
ministero pubblico nel
30 ed è
stato condannato a
morte nel 33.
All’epoca del processo
a Gesù , la Giudea non era provincia romana, bensì “federata”. Il procuratore Ponzio Pilato
aveva quindi giurisdizione politico-militare soltanto sui delitti di infedeltà a quel “foedus”, mentre, per
tutti gli altri,
e a maggior
ragione quelli di
sacrilegio contro la
legge mosaica, la competenza
esclusiva era dell’autorità locale
ebraica, e cioè
del Sinedrio.
Inoltre Pilato era
stato in un certo senso sconfessato da Tiberio.
Infatti dopo il suo
arrivo in Palestina Ponzio Pilato fece appendere nel
suo palazzo in Gerusalemme gli
scudi d’oro dedicati a Tiberio,
muniti d’iscrizioni e
privi di simboli
che potevano essere ritenuti idolatrici (Filone d’Alessandria, De
legatione ad Cajum,
par. 38, n.
299-305). I giudei si rivolsero a Tiberio chiedendo la rimozione degli scudi,
e Pilato dovette cedere (cfr. G. Ricciotti, Vita di Gesù Cristo, cit., II vol.,
pp. 439 ss.)
Pilato detestava il
Sinedrio, ma non aveva più l’appoggio del suo Imperatore. Di fatto il Sinedrio
mediante Tiberio aveva in mano Pilato.
Quando Pilato
interrogò accuratamente l’imputato, la sua sentenza fu: “Io trovo quest’uomo
immune da colpa”.
Quando sentì che il presunto delitto di sedizione
politica, a carattere continuativo, sarebbe iniziato in Galilea, Pilato
esattamente applicando il rito vigente,
si dichiarò incompetente per territorio
e rimise la
causa al tetrarca
di Galilea, Erode
Antipa. Ebbene – registra
l’evangelista – quando
anche Erode dichiarò
Gesù innocente “da
quel giorno Pilato ed Erode,
che erano prima
in pessimi rapporti,
divennero amici”.
Ma il procuratore non
si fermò li. Si impegnò per salvare Gesù anche al di là del proprio dovere istituzionale tanto da
compromettere il proprio “cursus honorum”. Pilato sapeva bene che Gesù era molto popolare (non poteva essergli
sfuggita la domenica delle Palme, proprio in Gerusalemme), e sapeva anche che
il Sinedrio lo odiava.
Si illuse
però che, ricorrendo
al popolo, egli
sarebbe riuscito –
senza violare la
legge – a strappare il
perseguitato dalle grinfie
del suoi nemici.
Sottovalutava l’astuzia o la
perfidia dei vertici ebraici, che, prevedendo la sua mossa, avevano provveduto
a far affluire per tempo nella non grande piazza una folta schiera di loro
servitori e clienti. Accade contro ogni logica che il risultato della
consultazione popolare fosse “libera Barabba!”; sebbene Pilato fosse ricorso
anche all’espediente di far comparire il
suo protetto in pubblico conciato in modo da indurre a compassione chiunque.
Pilato, allora,
costatata l’impossibilità di
smuovere la folla obbediente al Sinedrio, grida “io sono innocente del
sangue di questo giusto.” Affermazione inconciliabile con l’ipotesi che egli
stesso lo avesse condannato poco prima a morte e spiegabile soltanto col fatto
che la condanna fosse stata decisa e pronunziata da “altri”.
Arriviamo alla
famosa “lavata di
mani”.
Il gesto di lavarsi le
mani non va inteso come un non curarsi di ciò che stava per accadere. Infatti
in Giudea ci si
lavava le mani
se ci si imbatteva in
un cadavere per significare di
non essere colpevole della sua uccisione (cfr. Deut., XXI, 6). L’atto di Pilato
voleva significare ai giudei: “io sono innocente della morte di Gesù” (v. 24).
E loro capirono benissimo e risposero: “che il suo sangue ricada su di noi e
sui nostri figli” (v. 25), cioè essi presero su di sé come popolo la responsabilità della
condanna a morte
di Gesù.
Gesù stesso
scagiona Pilato quando
gli dice: “chi
mi ha consegnato
a te è colpevole di un peccato gravissimo.
Tu non avresti
nessun potere su
di me se
non ti fosse
stato dato dall’alto” (Jo.,
XIX, 11) ( 1) . Gli
esegeti interpretano questo
versetto nel senso che il
Sinedrio avrebbe fatto ricorso a Tiberio
dal quale Pilato aveva ricevuto il potere. Pilato è solo un delegato
dell’Imperatore ed il Sinedrio che
ha consegnato Gesù a Pilato
lo costringe a
condannarlo sotto minaccia di
ricorrere all’Imperatore del
quale Pilato è
solo il delegato (cfr. M. De Tuya, Biblia Comentada,
Evangelios, vol. V, Madrid, 1964, p. 1289).
I cattolici
greci venerano la
moglie di Pilato
(Claudia Procula) come
santa, mentre i Copti venerano
anche Pilato, la cui conversione non è storicamente testata, ma la tradizione
copta vuole che Pilato
abbia terminato la
sua vita nel
pentimento e nella
pratica delle virtù cristiane (F.
Spadafora, Pilato, Rovigo, Istituto Padano di Arti Grafiche, 1973).
Al gesto pubblico di
Pilato di lavarsi le mani, soprattutto i protestanti hanno attribuito invece
il significato di disinteressarsi, di
tirarsi fuori vilmente.
Il cinema di Hollywood
ha fatto il resto, cambiando la realtà
storica sulla responsabilità del
Sinedrio nella morte
di Cristo. Ma Hollywood lo sanno
anche i muri che obbedisce alla lobby ebraica.
Secondo i fratelli
Lémann (A. e J. Lémann, Valeur de l’assemblée qui prononça la peine de mort
contre JésusChrist, ed. Lecoffre,Parigi, 1876) il Sinedrio
era risoluto sin
dall’inizio ed a priori a
condannare Gesù, indipendentemente dalla
sua innocenza. Questi
fatti sono le tre decisioni prese dal Sinedrio nelle
tre riunioni anteriori
a quella del
Venerdì Santo: la
condanna a morte
di Gesù, prima ancora che comparisse come accusato.
• La prima riunione si tenne dal 28 al
30 settembre (Tisri)dell’anno 781 di Roma (32 d. C.). Il Vangelo parla de
“l’ultimo giorno della festa dei Tabernacoli” (Io., VII, 37), che in quell’anno
cominciava il 22 settembre e terminava il 28. S. Giovanni ci riferisce che Gesù
aveva guarito miracolosamente un cieco nato e che “i suoi genitori, temevano i
giudei; poiché i giudei avevano congiurato che se qualcuno avesse confessato
che Gesù era il Cristo sarebbe stato scomunicato” (Io., IX, 22). Il decreto di
scomunica era stato lanciato tra il 28 ed il 30 settembre. Ora tale decreto
prova due cose:1°) che vi era stata una riunione solenne del Sinedrio, che solo
aveva il potere di lanciare la “scomunica maggiore”; 2°) che in tale riunione
si era parlato della morte di Gesù. Infatti l’antica Sinagoga aveva tre tipi di
scomunica: la separazione (niddui ); l’esecrazione (choerem) e la morte
(schammata).La separazione condannava qualcuno a vivere isolato per trenta
giorni. Essa non era riservata al Sinedrio. L’esecrazione comportava una
separazione completa dalla società giudaica: si era esclusi dal Tempio e votati
al demonio. Solo il Sinedrio di Gerusalemme poteva infliggerla, e la pronunciò
contro chiunque asserisse che Gesù era il Messia. La morte era riservata ai
falsi profeti. “Ora tutto lascia supporre che il Sinedrio, il quale non esitò a
lanciare l’esecrazione contro i seguaci di Gesù, dovette nella medesima
riunione, deliberare se pronunciare o no contro Gesù stesso […] la pena di
morte. Una vecchia tradizione talmudica dice che fu proprio così” (A. e J.
Lémann, Valeur de l’assemblée qui prononça la peine de mort contre Jésus
Christ, ed. Lecoffre,Parigi, 1876, pagg. 50-51).
• La seconda riunione ebbe luogo nel
febbraio (adar) del 782 dalla fondazione di Roma (33 d. C.), circa quattro mesi
e mezzo dopo la prima. Fu in occasione della resurrezione di Lazzaro. S.
Giovanni scrive: “Da quel giorno, risolsero di farlo morire” (Io., XI, 50).
Perciò nella prima
riunione la condanna a morte era stata proposta, ma nella seconda la decisione
è presa.
• La terza ebbe luogo 20-25 giorni dopo
la seconda, il mercoledì Santo, 12 marzo (nisan) 782 ab Urbe condita. S. Luca
scrive: “Allora i Capi e gli Anziani tennero consiglio, per sapere come potersi
impadronire di Gesù e farlo morire. E dicevano: non bisogna che sia durante la
festa, per paura che scoppi un tumulto” (Lc ., XXIII, 1-3). Questo terzo
consiglio non aveva come oggetto la condanna a morte di Gesù, poiché la sua
morte eragià stata decretata nel secondo consiglio. Ora si trattava soltanto di
stabilire il tempo e il modo della sua uccisione, e si decise di aspettare che
fosse passata la festa di Pasqua; ma un avvenimento imprevisto li fece tornare
su questa decisione: “Giuda, l’Iscariota, venne dai sommi Sacerdoti per
consegnare loro Gesù” (Lc ., XXII, 3-4). Giuda, il traditore, toglie ogni
incertezza al Sinedrio, la condanna di Gesù non sarà più rinviata adun giorno indeterminato
dopo Pasqua, ma al primo momento favorevole.
Anonimo
Pontino
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