POVERTA' : UNA VORAGINE IN AUMENTO
Centinaia di migliaia
di famiglie, che insieme raggruppano il
numero spaventoso di quattro milioni di individui, oggi vivono in Italia in
povertà assoluta, espressione con la quale si intende la condizione per cui non
si è in grado di acquistare beni e
servizi ritenuti necessari per condurre uno stile di vita degno e accettabile.
A questa cifra va
aggiunta quella ben più grande, superiore alle otto milioni di unità, di coloro
che trascorrono la vita in una situazione di povertà relativa, ovvero quella in
cui una famiglia o un individuo singolo possono spendere meno della metà di
quanto dovrebbero per garantirsi un’esistenza decorosa.
I dati sono in costante
aumento anno dopo anno e la tendenza non è certo quella di un’evoluzione
positiva della questione.
Se ciò non bastasse ci
sono poi da analizzare due fatti fondamentali, che aiutano meglio ad
identificare le radici di un problema ormai diventato atavico: per prima cosa
c’è da dire che le famiglie più povere sono quelle più larghe, ovvero quelle
che hanno deciso di mettere al mondo più figli; in secondo ordine è da
osservare come ad essere in stato di indigenza sia la fascia giovane della
nostra nazione, infatti, come dimostrano le statistiche, il tasso di povertà
diminuisce con l’aumentare dell’età del campione di persone preso in esame.
Da queste due
considerazioni ne discendono svariate altre: cominciamo analizzando il perché è
la gioventù ad essere maggiormente colpita.
Domandarselo finisce
per sfiorare il retorico se si conosce l’involuzione degli ultimi anni sul tema
del lavoro e della tutela stessa dei lavoratori.
In sintesi il giovane è
più povero perché è precario, il che significa che guadagna denaro, che spesso
sarebbe comunque insufficiente nella sua quantità, ad intermittenza, e ci sono
dei mesi nei quali è costretto a fare di necessità virtù.
La persona adulta o
anziana invece è economicamente più sicura, in quanto o protetta da contratti
stipulati in tempi nei quali, pur vigendo il capitalismo, non si era ancora
giunti ai livelli attuali, o al sicuro grazie ad una pensione ottenuta prima
che riforme assurde e radicalmente padronali ne posticipassero il termine per
poterne avere diritto fino a livelli ridicoli.
Gli effetti di tutto
ciò sono un mercato del lavoro stagnante, dove non c’è ricambio in quanto da un
lato chi è più avanti con l’età non rinuncia al proprio accordo aziendale e
quindi al suo stipendio e aspetta fino
all’ultimo che scattino i termini per essere pensionato, visto che sa che la
pensione ha una consistenza economica di molto inferiore rispetto ad
un’ordinaria mensilità lavorativa, dall’altro l’azienda, nelle persone del
datore di lavoro e degli altri azionisti se essa è quotata in borsa, è ben
felice di questo gioco, in quanto non è costretta a rinnovare l’organico con
assunzioni a tempo indeterminato e può avvalersi di collaborazioni saltuarie
retribuite di tanto in tanto.
La situazione non
migliorerà di certo, anzi tutto il contrario, se i governi continueranno, per
mezzo di provvedimenti scellerati e privi di ogni logica che non sia quella del
profitto, l’unica che il capitalismo ha dimostrato negli anni di seguire, a far
salire l’età pensionabile, avvalendosi della patetica scusa costituita
dall’allungamento dell’aspettativa di vita.
Più si seguirà questa
perversa logica meno posti di lavoro si sbloccheranno e meno giovani avranno la
possibilità sia di realizzarsi personalmente facendo esperienza in un contesto
sociale che sia diverso da quello domestico e li ponga a contatto diretto col mondo
esterno e le dinamiche che gli appartengono, sia di avere le possibilità
finanziarie per costruire un nucleo familiare se possibile ampio, che dia nuova
linfa ad una comunità nazionale ormai ridotta ai minimi termini come quella
italiana.
Se ciò è vero, se cioè
della nostra comunità è rimasto ben poco lo si deve a un sistema onnivoro e ad
uno Stato che, rappresentandolo degnamente, si disinteressa totalmente della
prosperità non solo morale, valoriale o economica del popolo che è chiamato ad
amministrare, ma anche solo semplicemente numerica.
Torniamo allora alla
seconda considerazione espressa nella fase iniziale dell’articolo, che
consisteva nel prendere confidenza con il fatto che il grado di povertà aumenti
a dismisura con l’aumentare dei componenti di una famiglia.
La motivazione per cui
questo accade risiede nella conseguenza di quanto espresso poche righe sopra:
se il giovane non riesce ad entrare nel mondo del lavoro in pianta stabile si
vede sensibilmente ostacolato nel perseguire lo scopo di costruire una
famiglia.
Ovviamente se questo
già è difficile figuriamoci cosa accade se i figli da sfamare sono più di due,
si va incontro a situazioni ai limiti della disperazione sociale.
Durante il corso delle
legislature i diversi esecutivi che si sono avvicendati hanno tutti fatto
promesse riguardo all’introduzione di agevolazioni per le famiglie numerose e
cose simili.
La realtà è che nella
maggior parte dei casi degli aiuti promessi non si è vista nemmeno l’ombra,
mentre quando sono arrivati essi si sono limitati a provvedimenti dalla scarsa
utilità concreta, in quanto non davano di certo un aiuto determinante che
avesse riscontro nella vita quotidiana di una famiglia chiamata al compito di
occuparsi di più bambini, ma offrivano nel migliore dei casi una soluzione
limitatissima nel tempo e di scarsa consistenza.
Se questo accade è
perché non c’è nessun tipo di volontà da parte di chi ci governa di agevolare
la crescita del popolo italiano, sotto qualsiasi forma il termine crescita
possa essere utilizzato.
Al contrario c’è invece
quello di assecondare il disegno capitalista che vede nell’immigrazione la
soluzione anche al problema delle nascite, concetto espresso più volte dalla
nostra classe politica do governo durante i tanti inviti all’accoglienza incondizionata
di cui si è resa protagonista.
E’ chiaro infatti che
un progetto capitalista come quello che stanno attuando sulla nostra pelle
prescinde da ogni considerazione di ordine valoriale che vada oltre la più
strisciante materialità.
In questo senso non
viene guardato per nulla il modo nel quale vengono raggiunti determinati
obiettivi, l’unico aspetto sul quale viene riposta attenzione è quello
finanziario.
Ne consegue che anche
la disintegrazione di una nazione sotto ogni sua forma per la logica liberista
non solo arriva ad essere comprensibile,
ma addirittura necessaria se preclude all’avanzare del mondialismo, approdo
ultimo di chi oggi detiene il potere sul nostro pianeta.
Se a tutto questo
servisse un’ennesima conferma è il calendario dei lavori delle nostre due aule
parlamentari a fornircela: il governo
infatti si è proposto di approvare in fretta e furia il decreto con il quale si
impegna a salvare le banche venete, insomma, non proprio una priorità degli
italiani, che preferirebbero di gran lunga vedere i loro organi istituzionali,
peraltro nemmeno eletti, occupati a discutere su come migliorare la condizione
economica di un popolo ormai martoriato.
Dobbiamo renderci conto
che le nostre priorità non coincidono affatto con quelle che ha chi amministra
purtroppo il nostro destino, che è assai più impegnato ad aiutare una cerchia
di poche personalità grazie al sostegno delle quali tuttavia esso si garantisce
l’esistenza e la durata.
La domanda che ogni
cittadino dovrebbe porsi è come mai ogni giorno chiudono piccole attività,
schiacciate dalla concorrenza sleale e dalla tassazione elevata, e non ricevono
nessun aiuto dallo Stato nei momenti di difficoltà proprio perché si tratta di
aziende private, mentre per gli istituti bancari questo discorso non vale?
Per questi ultimi
infatti la logica è che i profitti li intascano i privati, mentre se c’è da
fare un’operazione di salvataggio viene invocata la collettività, solo ed
esclusivamente per preservare le posizioni personali di pochi giganti capitalisti
e non quella dei correntisti, esposti giornalmente agli sbalzi di umore propri
di un sistema instabile come quello capitalista.
E’ passato poco tempo
da quando è stato chiesto a questo governo di intervenire per risolvere la
questione di Alitalia, nella quale c’erano in ballo molti posti di lavoro, e
con essi il futuro di altrettante famiglie, e la risposta fu negativa,
argomentata con il fatto che non c’erano i fondi necessari e dovevano pensarci
solo ed esclusivamente gli azionisti.
La copertura economica
per salvare una o più banche però stranamente si trova sempre, magari togliendo
fondi agli ambiti strutturali cardine del paese come ad esempio l’istruzione o
la sanità, oppure attraverso il nuovo ente pubblico economico Agenzia delle
Entrate- Riscossione, che dal mese di luglio sostituirà Equitalia mantenendone
al cento per cento gli intenti e le caratteristiche.
Evidentemente siamo
entrati in campagna elettorali, e porta più consensi far scrivere ai
giornalisti amici titoli come:” Sparisce Equitalia” tranne non fare menzione
della costituzione di questo nuovo soggetto, che di diverso rispetto a
Equitalia ha solo il logo e la
modulistica piuttosto che spiegare bene le cose in tutti i loro aspetti.
Continueremo ad essere
invasi da cartelle figlie di questo sistema che rasenta l’usura, e seguiteremo
a dover fare i conti con la povertà fino a quando il sistema non cambierà i
suoi principi generali e tutto il suo impianto, ma nessuno, tranne voci libere
come le nostre, ve lo dirà.
D’altronde, come
recitava il testo di una celebre canzone riferendosi agli organi di
informazione dietro a cui si celano i grandi gruppi finanziari: “Il giornalismo
insegna, quando serve non spiega”.
Daniele
Proietti
DELLO STESSO AUTORE : “ DITTATURA INVISIBILE” , EDIZIONI DELLA
LANTERNA :
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