“Crisi” e suicidi… ma ci sono davvero tanti “pazzi”?
(da ideeinoltre.blogspot.it) - “Si dà
fuoco in piazza S. Pietro: gravissimo”. “Uccide moglie e figli e poi si
toglie la vita”. “Trovato impiccato in casa con un biglietto: scusatemi,
non ce la facevo più”. Questi sono solo alcuni dei titoli che
quotidianamente troviamo sulla stampa nazionale riguardanti suicidi di
nostri connazionali che decidono, evidentemente in preda alla
disperazione, di farla finita per sempre. Talvolta togliendo in silenzio
il classico ‘disturbo’, talaltra producendosi in una strage di tutta o
di parte della loro famiglia.
Il minimo comun denominatore di tutti
questi fatti gravissimi che i media tendono a minimizzare, è lo stato di
grave prostrazione causato dalla cosiddetta “crisi”. Cosiddetta perché,
come più volte abbiamo avuto modo di spiegare[1],
essa è stata voluta e prodotta, essenzialmente attraverso lo strumento
monetario, per realizzare precisi e criminali obiettivi, tra i quali
l’aumento esponenziale dei suicidi non è che un clamoroso e macabro
‘dettaglio’.
Ma un suicidio è pur sempre una cosa molto grave e dolorosa.
Innanzitutto, dal punto di vista
‘filosofico’, esso – quand’è compiuto sull’onda del trasporto emozionale
– rappresenta una sconfitta per chi lo mette in opera. In seconda
istanza, ad un livello politico-sociale, la comunità non può che dolersi
per la scomparsa di un suo valido membro, che messo in altre condizioni
ed adeguatamente sostenuto non sarebbe probabilmente giunto a tanto. Vi
è poi ovviamente il piano affettivo, che riguarda i congiunti e gli
amici di colui che arriva a questo gesto estremo. Per non parlare poi
delle mattanze familiari che in più d’un caso accompagnano quelli che la
stampa serva del potere s’affretta a definire “stragi della follia” per
archiviarle in fretta e furia.
Eh sì, perché ogni volta viene
insinuato più o meno subdolamente che il suicidato di turno fosse
“depresso da tempo”, “affetto da disturbi” e che avesse dato qualche
“segno di squilibrio”.
Dare del “pazzo” a qualcuno è molto
comodo e sbrigativo. La “follia” è difatti la tipica scappatoia che
permette superficialmente di non affrontare qualsiasi problema ed
analizzarlo da ogni punto di vista per individuarne le cause e quindi la
soluzione.
Così, a cadenza regolare, l’Occidente –
attraverso il proprio apparato mediatico – se la prende con qualche
“pazzo” (cioè un “nuovo Hitler”), ovvero chi non si allinea
istantaneamente ai diktat dell’Occidente. E se solo ti azzardi ad
osservare il cielo e noti che qualcosa non va[2], ecco che diventi da trattamento sanitario obbligatorio[3] (TSO).
Ovviamente, tutti coloro che, adducendo solidi argomenti, reclamano la
sovranità monetaria per la propria nazione vengono iscritti d’ufficio
nella categoria dei “pazzi”. E l’elenco prosegue indefinitamente,
includendo tutti quelli che spregiativamente questa stampa abietta bolla
come “nemici dell’Occidente” adombrando il sospetto che si tratti di
pericolosissimi individui che odiano la propria gente quando invece è
vero esattamente il contrario.
Per cui c’è poco da meravigliarsi che
per un padre che non riesce più a dare da mangiare alla sua famiglia, un
piccolo imprenditore oberato dalle tasse, una persona di mezza età che
dopo il fallimento dell’azienda in cui lavorava non troverà più lavoro,
un pensionato alla fame o un giovane che trova solo lavori “precari”,
insomma, per tutti costoro, quando arrivano a togliersi la vita, non si
trovi altro che la solita ‘spiegazione psichiatrica’.
Eppure, gli stessi indegni ed
indecenti giornalisti, appena un omosessuale si toglie la vita non
esitano a dare la colpa a qualcheduno reo, secondo loro, di averlo
indotto a tanto mediante dileggi e vessazioni, fino a puntare il dito
contro le leggi vigenti che “vanno cambiate!” (per introdurre poi i
“matrimoni” e le “adozioni gay” e chissà cos’altro). Naturalmente a
questi pappagalli del politicamente corretto non viene mai in mente che –
fatti salvi i casi di effettive gravi pressioni – ad un omosessuale
potrebbe scattare la spinta a suicidarsi per ‘risolvere’ una tensione
interiore non più sopportabile tra quel che si è e quel che si vorrebbe
essere o che si ritiene la società ci richieda di essere. Non sia mai
detto: anche il solo pensarlo è già “omofobia”!
Ma quando a suicidarsi (e ormai sono
in troppi) sono delle persone che giungono a tanto solo per problemi
economici indotti da una politica deflazionistica generata dalla
classica chiusura del ‘rubinetto del denaro’ operata dalle grandi banche[4],
nessun “autorevole commentatore” (che nella neo-lingua significa
“bugiardo e mistificatore patentato”) fa il classico due più due dando
la colpa alle attuali politiche monetarie e, diciamolo chiaramente, alle
vigenti “leggi sul lavoro”, divenute insindacabili e circonfuse d’una
aura di sacralità da quando D’Antona prima e Biagi dopo sono stati
assassinati dalle “nuove B.R.” (che dopo questo ‘servizietto’ nessuno ha
più sentito nominare!).
Pertanto, tutto questo accalorarsi per
“modificare le leggi” quando in questione vi sono gli omosessuali è,
oltreché sospetto, pretestuoso, stupido e sinceramente truffaldino.
Senza dimenticare che è più facile per degli zerbini dalle fattezze
antropomorfe sbraitare su una questione marginale piuttosto che prendere
di petto un grave problema che coinvolge tutti, omosessuali compresi e
pure loro stessi, sovente inquadrati nelle varie testate giornalistiche
con contratti capestro: il lavoro e la sovranità monetaria[5],
col primo che dipende direttamente dalla seconda, tant’è vero che anche
chi vorrebbe assumere non lo fa perché “non ci sono i soldi” (cosa
palesemente assurda perché basta una tipografia di Stato), mentre quei
pochi che circolano devono andare a saziare le pretese sempre più esose
delle banche e dei vari “enti pubblici” a loro volta giugulati dal
potere bancario e ridotti a odiosi gabellieri per conto dei “Signori del
denaro”.
Ora, in un siffatto clima di disordine
e di contravvenzione ad ogni minima normalità, dare del “pazzo” a chi
si uccide o anche il solo insinuarlo è di per sé una cosa non solo
immorale, ma anche falsa ed ipocrita, che va solo a detrimento della già
infima reputazione di chi si ostina a nascondere la verità.
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