lunedì 6 gennaio 2014

UN'AMOREVOLE IPOCRISIA - Azione Tradizionale -


(da Il Borghese) – «Professoressa, ma che cos’è il comunismo?», domanda il classico studentello sprovveduto alla sua docente, nell’errata convinzione che l’insegnante risponderà in maniera oggettiva, cercando, così, di adempiere al proprio dovere. Quest’ultima, osservando dall’alto della sua presunzione didattica il malcapitato, il quale ha, come unico torto, la colpa di ignorare il significato di questo aberrante termine, gli risponde fredda: «Il comunismo è la massima espressione di libertà mai concepita dagli uomini e coloro che lo professano sono persone democratiche, che svolgono con dedizione e profondo senso di responsabilità il loro lavoro in favore della giustizia sociale». A questo punto, però, il ragazzo aggrotta la fronte, e chiede ancora: «… ma prof… allora cos’è il Fascismo? La risposta che mi ha dato mi lascia un po’ perplesso, perché ho letto in un libro che parlava del Ventennio gli stessi aggettivi da lei adoperati». La docente, allora, ancora più indignata di quanto già non fosse prima, tutta stizzita, si affretta a rispondere al giovane, per non dare troppo tempo ai ragazzi della classe di pensare: «Chi te l’ha detto? Non è vero! Voglio parlare subito con un tuo genitore! A proposito… ti interrogo in storia! Vieni!» Potete tranquillamente immaginare l’esito della «onesta» chiacchierata tra i due ed il voto espresso dalla docente. Se tutto è andato come previsto e se il ragazzo, oltre ad averla indispettita, aveva anche la colpa di non aver studiato in maniera approfondita, come qualche volta può andare, l’insufficienza o – al più, la sufficienza risicata, concessa per pietà (o almeno così l’arguta professoressa potrebbe tentare di giustificare l’assenza totale di comprensione nei confronti del malcapitato) – non gliel’avrebbe tolta proprio nessuno! Lo stesso ragazzo, alla fine della giornata, avrebbe fatto rientro a casa con una gigantesca confusione in testa e, come se non bastasse, anche con un brutto voto in storia, del tutto immeritato. C’è dell’altro, però, soprattutto quando lo studentello in questione inizierà a sfogliare e a maneggiare i primi manuali di storia, alla ricerca di alcune valutazioni sull’Età Contemporanea. In (quasi) tutti leggerà, infatti, che Stalin fu un dittatore piuttosto severo, ma in fondo buono, mentre sarà costretto a riempirsi la testa con giudizi tanto negativi, quanto iperbolici e non del tutto attendibili riferiti al Duce degli Italiani, Benito Mussolini, ucciso senza nemmeno essere stato sottoposto ad un regolare processo. Un Paese davvero molto democratico, quello in cui viviamo! Verrebbe dunque da pensare che le pensioni, le bonifiche, gli ospedali, l’edilizia, le colonie ed il senso del rispetto per gli adulti e per i superiori fossero stati trasmessi, in Italia, da Stalin e non da quell’onesta generazione di lavoratori e di cittadini laboriosi che avevano giustamente visto nel Fascismo l’unico baluardo possibile davanti al devastante dilagare del bolscevismo. Il nostro caro studente, nondimeno, sarebbe soltanto all’inizio di un sistematico lavaggio del cervello, all’interno del quale gli verranno forniti dati per lo meno distorti o usati in maniera tendenziosa, ma chissà che, arrivati ad un certo punto dell’anno scolastico, qualcuno non arrivi anche a consigliargli, ed in maniera più o meno obbligatoria, lo schieramento politico da votare per la sua prima volta. Anche questo, ragazzi, è un lampante esempio di democrazia. Democrazia all’italiana, però. Questo, tuttavia, non soltanto per quanto riguarda una sola, e forse la più delicata, disciplina, almeno in questo senso, in altre parole la storia. L’indottrinamento, di fatto, continuerebbe, indisturbato, per la disciplina che si rivela essere comunque importante ai fini del raggiungimento di una preparazione omogenea da parte degli studenti, cioè lo studio della letteratura italiana, all’interno della quale verrebbero proposti modelli prevalentemente distorti ed ideologicamente orientati: ad esempio, non sarà presentato nel modo dovuto un vero e proprio genio della nostra letteratura del ’900 che ha contribuito in maniera sistematica allo sviluppo ed alla frammentazione progressiva dell’Io all’interno di romanzi e tragicommedie, che è stato apprezzato da tutto il mondo (da Berlino alla città della Grande Mela), quale Luigi Pirandello, anzi qualcuno proverà a definirlo un poetuncolo da strapazzo, che decise di aderire al Partito Fascista soltanto ed esclusivamente per convenzione, quando lui stesso scriverà, a L’Idea Nazionale, il 28 ottobre 1923: «Eccellenza, sento che per me questo è il momento più propizio di dichiarare una fede nutrita e servita sempre in silenzio. Se l’E.V. mi stima degno di entrare nel Partito Nazionale Fascista, pregierò come massimo onore tenervi il posto del più umile e obbediente gregario. Con devozione intera». E, come riporterà «L’Impero», il 23 settembre 1924: «L’intuizione pirandelliana della vita politica è sostanzialmente fascista (e tale era anche prima che il Fascismo si definisse) in quanto nega i concetti di assoluto (vedi immortali princìpi) e afferma la vitale necessità della continua creazione di illusioni, di realtà relative, mete sempre fuggenti delle aspirazioni umane che, così solo, in questa perpetua corsa a una verità mai raggiungibile in assoluto, possono vivere e dar frutti»Da queste parole risulta evidente come il Grande Maestro abbia trovato in quella più compiuta forma di Stato liberale un ambiente assai salubre nel quale sviluppare al meglio la sua profonda ed autentica sensibilità artistica. Verrà dunque presentato all’attenzione degli studenti anche un grande quale D’Annunzio, il Vate, apostrofandolo come saltimbanco, quando invece costituisce, senza dubbio alcuno, per la maggior parte degli studiosi seri, tra i quali si annoverava Benedetto Croce, il poeta, lo scrittore, con il quale termina la letteratura italiana. Risulta oltremodo interessante il giudizio che Angelo Marchese dà del Vate, definendolo «un immenso ed ingombrante continente da attraversare». I modelli esaltati dai docenti organici sono, invece, elementi come Calvino e Pasolini che hanno – ingiustamente – ottenuto un posto nell’Olimpo, soltanto per aver aderito al partito dei vincitori ed aver, quindi, conseguito la tessera giusta al momento giusto. Allora, il fatto che una persona abbia delle idee che discordano rispetto ad una certa scuola di pensiero vuol dire che nel nostro vacillante e compromesso sistema culturale, non v’è più spazio per la libertà di pensiero, figurarsi poi per quella d’opinione. Secondo l’ottusa lungimiranza di certi intellettuali organici, infatti, il valore dell’individuo viene assai contratto, per cui tende ad emergere, preferibilmente, lo spirito di una casta oligarchica e sinistrorsa che da sempre non ha amato né il dibattito, né il confronto, figurarsi poi il dissenso. Quale potrebbe essere la nostra risposta ai numerosi tentativi di livellare tutto e tutti spaventosamente verso il basso: dialettica degli opposti? dialettica dei distinti? Come si fa, quindi, a distinguere, quando si è già sistematicamente e totalmente appiattita ogni differenza?

                                                                                                                                                 


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