BANKSTERS, STATI FALLITI E LA TRUFFA DEL DEBITO
Di : Reporter
<<C’è un grande potenziale di
rovina nei governi >>scrive
Adam Smith nella Ricchezza delle Nazioni (1776) e poi: <<Una volta che i debiti nazionali
siano stati accumulati fino ad un certo livello, credo che non ci sia forse un
solo esempio in cui essi siano stati regolarmente e completamente
pagati>>.
Le cose non sono cambiate.
Una volta i governi si indebitavano soprattutto per sostenere le spese per la
difesa mentre oggi si indebitano per finanziare sprechi, sussidi e
rivendicazioni di ogni tipo di un numero crescente di interessi particolari per
mantenere il consenso e continuare a governare. Quindi i debiti che i governi
accumulano hanno gli stessi effetti distruttivi di quelli del tempo di guerra.
A causa degli eccessi di spesa, gli stati, non hanno mai avanzi primari, sono
costantemente in deficit e non potendo aumentare la pressione fiscale
all’interno senza provocare esplosioni di collera, cercano di collocare il
debito all’estero.
La politica dei deficit è
il nocciolo della politica economica moderna: indebitarsi e spendere per creare
potere d’acquisto, sviluppo ed occupazione. Che la spesa improduttiva dei governi
crei prosperità è ridicolo. Semmai è vero il contrario, è la prosperità a rendere possibile la spesa improduttiva. Ma per
quanto tempo? Nell’economia non esiste un fondo permanente da cui attingere
senza limiti, va continuamente rinnovato con la spesa produttiva che crea
sviluppo solo se supera quella improduttiva.
Ora
se è chiaro che il debito esterno non
rappresenta altro che l’anticipo del gettito di tasse future, la teoria
dello stimolo economico crolla con un esempio elementare. Tizio, che non ha soldi,
chiede un prestito a Caio per fare la spesa da Sempronio. Tizio quindi si trova
in deficit rispetto a Caio. Ora sarebbe assurdo che Tizio, dopo aver fatto la
spesa da Sempronio pretendesse da quest’ultimo l’estinzione del debito verso
Caio. Ma non è più assurdo se Tizio è il governo che si indebita con Caio,
ossia col mercato del debito, obbligando poi Sempronio, ovvero l’economia, a
rimborsargli il debito. Tizio, dunque, è sempre libero di spendere ed
estinguere il debito verso Caio con le tasse pagate da Sempronio.
Come è
dunque è possibile che il deficit di Tizio aumenti il reddito di Sempronio?
Ovviamente non può e
quindi il deficit non stimola l’economia ma la deprime in quanto il totale del
debito di Tizio che è la somma di tutti i suoi deficit passati, viene pagato
sempre da Sempronio. Se non si capisce che questa è la conseguenza del deficit
non si capirà mai perché tale politica sottragga le risorse di un paese fino al
collasso.
Nonostante
l’evidente fallimento, questa politica mantiene la sua popolarità sia perché
l’opinione pubblica non ne comprende in pieno il meccanismo e le conseguenze,
sia perché le élite al governo rendono
seducente il deficit giustificandolo con spese per obiettivi sociali, che in realtà riguardano interessi
particolari che non allignerebbero mai in un’economia sana.
Se
le élite al governo invece di perseguire tale politica abbattessero le tasse,
raggiungerebbero realmente lo scopo di migliorare l’economia ma perderebbero il
potere di gestirla, di corrompere l’elettorato, sottometterlo, acquisire
privilegi permanenti e continuare nell’opera di spoliazione dei contributi.
Così la politica di deficit finisce per governare tutta l’azione politica
rischiando di portare a un sistema
totalitario.
Incapaci
di porre freni alla spesa i governi sono costretti a fare altri debiti
portandoli ad una altezza tale che saranno necessarie nuove dosi di debito solo per pagare gli interessi. Si giunge
pertanto alla situazione di debito
perpetuo e di insolvenza definitiva che
comporta l’impossibilità di ottenere ulteriore credito.
Nell’economia privata questa impossibilità si chiama fallimento ma nel caso dei governi si chiama default.
Uno stato, in affetti, non fallisce mai in senso formale come un privato perché
non c’è tribunale che nomini un giudice che, dopo aver cancellato i suoi debiti
amministri il patrimonio del paese per soddisfare i creditori secondo diritti
di prelazione. Pertanto la procedura fallimentare degli stati si risolve sempre
in un piano si salvataggio che consiste, alla fine, nella ristrutturazione del loro debito cioè in una riduzione consistente
del suo valore nominale. L’altro modo di ridurre il debito si attua, se il debitore ha la sovranità monetaria,
pagandolo con moneta svalutata. Si tratta sempre di default ma nella forma
di deprezzamento valutario che però è il più pericoloso perché può annientare
il mezzo di scambio dell’economia.
I creditori sono corresponsabili
dei default dei debitori. Ad esempio, Argentina e Grecia costituiscono casi paradigmatici di governi
predatori con una tradizione secolare di default diventata prassi
istituzionalizzata finanziata dall’esterno. Questi due paesi, infatti, hanno
ottenuto credito non per l’intrinseca affidabilità delle loro obbligazioni ma
perché, nel caso argentino, era il Fondo Monetario internazionale a dare le
garanzie, mentre in quello greco, era la banca centrale europea. I creditori non potevano ignorare che gran
parte del credito erogato a questi paesi non avrebbe finanziato il sistema
produttivo, vero garante della restituzione del debito, ma i centri di potere
politico e finanziario. Il fatto è che, essendo la politica di debito anche
il pilastro delle economie dei paesi creditori, che sono allo stesso tempo
debitori, la negoziabilità del debito globale postula un potere bancario e finanziario illimitato e interconnesso a tal
punto da essere costretto ad avallare, con la tacita complicità di tutti, le
operazioni più inaffidabili. Questo è il motivo per cui anche la crisi di un
piccolo paese come la Grecia desta preoccupazione: un “contagio” porterebbe al
crollo di tutto un sistema che non ha
più nessuna base di ricchezza concreta. In ogni caso sono le popolazioni a fallire perché subito dopo un default, il
credito non circola più, il sistema industriale si ferma, l’apparato
amministrativo e finanziario si blocca, lo
stato non può pagare stipendi e pensioni e tutto precipita nel caos. Ai
creditori quindi non rimane altra scelta che “salvare” il debitore accollandosi
perdite, erogando nuovi prestiti ma rinnovandone il deficit. Così il sistema
creditizio, mentre innesca un nuovo ciclo dissipatore, diventa sempre più tossico con conseguenze incalcolabili.
Conclusione.
Adam Smith aveva ragione: c’è un grande potenziale di rovina nei governi. La
causa della rovina è il debito, sempre crescente e impossibile da liquidare. La dottrina del deficit spending come cura
è assurda: non si cresce spendendo e tassando. Più i governi spendono, più
l’economia diventa instabile e gravita verso la depressione con costi sociali
enormi. Ma è grazie ai deficit che le
élite al governo rafforzano la posizione di potere, aumentano i propri
privilegi, finanziano la corruzione e alimentano un sistema che, nel caso
argentino, si chiama peronismo, nel caso greco cleptocrazia (dal greco: governo del furto). Entrambi rappresentano
il culmine della corruzione politica. In tutti gli altri paesi, invece,
alimentano un sistema che si chiama oligarchia
che dalle prime due forme differisce solo di grado. Porta sempre alla rovina,
ma in tempi più lunghi.
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