venerdì 25 settembre 2015

CIVILTA’ E DENARO





CIVILTA’ E DENARO





Nel nostro mondo cosiddetto civilizzato esistono regole e leggi che coordinano la vita degli individui, delle società, delle istituzioni e del mercato.
Più o meno buone esse regolano i parametri di ogni aspetto della vita dei cittadini e determinano, più o meno direttamente anche i costi delle varie produzioni industriali in quanto obbligano chi produce a seguire regole sulla mano d’opera, sull’inquinamento, sulla concorrenza, sulle condizioni di lavoro ecc. ecc.
Ci sono poi i sindacati che vigilano affinché vengano rispettati i contratti di lavoro, i rapporti con la proprietà, i diritti dei lavoratori e tutto quanto attiene al mondo del lavoro.
Lo stato, da parte sua, aggrava i costi sia con una tassazione vergognosamente oppressiva che con una inefficienza burocratica che si trasforma anche lei in costi aggiuntivi e soprattutto in carenza di investimenti finanziari dall’estero.
Tutto normale, tutto logico e tutto anche espressione di civiltà e di progresso sociale.
Senonché tutto questo mondo che si regge su regole ben precise e tassative deve sopportare, in nome della cosiddetta “globalizzazione mondiale dei mercati” la concorrenza di altri Paesi che riescono ad offrire le stesse merci prodotte nel mondo civilizzato a prezzi di gran lunga inferiori creando così una difficoltà oggettiva e spesso la impossibilità di proseguire l’intraprendere con le conseguenze che la disoccupazione aumenta vertiginosamente, il PIL diminuisce ed i Paesi impoveriscono in una spirale senza fine!
Noi non abbiamo nulla contro la concorrenza che anzi stimiamo essere uno stimolo a migliorare le produzioni ed a trovare sempre nuove vie per ridurre i costi ed aumentare la qualità, ma la concorrenza, per essere accettabile e positivamente inserita nel contesto produttivo, deve essere LEALE E TRASPARENTE.
Se analizziamo la situazione dei Paesi del terzo mondo che sono poi quelli che maggiormente ci fanno una concorrenza spietata, risulta che in quei Paesi non esistono né sindacati, né regole sindacali, che nelle fabbriche gli orari di lavoro sono a discrezione dei padroni, che i salari sono al limite del sostentamento, che si adopera mano d’opera infantile in condizioni a dir poco inaccettabili, che non esistono quasi spese di depurazione perché l’inquinamento ambientale non è né regolamentato, né punito, che nemmeno i controlli sulla tossicità delle produzioni sono effettuati con regolarità e che in conclusione mancano completamente quelle minime garanzie merceologiche, sociali, se non addirittura umane, che caratterizzano le nostre produzioni e che sono naturalmente dei costi aggiuntivi rispetto a quelle di quei Paesi.
Per questi motivi, se la concorrenza è di per se una condizione accettabile ed anzi desiderabile, la concorrenza SLEALE E DISUMANA di quei Paesi non lo è e pertanto sarebbe giusto e logico che nei trattati sul mercato globalizzato esistesse la regola che esso è possibile SOLAMENTE tra quei Paesi che rispettano le normali regole di civiltà e di umanità che regolano da noi il mondo del lavoro e che invece le importazioni da quei Paesi che tali regole NON RISPETTANO  siano vietate, considerate CONTRABBANDO e PUNITE SEVERISSIMAENTE..!!
Così facendo si difenderebbero i nostri posti di lavoro, il benessere dei Paesi civili e si COSTRINGEREBBERO  i Paesi che non lo sono a diventarlo per non soccombere e per partecipare al mercato mondiale!
Certamente per decidere in tal senso bisogna riacquistare il senso delle priorità e ritornare ad anteporre l’uomo al denaro ed il sangue all’oro altrimenti l’ingordigia dei guadagni farà aggio sulla giustezza della logica e sulla forza dell’Umanità.
Ma forse per fare questo è necessaria una rivoluzione..
Avremo la forza, la capacità e la volontà di farla..??

Alessandro Mezzano



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