sabato 7 novembre 2015

VATICANO...

Vaticano: una fucina di conti segreti, sprechi, privilegi e spese pazze

Conti segreti, sprechi, privilegi e spese pazze: ecco la nuova Vatileaks che scuote il Vaticano.
La rivoluzione della sobrietà di Papa Francesco non decolla. Nelle carte l’attico di Bertone restaurato con i fondi del Bambin Gesù e i 5mila appartamenti della Curia. E dai soldi di carità dello Ior nulla va ai poveri.
La rivoluzione della sobrietà di Francesco ha il piombo nelle ali. I documenti contenuti nei libri «Via Crucis » di Gianluigi Nuzzi e «Avarizia» di Emiliano Fittipaldi illuminano realtà inedite e altre già emerse nei mesi scorsi.
Carte riservate su ricchezza, scandali e incoerenze tra la «Chiesa povera per i poveri» di Bergoglio e il reale svolgimento della vita in Vaticano oggi. Nell’insieme i volumi tracciano a tinte fosche un panorama inquietante. Dai mega-appartamenti da 500metri quadri dei cardinali di Curia al tesoretto ecclesiastico di quattro miliardi di euro in proprietà immobiliari. Segreti non ritenuti così rivelatori della situazione del pontificato da meritare negli Usa l’anteprima dei principali media, che non fanno mai sconti alla Chiesa. Non vi hanno trovato novità o dati sconvolgenti.
La Grande Bellezza in Vaticano in un vortice di peccato e santità. I soldi, tanti soldi, raccolti per opere pie finiscono anche per soddisfare la brama di lusso e potere di chi non accetta la rivoluzione di Francesco.
I soldi, certo. Quelli buttati e quelli spariti. La carità raccolta per fare il bene e finita ad alimentare il male. Ma non c’è solo questo nell’inchiesta che ha portato all’arresto di monsignor Vallejo Balda e della Chaouqui (scarcerata, lei, perché sta attivamente collaborando con la Gendarmeria vaticana). A ben vedere quel che è sotto accusa è il modo d’essere del Vaticano a Roma, la città che da sempre ospita il Papa e la Curia, e a poco a poco è riuscita a trasformare questa grande, eterna, istituzione universale, in una colossale centrale di scambio di favori e rapporti clientelari. Tal che si può dire che una parte consistente della popolazione della Capitale, non necessariamente appartenente alla classe dirigente, vive e ha vissuto alle spalle del Romano Pontefice e dei suoi cardinali e monsignori, in un sistema che a tutto è sopravvissuto, la fine della Democrazia cristiana, della Prima e della Seconda Repubblica, il declino e la morte di Andreotti, che di quel mondo è stato l’ambasciatore presso tutti i governi, anche quelli di cui raramente non faceva parte. E poi il divorzio, l’aborto e le unioni gay, l’inaridirsi dei patti del Concordato, le incomprensioni sempre più forti, con Prodi, prima, e poi con Berlusconi; fino a Renzi, ricevuto con la famiglia e con grande simpatia da Papa Francesco, che, dopo l’incontro, si sarebbe lasciato sfuggire: «Però, parla sempre lui!». 
PATRIMONIO IMMOBILIARE: Destinato a cadere, a soccombere all’onda che ha valicato il Tevere dei poveri che cercano giustizia è ciò che al Papa appare come una casta; è quest’intreccio di convenienze, grandi e piccoli privilegi, aiuti chiesti, promessi e restituiti. Un mondo stretto, fatto solo di conoscenze, le tessere di favore per entrare allo spaccio o nella farmacia vaticana; le messe chiuse, esclusive, a inviti, che nei giorni prima di Natale ancora oggi vedono entrare in fila dalla Porta di Sant’Anna le berline scure di ministri e sottosegretari venuti a chiedere la benedizione, con mogli, figli e statuetta del Bambin Gesù da riporre nel presepe. Le sole case dell’Apsa, l’amministrazione del patrimonio immobiliare del Vaticano, 5050 tra appartamenti, negozi, terreni e locali di vario tipo, dislocati in buona parte al centro di Roma, alimentano un mercato sotterraneo di cui invano la commissione papale nominata da Francesco ha cercato di misurare l’entità. Si sa che per diventare inquilini del Santo Padre c’è una fila di aspiranti disposti anche ad aspettare mesi, se non anni; circolano elenchi segreti di occupanti anziani che per motivi di salute, per necessità o per morte, potrebbero lasciare liberi gli alloggi all’improvviso, o forse cedere a una generosa buonuscita. E si racconta di un bravo sarto romano, neppure un grande sarto di firma, accurato nel fasciare le Eminenze con eleganti tonache su misura, cappotti in cachemire e «magne cappe», mantelli lunghi anche otto metri per le cerimonie liturgiche ufficiali, che nelle case dell’Apsa aveva sistemato tutta la famiglia, figli, nuore e nipoti compresi.
FELLINI PROFETICO: Tanti anni fa, quando uscì nei cinema il «Roma» di Fellini, la scena madre della sfilata di moda dei monsignori avvolti nei loro paramenti dorati fu considerata sacrilega, e invece era profetica: vi si affacciavano, descritte per la prima volta con la mano magistrale del grande regista, la mondanità e la vanità tenute nascoste per anni, e una chiara allusione all’effeminatezza, oggi si direbbe la gaiezza, di certi principi della Chiesa rubicondi e appesantiti da pranzi e libagioni, che si godevano la vita terrena non sapendo cosa avrebbe potuto riservargli l’Aldilà. Era – ed è ancora, sono abitudini mai tramontate in certi giri della Capitale – l’epoca in cui un pranzo o un ricevimento importante non era tale se insieme a un ministro o a un leader politico non sedevano, uno accanto all’altro, un ambasciatore, un porporato e un pregiudicato. Le riffe, le cacce al tesoro, perfino il gioco d’azzardo praticato nei circoli cittadini, dove le buste coi soldi venivano servite su vassoi d’argento da camerieri in guanti, si confondevano in un vortice di santità e peccati, preghiere e assoluzioni, vizi e virtù, e tutto nel superiore obiettivo del bene da fare, e dei mezzi necessari da procurare, per accontentare il Papa. Che poi troppo spesso il Papa fosse ignaro di quel che gli girava intorno, che non potesse immaginare fino a dove potesse spingersi la corruzione praticata in suo nome, che non conoscesse, o fosse informato solo in parte, delle pratiche illecite svolte dallo Ior, la banca vaticana che il presidente (fino a luglio 2014) Ernst Von Freiberg ha definito senza mezzi termini dedita «al riciclaggio», al contrario erano in molti a saperlo, dietro il Portone di Bronzo. E in tanti si adoperavano per far sì che questa potesse restare la regola. Le dimissioni di Benedetto XVI, l’11 febbraio di due anni fa, piuttosto che trasmettere il senso di gravità e di eccezionalità della decisione, oltre la quale la Chiesa doveva tornare sui suoi passi, avevano accentuato, inverosimilmente, il senso di precarietà del potere papale e il parallelo rafforzamento di quello temporale della Curia e delle sue diverse fazioni. 
CAMMINO INARRESTABILE: E da questo punto di vista l’arrivo di Francesco non era stato uno di quegli imprevisti che solo l’illuminazione dello Spirito Santo può portare nel Conclave. Molto di più: come ha detto il Pontefice fin dal suo primo giorno, l’inizio di un’epoca nuova in cui l’inferno dei poveri comincia a lambire con le sue fiamme le segrete stanze dei principi della Chiesa. Una crociata, un cammino inarrestabile, per Francesco: che non potrà essere rallentato, né dallo scandalo degli arresti di due giorni fa, né dalla pubblicazione dei due libri che stanno per uscire sulla corruzione in Vaticano. L’ingenuità, come chiamarla diversamente, di un Papa che pensava di scoperchiare gli arcana imperi della monarchia più antica del mondo col solo ausilio della sua commissione, di un uomo come monsignor Vallejo Balda e di una donna come la Chaouqui, che raccontava di mettere ogni sera la crema anti screpolature sulle mani del Santo Padre, non avranno conseguenze sulla sua missione, mirata a rifondare la Chiesa. Dovrà ricredersi, spiega chi lo conosce, chi s’illude che prima o poi Francesco s’arrenda. 
Ultimo viene il Corvo: Una delle ossessioni ingigantite dai social consiste nel privilegiare il retroscena alla scena, le modalità con cui si è venuti a conoscenza di un fatto rispetto al fatto vero e proprio. Ogni volta che affiora un’intercettazione non si discute tanto del suo contenuto ma della sua liceità e del chi l’ha fatta uscire e perché. Lo stesso meccanismo si applica alle gole profonde del Vaticano, i famosi Corvi. Dei primi due scandali che squassarono il Cupolone è rimasto nella memoria il maggiordomo del Papa che passò le carte alla stampa. Non che in quelle carte ci fosse scritto che Giulio Andreotti aveva nella sua disponibilità un conto di sette miliardi di lire presso la banca vaticana.
Lo schema si replica in queste ore. È tutto uno svolazzare di pennuti, un proliferare di allusioni sul monsignore spagnolo offeso col Papa per un mancato scatto di carriera, sulla giovane italo-francese issata senza alcuna ragione apparente ai vertici di un ente della Chiesa, sulle loro feste in terrazza riservate ai potenti. Ma il fumo delle chiacchiere rischia di togliere visibilità all’arrosto, ovvero ai documenti che la strana coppia avrebbe messo in circolo, da cui si scopre che il Vaticano possiede 4 miliardi (in euro) di patrimonio immobiliare soltanto a Roma e che valanghe di denaro raccolte per scopi benefici servono a finanziare la bella vita di qualche cardinalone allergico ai costumi evangelici di papa Francesco. Se ci si può permettere una garbata ingerenza nei confronti di uno Stato confinante che notoriamente non se n’è permesse mai, invece di chiudere in gabbia i corvi, il nuovo corso vaticano farebbe meglio a liberarsi degli sciacalli.
CASI NUOVI E VICENDE NOTE:  Alcune situazioni erano già conosciute. Per esempio, il lussuoso attico dell’ex segretario di Stato, Tarcisio Bertone, la «malagestio» della sanità cattolica dall’Idi all’ospedale di Padre Pio a San Giovanni Rotondo, dai conflitti interni per la gestione delle finanze vaticane tra i vertici vaticani (Pell, Calcagno, Parolin). A questo quadro descritto negli ultimi mesi dai mass media, il libro di Nuzzi aggiunge registrazioni di incontri riservati tra prelati e il Papa («i costi sono fuori controllo, ci sono trappole», dice Francesco).  
Bilanci non ufficiali da cui emergono corruzione e malaffare. Per il resto non sono una novità i fasti delle gerarchie, le regge a canone zero, la fabbrica dei santi, le offerte dei fedeli sottratte alla beneficenza, il buco nero delle pensioni, le veline e i veleni di chi sabota le riforme Nell’inchiesta di Fittipaldi, soldi, immobili, sprechi. Ma anche affari sporchi e privilegi. Lo Ior gestisce 4 fondi di carità ma nel 2013 e nel 2014 neppure un euro è andato ai bisognosi o alla solidarietà nonostante saldi in attivo per decine di milioni di euro.  
SPESE PAZZE IN CURIA: Piccole furbizie che diventano business. Come il carburante: garantisce ingenti margini, scrivono gli analisti Ernst&Young. Come si sa, in Vaticano le pompe di benzina sono due, e il prezzo per i consumatori è 20% più basso rispetto a quello italiano. Fittipaldi ricostruisce: ci sono 550 tessere che consentono di fare benzina: 1.800 litri all’anno, 27 mila utenti. Molti non sono autorizzati. Ma non sono solo i due libri in uscita a far affiorare nuovi scandali finanziari in Curia. 
ALTRI SOSPETTI SULLL’APSA: Secondo un documento interno rivelato dall’agenzia Reuters, l’Apsa sarebbe stata usata per riciclare denaro di provenienza oscura dalla Banca Finnat di Giampietro Nattino, il finanziere del quale l’immobiliarista Stefano Ricucci diceva al pm in un interrogatorio: «Chi è Nattino? Ma lei vuole che mi uccidono stasera? Lo lasci stare questo, io lo dico per me poi se lei vuole andare avanti lo faccia. Lei fa quello che le pare, la proteggono 600 persone, ma a me chi mi protegge?». Due milioni sarebbero stati spostati in Svizzera pochi giorni prima che il Vaticano imponesse una stretta con la nuova normativa contro il riciclaggio e mettesse i trasferimenti di denaro sotto controllo minuzioso. Dal 22 maggio 2000 al 29 marzo 2011, a Nattino faceva capo il «Portfolio 339». Origini e finalità di destinazione dei fondi sarebbero «dubbie», si legge nel dossier degli investigatori vaticani di 33 pagine, poi passato alla finanza italiana e svizzera perché potessero a loro volta svolgere accertamenti. L’Apsa gestisce anche finanze e fondi della Santa Sede. Una cassaforte ancora una volta nel mirino.
Mezzo milione in sei mesi, le spese folli del cardinale
G
eorge Pell, detto “il Ranger” volava solo in business class. Nell’elenco anche 47 mila euro di mobili e 2.500 euro in sartoria.

Tra le mille rivelazioni del Vatileaks2, ha fatto impressione la lista delle spese del cardinale George Pell, detto «il Ranger», il porporato australiano che è stato chiamato a Roma a mettere ordine nei conti della Curia.
A voler usare un eufemismo, Pell non è amato. Guarda caso la sua preziosa nota spese viene rubata da un ignoto hacker e ora compare nel libro «Avarizia» di Fittipaldi. Notizie del diavolo, si dirà. Sì, ma da leccarsi i baffi. «Da luglio 2014 a gennaio 2015 gli esborsi hanno infatti toccato i 501 mila euro». Nell’elenco c’è un sottolavello da 4600 euro, ma anche 7292 euro di tappezzeria, 47 mila euro per mobili e armadi, lavoretti vari da 33 mila euro. Il cardinale o uno dei suoi segretari hanno messo in nota spese anche gli acquisti fatti al negozio Gammarelli, sartoria storica che dal 1798 veste la curia della Città Eterna: in genere i porporati pagano di tasca loro tuniche e berretta, stavolta la segreteria ha fatturato direttamente abiti per 2508 euro.
Pesante anche il capitolo viaggi. Il «Ranger» per andare da Roma a Londra lo scorso 3 luglio ha speso 1103 euro, business class. Quattro giorni dopo si è fatto rimborsare un volo Roma-Dresda, in Germania, da 1150 euro, un altro per Monaco da 1238, mentre lo scorso settembre la Scuola dell’Annunciazione del Devon, di cui l’ultraconservatore è diventato «patrono», ha dovuto sganciare per un Roma-Londra 1293 euro. Pell e il suo vice Casey si accomodano in business anche quando vanno a Malta, dove vanno ad ascoltare i consigli del finanziere Joseph Zahra. Ma sono tutti gli uomini vicini al cardinale a volare in business, da lord Christopher Patten (ex presidente della Bbc che dovrebbe riformare la comunicazione della Santa Sede) all’industriale di Singapore George Yeo, membro della Commissione per la riforma del Vaticano.
Un menage dispendiosissimo che fa a pugni con i desideri del Papa e non così dissimile da quanto emerso, per dire, dai processi a carico di Don Verzè e altri amministratori del «San Raffaele», i quali hanno dissipato una cinquantina di milioni in fondi neri, jet privati, fazende brasiliane, ville con piscina, e spese strampalate tra cui quella per un’enorme voliera piena di pappagallini in ufficio.
La verità è che quando a saldare le fatture è il Vaticano, non si fanno sconti. Così capita – scrive Gianluigi Nuzzi – che «in tre anni la società Cap Gemini Ernst & Young si è fatta pagare ben 10 miliardi di vecchie lire (5,6 milioni di euro) per una consulenza sul sistema contabile».
Il Vaticano raccoglie donazioni da tutto il mondo, il Governatorato poi le dilapida. «Già nel 2009-10 un’analisi riservata di McKinsey sui conti dell’ente aveva fatto emergere una situazione disastrosa. Diversi centri di spesa, come quelli relativi alla manutenzione, presentavano costi maggiori dal 200 e fino al 400 per cento rispetto alle tariffe di mercato». Quel monsignor Viganò che aveva provato a frenare le spese pazze (famoso il caso di un albero di Natale costato 500 mila euro) è finito screditato e esiliato a Washington.


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