Vaticano: una fucina di conti segreti, sprechi, privilegi e spese pazze
Conti segreti, sprechi, privilegi e spese pazze: ecco la nuova Vatileaks che scuote il Vaticano.
La rivoluzione della sobrietà di Papa Francesco non decolla. Nelle carte l’attico di Bertone restaurato con i fondi del Bambin Gesù e i 5mila appartamenti della Curia. E dai soldi di carità dello Ior nulla va ai poveri.
La rivoluzione della sobrietà di Francesco ha il piombo nelle ali. I documenti contenuti nei libri «Via Crucis » di Gianluigi Nuzzi e «Avarizia» di Emiliano Fittipaldi illuminano realtà inedite e altre già emerse nei mesi scorsi.
Carte riservate su ricchezza, scandali e incoerenze tra la «Chiesa povera per i poveri» di Bergoglio e il reale svolgimento della vita in Vaticano oggi. Nell’insieme i volumi tracciano a tinte fosche un panorama inquietante. Dai mega-appartamenti da 500metri quadri dei cardinali di Curia al tesoretto ecclesiastico di quattro miliardi di euro in proprietà immobiliari. Segreti non ritenuti così rivelatori della situazione del pontificato da meritare negli Usa l’anteprima dei principali media, che non fanno mai sconti alla Chiesa. Non vi hanno trovato novità o dati sconvolgenti.
La rivoluzione della sobrietà di Papa Francesco non decolla. Nelle carte l’attico di Bertone restaurato con i fondi del Bambin Gesù e i 5mila appartamenti della Curia. E dai soldi di carità dello Ior nulla va ai poveri.
La rivoluzione della sobrietà di Francesco ha il piombo nelle ali. I documenti contenuti nei libri «Via Crucis » di Gianluigi Nuzzi e «Avarizia» di Emiliano Fittipaldi illuminano realtà inedite e altre già emerse nei mesi scorsi.
Carte riservate su ricchezza, scandali e incoerenze tra la «Chiesa povera per i poveri» di Bergoglio e il reale svolgimento della vita in Vaticano oggi. Nell’insieme i volumi tracciano a tinte fosche un panorama inquietante. Dai mega-appartamenti da 500metri quadri dei cardinali di Curia al tesoretto ecclesiastico di quattro miliardi di euro in proprietà immobiliari. Segreti non ritenuti così rivelatori della situazione del pontificato da meritare negli Usa l’anteprima dei principali media, che non fanno mai sconti alla Chiesa. Non vi hanno trovato novità o dati sconvolgenti.
La
Grande Bellezza in Vaticano in un vortice di peccato e santità. I soldi,
tanti soldi, raccolti per opere pie finiscono anche per soddisfare la
brama di lusso e potere di chi non accetta la rivoluzione di Francesco.
I soldi, certo. Quelli buttati e quelli spariti. La carità raccolta per fare il bene e finita ad alimentare il male. Ma non c’è solo questo nell’inchiesta che ha portato all’arresto di monsignor Vallejo Balda e della Chaouqui (scarcerata, lei, perché sta attivamente collaborando con la Gendarmeria vaticana). A ben vedere quel che è sotto accusa è il modo d’essere del Vaticano a Roma, la città che da sempre ospita il Papa e la Curia, e a poco a poco è riuscita a trasformare questa grande, eterna, istituzione universale, in una colossale centrale di scambio di favori e rapporti clientelari. Tal che si può dire che una parte consistente della popolazione della Capitale, non necessariamente appartenente alla classe dirigente, vive e ha vissuto alle spalle del Romano Pontefice e dei suoi cardinali e monsignori, in un sistema che a tutto è sopravvissuto, la fine della Democrazia cristiana, della Prima e della Seconda Repubblica, il declino e la morte di Andreotti, che di quel mondo è stato l’ambasciatore presso tutti i governi, anche quelli di cui raramente non faceva parte. E poi il divorzio, l’aborto e le unioni gay, l’inaridirsi dei patti del Concordato, le incomprensioni sempre più forti, con Prodi, prima, e poi con Berlusconi; fino a Renzi, ricevuto con la famiglia e con grande simpatia da Papa Francesco, che, dopo l’incontro, si sarebbe lasciato sfuggire: «Però, parla sempre lui!».
I soldi, certo. Quelli buttati e quelli spariti. La carità raccolta per fare il bene e finita ad alimentare il male. Ma non c’è solo questo nell’inchiesta che ha portato all’arresto di monsignor Vallejo Balda e della Chaouqui (scarcerata, lei, perché sta attivamente collaborando con la Gendarmeria vaticana). A ben vedere quel che è sotto accusa è il modo d’essere del Vaticano a Roma, la città che da sempre ospita il Papa e la Curia, e a poco a poco è riuscita a trasformare questa grande, eterna, istituzione universale, in una colossale centrale di scambio di favori e rapporti clientelari. Tal che si può dire che una parte consistente della popolazione della Capitale, non necessariamente appartenente alla classe dirigente, vive e ha vissuto alle spalle del Romano Pontefice e dei suoi cardinali e monsignori, in un sistema che a tutto è sopravvissuto, la fine della Democrazia cristiana, della Prima e della Seconda Repubblica, il declino e la morte di Andreotti, che di quel mondo è stato l’ambasciatore presso tutti i governi, anche quelli di cui raramente non faceva parte. E poi il divorzio, l’aborto e le unioni gay, l’inaridirsi dei patti del Concordato, le incomprensioni sempre più forti, con Prodi, prima, e poi con Berlusconi; fino a Renzi, ricevuto con la famiglia e con grande simpatia da Papa Francesco, che, dopo l’incontro, si sarebbe lasciato sfuggire: «Però, parla sempre lui!».
PATRIMONIO IMMOBILIARE: Destinato
a cadere, a soccombere all’onda che ha valicato il Tevere dei poveri
che cercano giustizia è ciò che al Papa appare come una casta; è
quest’intreccio di convenienze, grandi e piccoli privilegi, aiuti
chiesti, promessi e restituiti. Un mondo stretto, fatto solo di
conoscenze, le tessere di favore per entrare allo spaccio o nella
farmacia vaticana; le messe chiuse, esclusive, a inviti, che nei giorni
prima di Natale ancora oggi vedono entrare in fila dalla Porta di
Sant’Anna le berline scure di ministri e sottosegretari venuti a
chiedere la benedizione, con mogli, figli e statuetta del Bambin Gesù da
riporre nel presepe. Le sole case dell’Apsa, l’amministrazione del
patrimonio immobiliare del Vaticano, 5050 tra appartamenti, negozi,
terreni e locali di vario tipo, dislocati in buona parte al centro di
Roma, alimentano un mercato sotterraneo di cui invano la commissione
papale nominata da Francesco ha cercato di misurare l’entità. Si sa che
per diventare inquilini del Santo Padre c’è una fila di aspiranti
disposti anche ad aspettare mesi, se non anni; circolano elenchi segreti
di occupanti anziani che per motivi di salute, per necessità o per
morte, potrebbero lasciare liberi gli alloggi all’improvviso, o forse
cedere a una generosa buonuscita. E si racconta di un bravo sarto
romano, neppure un grande sarto di firma, accurato nel fasciare le
Eminenze con eleganti tonache su misura, cappotti in cachemire e «magne
cappe», mantelli lunghi anche otto metri per le cerimonie liturgiche
ufficiali, che nelle case dell’Apsa aveva sistemato tutta la famiglia,
figli, nuore e nipoti compresi.
FELLINI PROFETICO: Tanti
anni fa, quando uscì nei cinema il «Roma» di Fellini, la scena madre
della sfilata di moda dei monsignori avvolti nei loro paramenti dorati
fu considerata sacrilega, e invece era profetica: vi si affacciavano,
descritte per la prima volta con la mano magistrale del grande regista,
la mondanità e la vanità tenute nascoste per anni, e una chiara
allusione all’effeminatezza, oggi si direbbe la gaiezza, di certi
principi della Chiesa rubicondi e appesantiti da pranzi e libagioni, che
si godevano la vita terrena non sapendo cosa avrebbe potuto riservargli
l’Aldilà. Era – ed è ancora, sono abitudini mai tramontate in certi
giri della Capitale – l’epoca in cui un pranzo o un ricevimento
importante non era tale se insieme a un ministro o a un leader politico
non sedevano, uno accanto all’altro, un ambasciatore, un porporato e un
pregiudicato. Le riffe, le cacce al tesoro, perfino il gioco d’azzardo
praticato nei circoli cittadini, dove le buste coi soldi venivano
servite su vassoi d’argento da camerieri in guanti, si confondevano in
un vortice di santità e peccati, preghiere e assoluzioni, vizi e virtù, e
tutto nel superiore obiettivo del bene da fare, e dei mezzi necessari
da procurare, per accontentare il Papa. Che poi troppo spesso il Papa
fosse ignaro di quel che gli girava intorno, che non potesse immaginare
fino a dove potesse spingersi la corruzione praticata in suo nome, che
non conoscesse, o fosse informato solo in parte, delle pratiche illecite
svolte dallo Ior, la banca vaticana che il presidente (fino a luglio
2014) Ernst Von Freiberg ha definito senza mezzi termini dedita «al
riciclaggio», al contrario erano in molti a saperlo, dietro il Portone
di Bronzo. E in tanti si adoperavano per far sì che questa potesse
restare la regola. Le dimissioni di Benedetto XVI, l’11 febbraio di due
anni fa, piuttosto che trasmettere il senso di gravità e di
eccezionalità della decisione, oltre la quale la Chiesa doveva tornare
sui suoi passi, avevano accentuato, inverosimilmente, il senso di
precarietà del potere papale e il parallelo rafforzamento di quello
temporale della Curia e delle sue diverse fazioni.
CAMMINO INARRESTABILE: E
da questo punto di vista l’arrivo di Francesco non era stato uno di
quegli imprevisti che solo l’illuminazione dello Spirito Santo può
portare nel Conclave. Molto di più: come ha detto il Pontefice fin dal
suo primo giorno, l’inizio di un’epoca nuova in cui l’inferno dei poveri
comincia a lambire con le sue fiamme le segrete stanze dei principi
della Chiesa. Una crociata, un cammino inarrestabile, per Francesco: che
non potrà essere rallentato, né dallo scandalo degli arresti di due
giorni fa, né dalla pubblicazione dei due libri che stanno per uscire
sulla corruzione in Vaticano. L’ingenuità, come chiamarla diversamente,
di un Papa che pensava di scoperchiare gli arcana imperi della monarchia
più antica del mondo col solo ausilio della sua commissione, di un uomo
come monsignor Vallejo Balda e di una donna come la Chaouqui, che
raccontava di mettere ogni sera la crema anti screpolature sulle mani
del Santo Padre, non avranno conseguenze sulla sua missione, mirata a
rifondare la Chiesa. Dovrà ricredersi, spiega chi lo conosce, chi
s’illude che prima o poi Francesco s’arrenda.
Ultimo viene il Corvo: Una
delle ossessioni ingigantite dai social consiste nel privilegiare il
retroscena alla scena, le modalità con cui si è venuti a conoscenza di
un fatto rispetto al fatto vero e proprio. Ogni volta che affiora
un’intercettazione non si discute tanto del suo contenuto ma della sua
liceità e del chi l’ha fatta uscire e perché. Lo stesso meccanismo si
applica alle gole profonde del Vaticano, i famosi Corvi. Dei primi due
scandali che squassarono il Cupolone è rimasto nella memoria il
maggiordomo del Papa che passò le carte alla stampa. Non che in quelle
carte ci fosse scritto che Giulio Andreotti aveva nella sua
disponibilità un conto di sette miliardi di lire presso la banca
vaticana.
Lo schema si replica in queste ore. È tutto uno svolazzare di pennuti, un proliferare di allusioni sul monsignore spagnolo offeso col Papa per un mancato scatto di carriera, sulla giovane italo-francese issata senza alcuna ragione apparente ai vertici di un ente della Chiesa, sulle loro feste in terrazza riservate ai potenti. Ma il fumo delle chiacchiere rischia di togliere visibilità all’arrosto, ovvero ai documenti che la strana coppia avrebbe messo in circolo, da cui si scopre che il Vaticano possiede 4 miliardi (in euro) di patrimonio immobiliare soltanto a Roma e che valanghe di denaro raccolte per scopi benefici servono a finanziare la bella vita di qualche cardinalone allergico ai costumi evangelici di papa Francesco. Se ci si può permettere una garbata ingerenza nei confronti di uno Stato confinante che notoriamente non se n’è permesse mai, invece di chiudere in gabbia i corvi, il nuovo corso vaticano farebbe meglio a liberarsi degli sciacalli.
Lo schema si replica in queste ore. È tutto uno svolazzare di pennuti, un proliferare di allusioni sul monsignore spagnolo offeso col Papa per un mancato scatto di carriera, sulla giovane italo-francese issata senza alcuna ragione apparente ai vertici di un ente della Chiesa, sulle loro feste in terrazza riservate ai potenti. Ma il fumo delle chiacchiere rischia di togliere visibilità all’arrosto, ovvero ai documenti che la strana coppia avrebbe messo in circolo, da cui si scopre che il Vaticano possiede 4 miliardi (in euro) di patrimonio immobiliare soltanto a Roma e che valanghe di denaro raccolte per scopi benefici servono a finanziare la bella vita di qualche cardinalone allergico ai costumi evangelici di papa Francesco. Se ci si può permettere una garbata ingerenza nei confronti di uno Stato confinante che notoriamente non se n’è permesse mai, invece di chiudere in gabbia i corvi, il nuovo corso vaticano farebbe meglio a liberarsi degli sciacalli.
CASI NUOVI E VICENDE NOTE:
Alcune situazioni erano già conosciute. Per esempio, il lussuoso
attico dell’ex segretario di Stato, Tarcisio Bertone, la «malagestio»
della sanità cattolica dall’Idi all’ospedale di Padre Pio a San Giovanni
Rotondo, dai conflitti interni per la gestione delle finanze vaticane
tra i vertici vaticani (Pell, Calcagno, Parolin). A questo quadro
descritto negli ultimi mesi dai mass media, il libro di Nuzzi aggiunge
registrazioni di incontri riservati tra prelati e il Papa («i costi sono
fuori controllo, ci sono trappole», dice Francesco).
Bilanci non
ufficiali da cui emergono corruzione e malaffare. Per il resto non sono
una novità i fasti delle gerarchie, le regge a canone zero, la fabbrica
dei santi, le offerte dei fedeli sottratte alla beneficenza, il buco
nero delle pensioni, le veline e i veleni di chi sabota le riforme
Nell’inchiesta di Fittipaldi, soldi, immobili, sprechi. Ma anche affari
sporchi e privilegi. Lo Ior gestisce 4 fondi di carità ma nel 2013 e nel
2014 neppure un euro è andato ai bisognosi o alla solidarietà
nonostante saldi in attivo per decine di milioni di euro.
SPESE PAZZE IN CURIA: Piccole
furbizie che diventano business. Come il carburante: garantisce ingenti
margini, scrivono gli analisti Ernst&Young. Come si sa, in Vaticano
le pompe di benzina sono due, e il prezzo per i consumatori è 20% più
basso rispetto a quello italiano. Fittipaldi ricostruisce: ci sono 550
tessere che consentono di fare benzina: 1.800 litri all’anno, 27 mila
utenti. Molti non sono autorizzati. Ma non sono solo i due libri in
uscita a far affiorare nuovi scandali finanziari in Curia.
ALTRI SOSPETTI SULLL’APSA:
Secondo un documento interno rivelato dall’agenzia Reuters, l’Apsa
sarebbe stata usata per riciclare denaro di provenienza oscura dalla
Banca Finnat di Giampietro Nattino, il finanziere del quale
l’immobiliarista Stefano Ricucci diceva al pm in un interrogatorio: «Chi
è Nattino? Ma lei vuole che mi uccidono stasera? Lo lasci stare questo,
io lo dico per me poi se lei vuole andare avanti lo faccia. Lei fa
quello che le pare, la proteggono 600 persone, ma a me chi mi
protegge?». Due milioni sarebbero stati spostati in Svizzera pochi
giorni prima che il Vaticano imponesse una stretta con la nuova
normativa contro il riciclaggio e mettesse i trasferimenti di denaro
sotto controllo minuzioso. Dal 22 maggio 2000 al 29 marzo 2011, a
Nattino faceva capo il «Portfolio 339». Origini e finalità di
destinazione dei fondi sarebbero «dubbie», si legge nel dossier degli
investigatori vaticani di 33 pagine, poi passato alla finanza italiana e
svizzera perché potessero a loro volta svolgere accertamenti. L’Apsa
gestisce anche finanze e fondi della Santa Sede. Una cassaforte ancora
una volta nel mirino.
Mezzo milione in sei mesi, le spese folli del cardinale
George Pell, detto “il Ranger” volava solo in business class. Nell’elenco anche 47 mila euro di mobili e 2.500 euro in sartoria.
Tra le mille rivelazioni del Vatileaks2, ha fatto impressione la lista delle spese del cardinale George Pell, detto «il Ranger», il porporato australiano che è stato chiamato a Roma a mettere ordine nei conti della Curia.
A voler usare un eufemismo, Pell non è amato. Guarda caso la sua preziosa nota spese viene rubata da un ignoto hacker e ora compare nel libro «Avarizia» di Fittipaldi. Notizie del diavolo, si dirà. Sì, ma da leccarsi i baffi. «Da luglio 2014 a gennaio 2015 gli esborsi hanno infatti toccato i 501 mila euro». Nell’elenco c’è un sottolavello da 4600 euro, ma anche 7292 euro di tappezzeria, 47 mila euro per mobili e armadi, lavoretti vari da 33 mila euro. Il cardinale o uno dei suoi segretari hanno messo in nota spese anche gli acquisti fatti al negozio Gammarelli, sartoria storica che dal 1798 veste la curia della Città Eterna: in genere i porporati pagano di tasca loro tuniche e berretta, stavolta la segreteria ha fatturato direttamente abiti per 2508 euro.
Pesante anche il capitolo viaggi. Il «Ranger» per andare da Roma a Londra lo scorso 3 luglio ha speso 1103 euro, business class. Quattro giorni dopo si è fatto rimborsare un volo Roma-Dresda, in Germania, da 1150 euro, un altro per Monaco da 1238, mentre lo scorso settembre la Scuola dell’Annunciazione del Devon, di cui l’ultraconservatore è diventato «patrono», ha dovuto sganciare per un Roma-Londra 1293 euro. Pell e il suo vice Casey si accomodano in business anche quando vanno a Malta, dove vanno ad ascoltare i consigli del finanziere Joseph Zahra. Ma sono tutti gli uomini vicini al cardinale a volare in business, da lord Christopher Patten (ex presidente della Bbc che dovrebbe riformare la comunicazione della Santa Sede) all’industriale di Singapore George Yeo, membro della Commissione per la riforma del Vaticano.
Un menage dispendiosissimo che fa a pugni con i desideri del Papa e non così dissimile da quanto emerso, per dire, dai processi a carico di Don Verzè e altri amministratori del «San Raffaele», i quali hanno dissipato una cinquantina di milioni in fondi neri, jet privati, fazende brasiliane, ville con piscina, e spese strampalate tra cui quella per un’enorme voliera piena di pappagallini in ufficio.
La verità è che quando a saldare le fatture è il Vaticano, non si fanno sconti. Così capita – scrive Gianluigi Nuzzi – che «in tre anni la società Cap Gemini Ernst & Young si è fatta pagare ben 10 miliardi di vecchie lire (5,6 milioni di euro) per una consulenza sul sistema contabile».
Il Vaticano raccoglie donazioni da tutto il mondo, il Governatorato poi le dilapida. «Già nel 2009-10 un’analisi riservata di McKinsey sui conti dell’ente aveva fatto emergere una situazione disastrosa. Diversi centri di spesa, come quelli relativi alla manutenzione, presentavano costi maggiori dal 200 e fino al 400 per cento rispetto alle tariffe di mercato». Quel monsignor Viganò che aveva provato a frenare le spese pazze (famoso il caso di un albero di Natale costato 500 mila euro) è finito screditato e esiliato a Washington.
George Pell, detto “il Ranger” volava solo in business class. Nell’elenco anche 47 mila euro di mobili e 2.500 euro in sartoria.
Tra le mille rivelazioni del Vatileaks2, ha fatto impressione la lista delle spese del cardinale George Pell, detto «il Ranger», il porporato australiano che è stato chiamato a Roma a mettere ordine nei conti della Curia.
A voler usare un eufemismo, Pell non è amato. Guarda caso la sua preziosa nota spese viene rubata da un ignoto hacker e ora compare nel libro «Avarizia» di Fittipaldi. Notizie del diavolo, si dirà. Sì, ma da leccarsi i baffi. «Da luglio 2014 a gennaio 2015 gli esborsi hanno infatti toccato i 501 mila euro». Nell’elenco c’è un sottolavello da 4600 euro, ma anche 7292 euro di tappezzeria, 47 mila euro per mobili e armadi, lavoretti vari da 33 mila euro. Il cardinale o uno dei suoi segretari hanno messo in nota spese anche gli acquisti fatti al negozio Gammarelli, sartoria storica che dal 1798 veste la curia della Città Eterna: in genere i porporati pagano di tasca loro tuniche e berretta, stavolta la segreteria ha fatturato direttamente abiti per 2508 euro.
Pesante anche il capitolo viaggi. Il «Ranger» per andare da Roma a Londra lo scorso 3 luglio ha speso 1103 euro, business class. Quattro giorni dopo si è fatto rimborsare un volo Roma-Dresda, in Germania, da 1150 euro, un altro per Monaco da 1238, mentre lo scorso settembre la Scuola dell’Annunciazione del Devon, di cui l’ultraconservatore è diventato «patrono», ha dovuto sganciare per un Roma-Londra 1293 euro. Pell e il suo vice Casey si accomodano in business anche quando vanno a Malta, dove vanno ad ascoltare i consigli del finanziere Joseph Zahra. Ma sono tutti gli uomini vicini al cardinale a volare in business, da lord Christopher Patten (ex presidente della Bbc che dovrebbe riformare la comunicazione della Santa Sede) all’industriale di Singapore George Yeo, membro della Commissione per la riforma del Vaticano.
Un menage dispendiosissimo che fa a pugni con i desideri del Papa e non così dissimile da quanto emerso, per dire, dai processi a carico di Don Verzè e altri amministratori del «San Raffaele», i quali hanno dissipato una cinquantina di milioni in fondi neri, jet privati, fazende brasiliane, ville con piscina, e spese strampalate tra cui quella per un’enorme voliera piena di pappagallini in ufficio.
La verità è che quando a saldare le fatture è il Vaticano, non si fanno sconti. Così capita – scrive Gianluigi Nuzzi – che «in tre anni la società Cap Gemini Ernst & Young si è fatta pagare ben 10 miliardi di vecchie lire (5,6 milioni di euro) per una consulenza sul sistema contabile».
Il Vaticano raccoglie donazioni da tutto il mondo, il Governatorato poi le dilapida. «Già nel 2009-10 un’analisi riservata di McKinsey sui conti dell’ente aveva fatto emergere una situazione disastrosa. Diversi centri di spesa, come quelli relativi alla manutenzione, presentavano costi maggiori dal 200 e fino al 400 per cento rispetto alle tariffe di mercato». Quel monsignor Viganò che aveva provato a frenare le spese pazze (famoso il caso di un albero di Natale costato 500 mila euro) è finito screditato e esiliato a Washington.
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