.
FRANCO ASCHIERI, diciassettenne
romano, nel settembre 1943 lascia gli studi per arruolarsi nella X MAS.
Paracadutista, viene assegnato ai Servizi Speciali operanti al di là
delle linee nemiche. Fatto prigioniero e fucilato il 30 aprile 1944 a S.
Maria Capua Vetere.
VIRGILIO SCARPELLINI DI 19 ANNI
FUCILATO A S. MARIA CAPUA VETERE IL 6 MAGGIO 1944
BERTOLI MAURO DI 18 ANNI
FUCILATO A S. MARIA CAPUA VETERE IL 30 APRILE 1944
FUCILATO A S. MARIA CAPUA VETERE IL 6 MAGGIO 1944
BERTOLI MAURO DI 18 ANNI
FUCILATO A S. MARIA CAPUA VETERE IL 30 APRILE 1944
La lapide posta a Sant'Angelo in Formis, a ricordo dei 13 giovani
volontari della RSI fucilati dagli angloamericani, porta scritte le
seguenti parole: "Nel gigantesco scontro del "sangue contro l'oro" qui,
tra Gennaio e Maggio del 1944, nella visione di una più grande Italia in
un'Europa unita, caddero fucilati dagli invasori angloamericani, i
giovani soldati della RSI.
Da sinistra: Franco Aschieri, Italo Palesse, Don Ferrieri, Giorgio Tapoli, Vincenzo Tedesco. Foto scattata la mattina dell'esecuzione.
LA FUCILAZIONE DI ITALO PALESSE
«SABOTATORI» DELLA R.S.I.
FUCILATI DAGLI ALLEATI
Furono trattati come spie degne di disprezzo e presto furono dimenticati: in realtà furono dei puri eroi
Filippo Giannini
Nell'estate 1944 aerei angloamericani, insieme alle bombe, lanciarono
dei «volantini» che annunciavano l'avvenuta esecuzione di giovani
«sabotatori» appartenenti ai «Reparti Speciali» della RSI.
Insieme alla logica del «bombardamento a tappeto», il lancio di
questi «volantini», rientrava nella tecnica alleata della «guerra del
terrore».
Infatti il padre di uno di questi giovani (Alfonso Guadagno) apprese
in questo modo incivile l'avvenuta esecuzione del figlio. Interessante,
dal punto di vista storico, il testo di questi «manifestini», da uno dei
quali ne stralciamo una parte. Su un lato del foglio erano stampate le
foto dei giovani giustiziati, sul retro venivano indicati i loro nomi,
il luogo e la data di nascita. Il testo così continuava:
«Prima di loro altre spie sono state passate per le armi, benché nei
loro casi non furono buttati manifestini. Inoltre, altri ancora sono
stati già catturati e finiranno davanti ai plotoni d'esecuzione alleati
(... ) Ma gli Alleati non possono essere generosi in casi di tale
gravità. La legge internazionale ammette la pena di morte quale
punizione dei reati di spionaggio e sabotaggio. Le Nazioni Unite
intendono applicare questa legge (... )».
Il messaggio continua con altre minacce rivolte a quei giovani che
avessero voluto seguire l'esempio dei catturati e candidati alla
fucilazione.
La «legge internazionale», alla quale gli Alleati nel loro
«volantino» fanno riferimento, è quella dell'Aja, aggiornata poi con
quella di Ginevra: «(Art. 4) Gli illegittimi combattenti vengono
dovunque perseguiti con pene severissime e sono generalmente sottoposti
alla pena capitale. Nella guerra terrestre i franchi tiratori che
operano nelle retrovie nemiche, infiltrandosi alla spicciolata sotto
mentite spoglie, vengono passati per le armi in caso di cattura, lo
stesso dicasi per i sabotatori».
Quindi, quei giovani appartenenti ai «Reparti Speciali» della RSI, se
catturati dagli Alleati «sotto mentite spoglie» (non in uniforme
regolamentare) erano passibili della pena di morte. E nulla abbiamo da
eccepire su tutto ciò. Solo una rapida e semplice considerazione:
passibili della stessa pena, perché il reato era identico, lo erano
anche «i partigiani» nella RSI. In realtà il governo della RSI agì con
moderazione, perché la gran parte dei franchi tiratori fu rinchiusa in
prigione (i più pericolosi considerati ostaggi a difesa di attentati),
molti altri, dietro loro richiesta e previo formale impegno a non
nuocere più alle Unità della RSI, venivano inviati come «lavoratori
militarizzati» nei «Battaglioni Complementi». Nella maggioranza dei
casi, questi mantennero il loro impegno sino alla fine delle ostilità.
Dopo il disastro dell'8 settembre '43, la resistenza contro le forze
occupanti angloamericane, nel Sud d'Italia, fu condotta da elementi
fascisti. Queste erano piccole formazioni clandestine che operavano
isolatamente, ma delle quali sarà opportuno fare la storia.
Nel Nord, in seno alla nascente RSI, si formarono «Servizi Speciali»,
nei quali operavano giovani volontari, di entrambi i sessi che,
superato il periodo d'addestramento, venivano paracadutati o sbarcati da
sommergibili o, ancor più semplicemente (ma audacemente) attraversavano
le linee del fronte per operare con azioni di sabotaggio e raccolta di
informazioni. Il loro numero era di circa 4000 volontari e di questi,
tra i 70 e i 100, furono catturati e passati per le armi.
La testimonianza di coloro che furono accanto a questi giovani negli
ultimi istanti della loro breve vita, può offrire un quadro della fine
stoica di alcuni di loro.
In questi anni di grande confusione morale è bene ricordare che quei
ragazzi, come vedremo, provenivano da ogni regione d'Italia, dal Nord al
«profondo» Sud.
I primi:
Mauro Bertoli nato a Massa Apuania il 23 giugno 1925 e Luigi
Cancellieri nato a Monteroni di Lecce l'l1 gennaio 1925. Entrambi
reagirono con sdegno all'armistizio dell'8 settembre e presentatisi alle
autorità della RSI, espressero il desiderio di essere arruolati nei
«Servizi Speciali» dell'Esercito repubblicano. Iniziarono immediatamente
le missioni loro assegnate. Nell'ultima di queste, furono catturati
dagli inglesi nel dicembre 1943. Sottoposti a sevizie non rivelarono
nulla che potesse compromettere le missioni degli altri componenti del
loro «Gruppo».
La mattina del 21 gennaio 1944 vennero caricati su un camion e
trasportati sul luogo dell'esecuzione, in una cava di S. Angelo in
Formis. Così don Nacca, parroco di S. Erasmo, che li assistette sino
all'ultimo, li ricorda:
«I supremi valori della fede cattolica furono per essi il viatico
sicuro per affrontare sereni e coscienti la realtà ultraterrena (un'ora
prima della morte essi consumarono il pranzo rituale con un tal senso di
giovialità da far pensare a me che tra la vita terrena e quella celeste
per essi non c’era alcun distacco(...). Il Duce era per essi qualcosa
di sacro e perciò meritorio della loro immolazione. Ricevuto l'ordine di
uscire di cella per essere tradotti al posto dell'esecuzione, mi
raccomandarono ancora una volta: - Padre, dica alle nostre mamme che il
nostro cuore non morirà, ma sarà sempre vivo e bruciante d'amore per
esse (...). Affrontarono la morte senza scomporsi, con la fronte alta e
senza paura (...)».
Marino Canteli, nato a S. Giovanni in Persiceto (Bo) il 21 giugno 1922 ed Enrico Menicocci, nato a Marsiglia il 19 marzo 1924.
Dopo la cattura, gli interrogatori e il giudizio, furono condotti
anche loro, il 16 aprile 1944, nelle cave di S. Angelo in Formis. Don
Umberto Piccirillo, parroco di Portico, lasciò questa testimonianza:
«Il 16 aprile 1944 Monsignor Beccarini, arcivescovo di Capua, mi
ordinò di recarmi nel carcere di S. Maria Capua Vetere per portare la
parola di conforto ai giovani fascisti, Cantelli e Menicocci, ambedue
condannati a morte nel marzo '44 (...). Un nodo mi stringeva la gola.
Dopo quasi otto mesi mi trovavo di nuovo dinanzi ai rappresentanti della
vera Patria che dagli invasori venivano considerati come traditori, ma
dalla gente bennata erano considerati come veri e degni figli d'Italia.
Li abbracciai in carcere e li confessai. (... ) Alle ore 9,45 siamo
usciti dalle celle. Nel carcere, per ogni dove, si sentivano le grida
degli altri carcerati che piangevano per la triste sorte dei loro
fratelli (...). Alla cava di pietra, ai due paletti già pronti, furono
legati con una fune. Una benda copriva i loro occhi ed un mirino venne
posto sul loro cuore. I giovani avrebbero voluto essere liberati dalle
bende per guardare ancora una volta, come essi dicevano, in faccia i
loro giustizieri, perdonarli forse e morire, ancora una volta guardando e
salutando il bel cielo d'Italia, per la quale avevano tanto sofferto e
lottato».
Una scarica di otto fucili li fulminò all'istante».
Il 30 aprile 1944 fu la volta di:
Italo Palesse, nato a Cavalletto d'Ocre (Aq) il 10 ottobre 1921;
Franco Aschieri, nato a Milano il 26 aprile 1926; Mario Tapoli, nato a
Roma il 4 giugno 1925; Vincenzo Tedesco, nato a Napoli il 14 aprile
1925.
Di questo gruppo, Italo Palesse, a seguito di una recente
trasmissione televisiva (Combat Movie), è noto perché su di lui si
scagliò una menzogna comunista, poi smascherata.
Franco Aschieri, figlio di un noto architetto, quando fu catturato,
essendo poco più che diciassettenne, fu portato in un campo di prigionia
algerino, poi, appena compiuti i diciotto anni, riportato in Italia per
essere fucilato.
«Li trovai che cantavano. Appena mi videro stettero zitti, e quando
il cancello di ferro si aprì, mi si strinsero intorno... Il milanese e
il romano erano biondi, quello di Aquila bruno, robusto, con un'aquila
sul petto; il napoletano bassotto con i calzoni da ufficiale (...). Un
militare della M.P. mi disse che avevo altri due minuti di tempo. -
Siamo già pronti - fu la risposta. Li volli accompagnare sul luogo del
supplizio... Uscii con due di loro fra quattro M.P. americani armati. Il
pianto dei carcerati ci accolse alla uscita del corridoio (...). I due,
il romano, studente in medicina, e il napoletano risposero inneggiando
all'Italia fascista (...). Arrivammo. Due pali in una partita di grano
verde, dietro una cava di pozzolana (...). Eccoli vicino al palo, il
romano si toglie la camicia. Mi dice che non vuol farsela bucare. Gli
legano le mani. E’ sorridente (...). Passo al napoletano, sorridente,
bruno, carino. Mi raccomandano le lettere che hanno scritto ai loro cari
(...) . Due soldati caricano i dodici moschetti. Un comando secco;
puntano il fucile; un terzo comando ancora; parte la raffica. Vidi
cadere i cari giovani, mi avvicinai a loro recitando tre Requiem e un De
Profundis per ciascuno (...) Si vanno a rilevare gli altri due, che
arrivano alle 11,45. Appena mi vedono mi sorridono; hanno trovato un
viso amico che è lì per confortarli. Quello di Aquila si toglie anche
lui la camicia. Lo legano, desidera una sigaretta (...). Mentre lo
legano, il milanese grida tre volte: - Viva il Duce - e l'altro
risponde: - Viva - E ancora: - Dio stramaledica gli inglesi! - Io lo
guardo e lui capisce: avevo detto loro di non odiare il nemico. Poi i
soliti comandi secchi. Li vidi piegarsi pian piano. Ascoltai il loro
rantolo: i colpi non erano stati precisi come la prima volta. Che
strazio al mio cuore (...)».
Per la notevole carica di spiritualità contenuta nell'ultima lettera
scritta da Franco Aschieri alla madre, è doveroso citare, almeno, i
passi più toccanti:
«Cara mamma, con l'animo pienamente sereno mi preparo a lasciare
questa vita che per me è stata così breve e nello stesso tempo così
piena e densa di esperienze sensazionali (...). Ti prego, mamma, fa che
il mio distacco da questa vita non sia accompagnato da lacrime, ma sia
allietato dalla gioia serena di quegli animi eletti che sono consapevoli
del significato di questo trapasso. Ieri, dopo che mi è stata
comunicata la notizia, mi sono disteso sul letto ed ho provato una
sensazione che avevo già conosciuta da bambino: ho sentito cioè che il
mio spirito si riempiva di forza e si estendeva fino a divenire immenso
(...). Non ho alcun risentimento per coloro che stanno per uccidermi
perché so che non sono che degli strumenti scelti da Dio (...). Io
resterò vicino a te per sostenerti e aiutarti finché non verrai a
raggiungermi; perché sono certo che i nostri spiriti continueranno
insieme il loro cammino di redenzione (...). In questo momento sono lì
da te e ti bacio per l'ultima volta, e con te papà e tutti gli altri
cari che lascio. Cara mamma termino la lettera perché il tempo dei
condannati a morte è contato fino al secondo. Sono contento della morte
che mi è destinata perché è una delle più belle, essendo legata ad un
sacro ideale. Io cado ucciso in questa immensa battaglia per la salvezza
dello spirito e della civiltà, ma so che altri continueranno la lotta
per la vittoria che la Giustizia non può che assegnare a noi. Viva il
fascismo. Viva l'Europa. Franco».
Il 6 maggio 1944, a S. Maria Capua Vetere furono portati davanti al plotone d'esecuzione:
Alfredo Calligaro, nato a Campolongo (Ud) il 16 agosto 1918; Domenico
Donnini, nato a Urbania (Ps) il 19 febbraio 1919; Virgilio Scarpellini,
nato a Ronica (Bg) il 22 gennaio 1925 e Giulio Sebastianelli, nato a
Cupramontana (An) il 13 agosto 1915.
Anche il «Comitato per le Onoranze ai Caduti della RSI» di S. Angelo
in Formis (come più avanti avremo modo di ricordare), nulla sa dei primi
due, ma è accertato che tutti appartenevano alla Xa MAS.
Di Virgilio Scarpellini si sa che dopo varie missioni, svolte con
esito positivo, l'ultima affidata riguardava la polveriera di Aversa.
Scarpellini riuscì a far saltare il deposito ma, mentre tentava di
raggiungere il sommergibile che lo avrebbe riportato nelle proprie
linee, fu catturato.
Gli Alleati tentarono per 18 giorni di farlo parlare, ma non
riuscirono ad infrangere la ferma decisione del giovane. Portato davanti
al plotone d'esecuzione, accompagnato da don Alfredo Contini (che dopo
pochi giorni morì) intonò l'Ave Maria di Schubert. Al momento del «nunc
et in hora mortis nostrae» fu fulminato dalla scarica di dodici
moschetti.
L'ultima lettera fu inviata ai fratelli:
«Muoio con l'animo tranquillo perché ho la coscienza di aver dato
tutto, con slancio e devozione, alla mia Patria, che ho amato più di me
stesso, della mia famiglia e, forse, di Dio. Fratelli cari, non maledite
la mia idea né il mio gesto: ho fatto quello che ogni italiano aveva il
dovere di fare (...)».
Ed ora un fatto che disonora l'etica militare degli Alleati: essi
requisivano, per svolgere i loro interrogatori, alcune villette isolate
nei pressi di Napoli. Qui essi usavano torturare i giovani dei «Servizi
Speciali» che cadevano nelle loro mani. Paolo Poletti, nato a Firenze il
26 ottobre 1919, subì sevizie tanto atroci che impazzì. I1 giovane fu
ammanettato e rinchiuso in cella, ma urlava in continuazione, si
strappava i vestiti di dosso, si graffiava. Gli americani escogitarono
la soluzione «Yankee»: un giorno il Poletti, sempre in preda al delirio,
poggiò le mani contro la porta della cella che «stranamente era stata
dimenticata socchiusa». Il povero giovane, sempre urlando, uscì nel
corridoio ingiuriando la guardia, la quale gli scaricò contro la sua
pistola d'ordinanza. Il tentativo di fuga fu la giustificazione per
eliminare un testimone pericoloso. Il suo corpo fu portato di nuovo in
cella ove rimase per due giorni; dopodiché fu «pigiato con forza» in una
cassa troppo stretta per contenere agevolmente la sua taglia.
Alfonso Guadagni, nato ad Afragola (Na) il 7 aprile 1925; Ennio
Viviani, nato a Verona il 18 settembre 1926 e Vito Bertolozzi, luogo e
data di nascita ignoti per questi due ultimi, ma tutti e tre furono
fucilati il 31 maggio 1944 a Nisida. Andarono alla morte con ammirevole
dignità. Ennio Viviani, data la sua giovane età non avrebbe dovuto
essere portato davanti al plotone d'esecuzione. Condotto nel luogo del
martirio «morì cantando gli inni della Patria e inneggiando al Duce».
21 giugno 1944 a Nisida è la volta di Pietro Brambilia, nato a Milano
l'l1 dicembre 1916: «Pregò e si fece legare al palo, affrontando la
morte con coraggio e con spirito di sacrificio».
Silvio Bartolini, nato a Piacenza il 29 gennaio 1920, venne fucilato
il 24 agosto 1944. «Fatto sedere incappucciato su una sedia morì
gridando Viva l'Italia».
Carmelo Fiandro [*1 nota di italia-rsi], fucilato insieme ad altri
tre; si ignorano i nomi di questi ultimi e il luogo dell'esecuzione.
I Caduti sopra citati, riguardano i fucilati nell'Italia centro
meridionale. Ma man mano che il fronte si spostava verso Nord,
l'attività dei Servizi Speciali si ripeteva quasi senza soluzione di
continuità, quindi la cattura e, purtroppo, le esecuzioni.
Il 26 novembre 1944 alle Cave di Majano (Fi) venne fucilato Ruy Blas
Biagi. Sempre a Firenze, il 6 dicembre 1944, Luigi Piras e Franco
Berselli. L'l1 gennaio 1945 fu la volta di Angelo Lencioni. Mario
Martinelli e Giuseppe Boni furono fucilati il 30 gennaio 1945. Goffredo
Agostini, Raffaele Venturini e Giorgio Simino caddero il 14 febbraio
1945. Domenico Muscatiello e Ermete Benvenuti vennero fucilati alla
vigilia di Pasqua pochi giorni prima della fine della guerra.
Roma 1944. I fascisti Sabelli e Testorio condannati per attività
clandestina, salutano romanamente il plotone d'esecuzione britannico. E'
interessante sapere che nei primissimi mesi del 1998 l'apertura di
archivi dei servizi speciali britannici ha rivelato che nell'immediato
dopoguerra agenti inglesi, fuori dalle regole internazionali,
continuarono a cercare e ad uccidere i comandanti tedeschi ritenuti
responsabili della fucilazione di agenti britannici infiltratisi in
Germania e scoperti.
Franco Sabelli e Armando Testorio entrambi romani furono gli ultimi
ad affrontare il plotone d'esecuzione. L'8 settembre '43 non accettarono
la resa e si arruolarono nelle SS. Quando Roma cadde sotto
l'occupazione alleata, i due restarono in città per svolgere azioni di
disturbo e trasmettere informazioni. Identificati, furono condannati a
morte e fucilati il 26 giugno 1945. L'esecuzione avvenne a Forte
Bravetta; prima della scarica mortale alzarono il braccio al saluto
romano e intonarono «Giovinezza». Questo fatto, già di per sé
drammatico, si arricchì di un altro episodio sublime: poche ore dopo
l'esecuzione, la giovane moglie di Testorio, Nella, si uccise gettandosi
da una finestra della sua abitazione. Sul suo corpo venne trovata una
lettera il cui testo riportiamo integralmente:
«Il 26 giugno 1945. Raggiungo mio marito al di là. Mai più nessuno
potrà fucilarmelo, mai più nessuno potrà dividerci: in ciò i signori
comunisti sono impotenti. E voi, ministro Togliatti, che fino all'ultimo
siete voluto essere vigliacco, come tutti i vostri degni compagni,
allungando inutilmente lo spasimo di due vite che vivevano l'una per
l'altra, possiate essere maledetto. A me spetta l’eterna felicità, egli
mi attende. Desidero che siano rispettati tutti i desideri di mio
marito, e che vengano con me le foto del nostro adorato bimbo e
dell'unico uomo che nella mia vita ho amato. Gualtieruccio caro, mamma e
papà veglieranno sempre su di te. Nella Testorio. A morte il
comunismo!»
Una valida testimonianza è offerta da un volume, ormai introvabile e
scritto nel dopoguerra, dal titolo: «Madre Lotta» di Rico Covella di
Bari. Questi faceva parte dei «Servizi Speciali», fu catturato e scampò
al plotone d'esecuzione perché, all'epoca, appena diciassettenne.
Conobbe molti giovani rinchiusi con lui nelle carceri di S. Maria Capua
Vetere e ci ha lasciato preziosi ricordi. «Madre Lotta», pagg. 36-37:
(...) Ma ecco ancora rumore di chiavistelli ed il cancello si apre: è
il rancio speciale per Rico, minorenne (...). Il cancello si riapre,
entra un ufficiale americano e consegna ai tre, dei fogli di velina, uno
per uno: sono i fogli di comparizione in giudizio e contengono i capi
di imputazione che sono uguali per tutti. La causa è fissata a quattro
giorni dopo (...). Il difensore, un capitano dell'esercito inglese
arriva il giorno prima del processo: - Siete stati arrestati in divisa? -
Chiede - No - risponde Mauro (Mauro Bertoli ndr) - Eravamo in borghese -
Allora non c'è alcuna speranza- Replica l'inglese e si accomiata.
Il processo comincia l'indomani in un'aula del Tribunale di S. Maria Capua Vetere a porte chiuse e dura due giorni.
Un interprete dell'esercito americano traduce in uno sgradevole
italiano: - Siete condannati a morte per fucilazione a mezzo moschetto -
Vi è un moto impercettibile di Mauro verso Rico - Sta su - gli sibila
senza girarsi - Sta tranquillo è passata - gli risponde Rico, immobile
anche lui.
I tre giovani vengono accompagnati all'uscita e, su una camionetta, ricondotti in carcere.
La camerata, solitamente fredda, ha un tepore accogliente quella sera.
- Scusami per un momento fa - dice Mauro a Rico appena soli - ma ti ho visto impallidire-.
- Avevo capito già prima - spiega Rico - avevo afferrata la parola
«dead», ma quel porco di interprete l'ha detta in un modo!... ho dovuto
farmi forza per non vomitare - .
(...) - Speriamo che ci facciano scrivere a casa - dice Mauro - vorrei preparare mamma (...)
(...) Sono in attesa Mauro e Gino (Luigi Cancellieri ndr) silenziosi,
alla finestra della cella numero 1. Nel cortile sostano chiacchierando
fra loro gruppi di ufficiali, americani, inglesi, italiani ed alcuni
civili. La porta di accesso al cortile si apre per lasciare entrare un
nuovo gruppo di ufficiali alleati: sono insieme per una ragione.
Attraversano tutto l'atrio e si avviano all'ingresso dell'ala che ospita
i ragazzi. Rico sente, dai loro passi che oltrepassano la porta della
sua stanza: sono diretti alla stanza n. 4; vi entrano ed un interprete
traduce a Mauro e Gino, in piedi, il dispositivo della sentenza che sarà
eseguita quella mattina.
Due preti si sostituiscono agli ufficiali.
- Sei pentito di quello che hai fatto?
- Non ho nulla da pentirmi, se fosse necessario tornerei a servire l'Italia allo stesso modo
-Desiderate qualcosa in particolare? - domandano prima di accomiatarsi.
- Se fosse possibile una buona mangiata - dice Gino - è quasi mezzogiorno! Ma non ho più alcun appetito
Quando un sergente americano arriva con un grande vassoio, aiutato da
Mauro, Gino raccoglie tutto nelle scodelle del carcere e le depone
sulla brandina di Rico, poi si fruga le tasche, ne estrae le poche
sigarette che gli hanno offerto quella mattina e le depone accanto alle
scodelle, coi cerini. Quando li portano via, passano dinanzi alla porta
della cella n. 1, ma sono ormai lontani da ogni cosa; dietro la porta
della cella, Rico è appeso col corpo abbandonato, con le mani serrate
sulle sbarre della finestrella. E’ un bene che non abbia avuto la forza
di tirarsi su, forse avrebbe gridato, forse avrebbe urlato, forse
avrebbe turbato i suoi fratelli.
Riesce ad arrivare alla finestra del cortile e li vede andare, dritti come uomini, ognuno fra quattro nemici.
Legati al palo, Mauro si affloscia solo dopo la scarica.
A Gino, prima del «fuoco», manca la forza fisica nei ginocchi; il capo, incredibilmente ricciuto, è eretto (...)
LA FUCILAZIONE DI TESTORIO E SABELLI
L' AVV. NANDO DI NARDO COMANDO' I GRUPPI FASCISTI CLANDESTINI
NELL' ITALIA MERIDIONALE
IL SOTTOTENENTE RUY BLAS BIAGI DI 21 ANNI
VENNE FUCILATO IL 26 NOVEMBRE 1944
ALLE CAVE DI MAIRANO PRESSO FIRENZE
IL SOTTOTENENTE MAFILAS MANINI
CATTURATO DUE VOLTE DAGLI ANGLO AMERICANI
MA RIUSCI' SEMPRE A SFUGGIRE.
MORI' SEI MESI DOPO LA FINE DELLA GUERRA
PER MALATTIA CONTRATTA IN SERVIZIO
CARLA COSTA
CHE FU GIUDICATA DAL CONTROSPIONAGGIO ANGLOAMERICANO
LA PIU' ABILE E CORAGGIOSA AGENTE
DEI SERVIZI SPECIALI DELLA R.S.I.
GINO CANCELLIERI DI 18 ANNI
FUCILATO IL 21 GENNAIO 1944 A SANTA MARIA CAPUA VETERE
E IL TENENTE ERMETE BENVENUTI
FUCILATO NELL' APRILE 1945
IL PRIMO MANIFESTINO LANCIATO DALLA PROPAGANDA CLANDESTINA FASCISTA IL
GIORNO 9 SETTEMBRE
CHE ACCUSAVA BADOGLIO
CHE ACCUSAVA BADOGLIO
Una tradizione storica ampiamente
consolidata ci ha sempre presentato l'Italia del Sud, dopo la caduta del
Fascismo, come terra finalmente riconquistata alla libertà: le ali di folla che
accolgono gli Americani "liberatori" rappresentano per la storiografia
nostrana la prova lampante della adesione di quelle popolazioni al potere degli
alleati e del governo Badoglio e la corrispettiva esecrazione nei confronti dei
tedeschi e dei fascisti ancora operanti con la Repubblica di Salò.
A ciò occorre poi aggiungere che
gli Americani, a queste popolazioni ridotte alla fame e alla miseria più nera,
portavano pane bianco, cioccolata e sigarette in grande quantità.
Il quadro non fu in realtà così
idilliaco come si vuol far credere. Per rimanere in Sardegna ecco cosa scrive
agli inizi del 1945 un giornale americano di Boston, il "The Christian
Science Monitor": «[...] le razioni di viveri sono più piccole che nel
continente», riferito ai minatori sardi, che pure producevano a pieno ritmo
circa 100.000 tonnellate di carbone al mese per gli alleati; «[...]
l'impressionante miseria dei minatori... il maggior numero si reca al lavoro
scalzo e va digiuno a letto». E ancora: «[...] nel Settembre del 1943, moti
antifascisti si verificarono in molti luoghi, ma i capi militari filofascisti
intervennero immediatamente. Pare che gli elementi fascisti siano stati
lasciati indisturbati». Ma questo non è vero.
I fascisti clandestini c'erano
eccome. Gruppi spontanei si erano costituiti sin subito dopo il 25 Luglio: a
Cagliari, Carbonia, Iglesias, Guspini, Sassari e Nuoro, almeno per quanto è
dato a sapere da fonti pubbliche (rapporto dei carabinieri) o testimonianze di
persone che a tali gruppi appartennero.
Il 18 Settembre del 1943 in quel
di Sassari si costituisce il Partito Fascista Repubblicano Sardo, con tanto di
verbale con le relative firme di 15 aderenti. Il gruppo pubblicò un foglio
clandestino, "La voce dei giovani", che faceva sì apologia di
fascismo, ma svergognava anche certe giovani signore sassaresi "collaborazioniste"
degli Americani.
Disgrazia volle che l'elenco
degli aderenti al partito fosse trovato addosso al console della Milizia
Giovanni Martini, il quale, con altre persone, a bordo di MAS partito da Olbia,
tentava di raggiungere le coste della R.S.I..
Furono arrestati in 19 fra i
quali Gavino Pinna (ex presidente regionale dei G.U.F., parlamentare del
M.S.I.), Antonio Pigliaru (futuro intellettuale della sinistra sardista),
Martino Offeddu (ex federale di Sassari e Nuoro), gli ufficiali della milizia
Gustavo Scanu, Francesco Bertolotti, Dario Lay, Emanuele Tola e Gino Matzè.
L'unico che sfuggì alla cattura
fu un certo Ugo Mattana, divenuto poi famoso regista comunista con lo
pseudonimo di Ugo Pirro.
Il gruppo fu giudicato dal
Tribunale militare di Oristano (Pubblico Ministero Francesco Coco, assassinato
poi a Genova dalle Brigate Rosse). Le condanne furono relativamente miti, dati
i tempi.
Ad Aprile del 1944 un altro
gruppo di 5 militari viene fermato da una torpediniera mentre a bordo di una
imbarcazione rubata a Palau tentava di raggiungere le coste della Toscana. Il
Questore di Sassari in un rapporto del luglio 1944 doveva ammettere: «I
fascisti, ancora fermi nelle loro idee e devoti al cessato regime, ostentano
inattività per tema di provvedimenti di polizia a loro carico [...] limitandosi
a dare segni di sopravvivenza con opuscoletti stampati alla macchia e scritte
murali». Opuscoli e scritti che per inciso fecero la loro comparsa anche a
Nuoro e Cagliari.
Nello stesso periodo la Questura
di Sassari scopriva e sequestrava due pubblicazioni clandestine, una,
intitolata "Resurgo", circolava soprattutto nell'ambiente militare,
l'altra, "Il manganello", era un vero e proprio giornale.
Ma se Sassari piange, certo
Cagliari non ride: il comando regionale dei Carabinieri relaziona a Badoglio
nel luglio del 1944: «Malgrado l'azione degli organi statali e dei comitati di
concentrazione antifascista, ancora affiorano manifestazioni di attaccamento al
cessato regime. Iscrizioni murali inneggianti all'ex Duce, tentativi di imbarco
per il continente da parte di aderenti al governo repubblicano, danno la
certezza dell'esistenza nell'isola di focolai fascisti che covano desideri di
rivincita».
Il Questore di Cagliari minimizza
invece il fenomeno, però, solo a Cagliari, tra Aprile e Giugno del '44, nove
persone vengono arrestate per scritte inneggianti al Duce e alla Germania, e
tutti gli ex squadristi residenti a Carbonia vengono "confinati" a
scopo precauzionale in altri centri.
Ben maggior potenza d'animo diede
alle autorità un gruppo clandestino costituito da ufficiali della milizia, dei
vigili del fuoco e dell'esercito, avente sede nella caserma dei Vigili del
Fuoco di Cagliari. Il gruppo utilizzava le ricetrasmittenti dei Vigili del
Fuoco per trasmettere e ricevere fonogrammi dalla R.S.I., ed era fornito anche
di armi, tra cui un fucile mitragliatore. Il gruppo venne scoperto allorché
alla fine di Aprile del '44 apprestò un tentativo di fuga con una motobarca con
destinazione le isole Baleari. A tal fine erano stati "rubati" agli
alleati 1600 litri di benzina. Furono in tutto arrestati un maggiore e un
capitano dei vigili del fuoco, un tenente colonnello di cavalleria, 3 ex
ufficiali della milizia antiaerea di cui 2 ex squadristi.
Il 1945, malgrado il crollo
finale del fascismo di Salò, vide addirittura una reminiscenza del fascismo
clandestino nell'isola. Due i fatti che la determinarono: un crescendo di
agitazioni popolari determinate dalla riduzione della razione del pane, e
dall'aumento esagerato del costo della vita. L'altra il richiamo alle armi dei
giovani. In tutta l'isola si registrarono oltre 4000 renitenti con una serie di
manifestazioni di giovani che non volevano assolutamente sentirne di combattere
per gli alleati.
A Cagliari nel Gennaio del '45
nel corso di una dimostrazione ci furono duri scontri con le forze dell'ordine
culminati con un morto e un assalto alla sede dell'"Unione Sarda".
In Sardegna quindi il fascismo,
anzi, come verrà chiamato a guerra finita, il "neofascismo", se pure
clandestino, era vivo e vegeto, tanto che "L'Unione Sarda", per bocca
del noto esponente comunista Luigi Pirastu, così, agli inizi del Gennaio 1946,
tuonava dalle colonne dell'Unione Sarda: «Contro i neofascisti dovrebbe
rivolgersi l'attenzione e la severità dei poteri statali [...], la libertà non
deve essere concessa a quelli che vogliono servirsene per distruggerla».
Ma il neofascismo era una realtà
troppo grossa per poterla ignorare o reprimere, e infatti il governo di allora,
con in testa Togliatti, ne tenne conto tanto che ne scaturì la cosiddetta
"amnistia Togliatti" che fece uscire dalla galera migliaia di
fascisti, e il riconoscimento del M.S.I..
Ma questa è un'altra storia.
"BERGAMO REPUBBLICANA" DEL 27 SETTEMBRE 1944
ARTICOLO: I FASCISTI AGISCONO NELL' ITALIA "LIBERATA"
Roma 26 giugno 1945 due Camerati Franco Sabelli e Armando Testorio dopo
essere stati catturati a Roma dalle forze Angloamericane verranno processati
perché essere rimasti nella Capitale dopo l'occupazione Angloamericani per
sovolgervi attività clandestina e condannati a morte i due condannati prima
della fucilazione si salutano sapendo di avere fatto il loro dovere sprezzanti
del della loro Morte i due condannati alzano il braccio nel saluto Romano
mentre li raggiunge la raffica Mortale
.
Nella cava di San Angelo in Formis vicino a Santa Maria Capuavetere
(Caserta) furono fucilati dagli angloamericani 13 Agenti dei Servizi
Speciali della RSI, catturati durante azioni di sabotaggio o di
acquisizione di elementi informativi sulla consistenza o dislocazione
delle truppe "alleate".Poichè questi Agenti non indossavano una divisa,
non venivano riconosciuti come soldati e, pertanto, secondo le
convenzioni di guerra (l'Aia, Ginevra) fucilati dopo interrogatorio.Lo
stesso criterio valeva per i partigiani da parte delle truppe dell'
Esercito della RSI o di quello tedesco.Solo che mentre le fucilazioni
fatte dagli "alleati" non solo in quella cava ma anche, ad esempio, alla
Fortezza da Basso (Firenze) non vengono mai ricordate, per i partigiani
fucilati si parla,invece, da parte dei vincitori, di massacri o
efferatezze.A dimostrazione ancora una volta, se proprio ce ne fosse
bisogno, della menzogna propagata a piene manidalla fine della seconda
guerra mondiale ad oggi.Il terreno adiacente alla cava di San Angelo in
Formis è stato acquistato dall'Associazione Appartenenti alla Decima Mas
ed ivi è stato eretto un Sacrario. La lapide posta all'ingresso del
Sacrario ricorda gli eroici soldati repubblicani fucilati dagli
"Alleati".Sulla lapide c'è scritto:Nel gigantesco scontro del "sangue
contro l'oro" qui, tra gennaio e maggio del 1944, nella visione di una
più grande Italia in un'Europa unita, caddero fucilati dagli invasori
angloamericani, i giovani soldati della R.S.I.Aschieri Franco anni
18Bertoli Mauro 18Calligaro Alfredo 25Cancellieri Luigi 19Cantelli
Marino 21Donnini Domenico 25Menicocci Enrico 20Palesse Italo 22Poletti
Paolo 24Scarpellini Virgilio 19Sebastianelli Giulio " 28Tapoli Timperi
Mario " 18Tedesco Vincenzo " 19
Onore e Gloria
Onore e Gloria
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