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INTERVISTE 2016
EDUCAZIONE
DI GENERE E SISTEMA SCOLASTICO
Intervista
ad Alessandro Fiore(*) portavoce dell’Associazione ProVita di
Federico Dal Cortivo
D:
Dott. Fiore, ProVita il 15 settembre è stata sentita presso la Commissione
Cultura della Camera dei deputati riguardo le varie proposte di Legge relative
all’introduzione nel sistema scolastico italiano della cosiddetta «Educazione di
Genere», ci vuole spiegare in che consiste questa «educazione»?
R:
In realtà è abbastanza difficile saperlo, in quanto – come abbiamo notato
durante la nostra audizione alla Camera – la concezione di “genere” è
intrinsecamente ambigua. In ogni caso, è certo che la cosiddetta “educazione di
genere” introduca nel sistema scolastico una nuova prospettiva basata su temi
estremamente controversi e su presupposti ideologici che annullano la rilevanza
del sesso biologico su ogni comportamento e ruolo sociale, e sanciscono il
primato della percezione soggettiva per quanto riguarda la profonda identità
sessuale della persona.
D:
Il sottosegretario all’Istruzione Davide Faraone ha postato quest’estate su
Facebook il seguente commento: «Educazione di genere significa educare al
rispetto delle differenze per prevenire violenza e discrimine. Non altro». Lei
concorda con questa affermazione che poi è la linea di questo governo?
R:
Trovo che molti membri del Governo, e persino alcuni proponenti delle proposte
di legge sull’educazione di genere, siano poco informati sulla questione. La
dichiarazione di Faraone è a questo proposito emblematica. Non so se sia in
buona fede oppure sia semplicemente una mossa per tranquillizzare l’opinione
pubblica (del resto, ciò ha poca rilevanza): in ogni caso la dichiarazione
confonde le finalità educative con la prospettiva educativa. Le finalità – o
forse i pretesti – dell’educazione di genere potrebbero ben coincidere, in
parte, con la prevenzione della violenza e della discriminazione, e con il
rispetto delle differenze. Il problema è: quali mezzi e quale prospettiva si
adottano nell’intento di perseguire quelle finalità? Non possiamo indottrinare
gli studenti all’ideologia solo perché speriamo di ottenere qualche effetto
positivo. La prospettiva non è neutrale e condiziona persino il modo di
intendere le finalità. Qualche esempio: secondo la prospettiva di genere, la
concezione del matrimonio come unione tra un uomo e una donna – riconosciuta
dalla Costituzione - può essere considerata “discriminatoria” verso le persone
omosessuali; il riconoscimento del sesso di una persona secondo quello che
manifesta la sua biologia, potrebbe essere considerato “discriminatorio” verso
una persona che si “percepisce” soggettivamente come appartenente al genere
opposto (“transgender”). In altre parole, l’educazione di genere cambia persino
il modo di intendere la “discriminazione” e il “rispetto”: quello che, secondo
un’impostazione ragionevole, è semplicemente il riconoscimento di un ordine
naturale, assolutamente compatibile con il rispetto verso tutte le persone,
viene ideologicamente trasformato in “discriminatorio” ed “irrispettoso”.
D:
A livello europeo quale è la posizione dell’UE al riguardo? Anche in questo caso
potremmo dire “ce lo chiede l’Europa”?
A
prescindere dal fatto che – di questi tempi – l’argomento “ce lo chiede
l’Europa” potrebbe ben rivelarsi un argomento “boomerang”, nei Trattati si parla
di uguaglianza tra uomini e donne, e l’Unione è intervenuta diverse volte per
realizzare questa uguaglianza in diversi settori, tuttavia nel diritto UE non
esiste un vincolo giuridico per gli Stati membri di introdurre nel sistema
scolastico la prospettiva di genere. Quando parliamo della prospettiva di
genere, è necessario allargare lo sguardo oltre l’UE in quanto hanno grande peso
le posizioni del Consiglio d’Europa: questo organismo internazionale ha sposato
in alcune sue recenti Risoluzioni (non vincolanti) una prospettiva di genere
abbastanza radicale. E tuttavia, anche in questo caso, dalla Convenzione di
Istanbul fino ad oggi, non si può dire che ci sia un obbligo internazionale di
adottare la prospettiva di genere nelle scuole, viste le riserve degli Stati
membri in materia anche in sede di firma della predetta Convenzione, e visto –
soprattutto – che l’introduzione della teoria di genere contrasta semplicemente
con il senso più alto, naturale ed universale di giustizia.
D:
In quale nazioni europee e anche extra Ue si sta maggiormente diffondendo questa
“politica di genere” nelle scuole?
Tra le
nazioni europee ricordiamo la Svezia, la Gran Bretagna e – più di recente –
anche la Spagna. Mentre fuori dall’Europa grandi contrasti a questo proposito
sorgono in alcune nazioni del Sud America e negli Stati Uniti. Ricordiamo pure
che in alcuni paesi meno sviluppati sta avvenendo una vera e propria
“colonizzazione ideologica” che vede ricche organizzazioni occidentali, e
persino ambasciate di potenti paesi industrializzate, promuovere un’ideologia di
genere in forte contrasto con le convinzioni e le tradizioni delle popolazioni
locali.
D:
Dove c’è maggior resistenza? Cos’è quello che voi definite il cosiddetto
“paradosso norvegese” ?
Difficile
dire dove c’è maggior resistenza. In molti paesi – pensiamo ad alcuni
latinoamericani – ci sono state grande mobilitazioni popolari; un dibattito
molto acceso c’è anche negli Stati Uniti. L’Europa non è da meno: in Francia la
resistenza è stata molto forte ed ha costretto il Governo a fare talvolta
qualche passo indietro; l’Italia poi ha mostrato nei tempi recenti una
reattività che non si era vista forse per decenni. Le grandi manifestazioni di
piazza sul tema del gender, della libertà educative e della famiglia, e il
numero di associazioni e iniziative nate nell’ultimo triennio, stanno lì a
dimostrarlo.
Tutto questo
è indice che il popolo spontaneamente rifiuta imposizioni innaturali venute
dall’alto. La gente, generalmente, sa che la complementarietà dei sessi è
importate, che il sesso biologico è fondamento dell’identità sessuale, e che
esistono differenti tendenze comportamentali in uomini e donne. A quest’ultimo
proposito è molto istruttivo il “paradosso norvegese”: la Norvegia è uno dei
paesi con maggiore “uguaglianza di genere” e “pari opportunità”. Eppure, è
proprio uno dei paesi dove le scelte – ad esempio in termini lavorativi – tra
uomini e donne sono più diverse. Ricerche molto solide hanno mostrato che, a
livello mondiale, la tendenziale diversità comportamentale tra maschi e femmine
non è tanto condizionata da stereotipi culturali quanto da naturali differenze
sessuali: ciò smentisce clamorosamente le teorie di genere.
D:
Infine, chi è che cosa a livello nazionale, europeo e mondiale sta spingendo
verso questa direzione che vorrebbe scardinare il naturale ordine delle cose,
che ha regolato la vita dell’uomo da sempre? Quali interessi sono in gioco?
R:
La domanda è complessa e non c’è una risposta unica. A livello politico e
sociale dobbiamo registrare l’azione di importanti, ben organizzate e ben
finanziate lobby, che ormai da decenni riescono con successo a influenzare enti
politici nazionali e internazionali. Si tratta soprattutto in questo caso di
organizzazioni LGBT come l’ILGA, oppure organizzazioni che hanno scopi più ampi
ma che sposano i dogmi LGBT: pensiamo ad Amnesty o a Planned Parenthood. Negli
ultimi anni la promozione di questa agenda ha subito un’accelerazione importante
probabilmente a causa dell’amministrazione americana, la quale soprattutto con
la presidenza Obama, ha utilizzato finanziamenti e ambasciate per imporre a
livello mondiale le istanze LGBT e gender. Inoltre ci sono, naturalmente, gli
interessi economici: non è un caso che quasi tutte le aziende più ricche ed
influenti abbiamo preso posizione a favore della prospettiva di genere (si pensi
a Facebook). Per fare un esempio, ciò si è visto chiaramente negli Stati Uniti
quando i colossi della finanza e del consumo hanno esplicitamente richiesto alla
Corte Suprema di imporre il “matrimonio gay” in tutti gli Stati. È chiaro che la
prospettiva LGBT e gender muove un sacco di soldi: ciò è legato non solo ai
mercati specificamente promossi da queste concezioni (la riproduzione
artificiale, l’utero in affitto, la contraccezione, gli interventi modificativi
del genere, ecc.) ma anche al fatto che il “gender” indebolisce la famiglia, e
con essa l’individuo che diventa sempre più dipendente dal consumo e meno
incline al risparmio, più ripiegato sulla soddisfazione personale e meno proteso
verso il bene comune.
(*)Alessandro
Fiore è portavoce dell'associazione ProVita onlus, una delle più attive sul
fronte della vita e della famiglia naturale. Dopo aver svolto studi in
filosofia, storia e bioetica, si è laureato in giurisprudenza con una tesi sui
"Reati di omofobia e di transfobia". É stato relatore in decine di conferenze su
tutto il territorio nazionale e in convegni internazionali, trattando
soprattutto la controversa questione delle teorie di genere.
23/09/2016
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