sabato 12 novembre 2016

STORIA Islam e Fascismo



STORIA
Islam e Fascismo
di Filippo Giannini

   Fin dai primi anni la politica estera del fascismo manifestò l’intento di stabilire o di sviluppare le relazioni dell’Italia coi Paesi musulmani e non solo nell’area mediterranea. Con questo scopo fu concepita, nel 1923, una spedizione politico-scientifica, guidata da Gastone Tanzi e Luigi Piperno, spedizione che doveva giungere sino in Afghanistan per contattare l’emiro Amanullah per attivare relazioni diplomatiche e di amicizia.
   Fu tuttavia negli anni ’30 che la politica fascista assunse un carattere prettamente filo-islamico. Si iniziò a dare maggiore impulso agli studi arabi. Iniziarono i Convegni, ad esempio, quello di Roma degli studenti asiatici del 1933 e del 1934, le pubblicazioni bilingue italiano-arabo; Radio Bari dette inizio, nel 1934, a trasmissioni in lingua araba. Cominciarono anche a diffondersi movimenti e organizzazioni giovanili arabe, fra questi sono da ricordare il Partito Giovane Egitto (Hizb Misr al Fatà) guidato da Ahmad Husayn e le Falangi Libanesi (al-Katà’ib al-Lubnàniyya) di Pierre Jumayyùl). Sono da ricordare, inoltre, le Camicie Verdi (al-Qumsàn al-Kkhandrà) e le Camicie Azzurre (al,-Qumsàn az-Zarqà), le une e le altre egiziane che guardavano con simpatia al fenomeno “Fascismo”.
   Il 18 marzo 1934 Mussolini dette questo indirizzo alla politica italiana: <Gli obiettivi storici dell’Italia hanno due nomi: Asia e Africa (…). Questi nostri obiettivi hanno la loro giustificazione nella geografia e nella storia. Nessuno fraintenda la portata di questo compito secolare che io assegno a questa e alle generazioni italiane di domani. Non si tratta di conquiste territoriali, e questo sia inteso da tutti, vicini e lontani, ma di un’espansione naturale che deve condurre alla collaborazione fra l’Italia e le nazioni dell’Oriente mediato e immediato (…).>.
   Questa politica trova conferma instaurando ottimi rapporti commerciali  con lo Yemen dell’Imam Yahyà, con il rinnovo di un trattato d’amicizia e di relazioni economiche; e con il Re Fu’àd d’Egitto, ma anche con il Sovrano dell’Iraq Faysal Ibn Husayn. Una missione medica permanente venne istallata presso l’Imam dello Yemen, e in Siria. Altre missioni sanitarie e tecnico-scientifiche nel mondo arabo sorsero sia ad Ammàn, con la costruzione di un ospedale italiano, sia con l’ambulatorio di Jedda. 
   La fase successiva della politica islamica del Fascismo si apre nel 1937 quando dal 12 al 21 marzo 1937 il Duce si recò, accompagnato dal solito entusiasmo di popolo, in Libia dove, fra l’altro inaugurò la grande strada litoranea detta “Balbia” (1) e la “Fiera di Tripoli”. Pose la “prima pietra” per un sanatorio, per una scuola elementare e <quando il Duce appare a cavallo sulla più alta duna, il triplice grido di guerra “Ulad!” lo saluta. I cavalieri prescelti offrono al Duce la spada lampeggiante dell’Islam in oro massiccio intarsiato (…). Il Duce snuda la spada e l’alza fieramente puntata verso il sole, lanciando a voce altissima il grido Ulad!” (…). Il Duce lascia la duna e si avvia verso Tripoli, seguito da duemila cavalieri galoppanti> (“Il Popolo d’Italia” 19/3/1937) (2).
   Il viaggio in Libia fu programmato in previsione di un piano quinquennale per l’insediamento di 53 mila coloni in Tripolitania. Negli anni 1938-1939, in due riprese, sbarcarono in terra d’Africa 20 mila coloni veneti scelti fra i non proprietari di terra e trasportati nei nuovi villaggi. Ad essi vennero assegnate le case coloniche con apprezzamento di terreno; ogni casa era corredata da pozzi artesiani con quanto necessario per il pompaggio di acqua potabile. Ogni giorno automezzi dell’Ente Nazionale della Libia rifornivano le famiglie di quanto necessario per vivere, nonché attrezzi e sementi per rendere quelle terre verdi di piante.
   La stessa assistenza venne riconosciuta anche alle famiglie arabe, i cui possedimenti furono inseriti fra quelli dei coloni italiani per apprendere, da questi, le tecniche più moderne necessarie per il miglior sfruttamento del suolo.
   A Tripoli e a Bengasi vi erano due ospedali civili, di moderna concezione, dove potevano accedere (al contrario di quanto accadeva al di fuori delle nostre colonie) anche i cittadini autoctoni.
   Le locali stazioni dei carabinieri erano composte anche da militari indigeni perché, come vedremo più avanti considerati “Italiani della Quarta Sponda” come tutti i libici, arabi ed ebrei.
   Per ritornare al viaggio del Duce in Libia, riteniamo interessante ricordarne alcune tappe: Mussolini visita la piccola città di Sirte dove <la popolazione indigena, adunata intorno ai vessilli dell’Islam, accoglie, con fervide dimostrazione di fedeltà, di devozione, di entusiasmo il Duce, che traversa la città in piedi sull’automobile e risponde con il saluto romano alle intense acclamazioni della folla>. Quindi si sposta a Tauroga, poi a Misurata, dove ispeziona i lavori di bonifica e di irrigazione; quindi si porta a Bir Tumina, ove scaturisce acqua da un pozzo artesiano, capace di irrigare tremila ettari di terreno attraverso cinquemila metri di canali.
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   Nella 179° riunione del Gran Consiglio del Fascismo, tenutasi il 26 ottobre 1938, esaminando la posizione della Libia, relatore Italo Balbo, venne approvata la mozione che <proclama che le quattro province della Libia entrano a far parte del territorio nazionale>.
   Questo provvedimento non fu che l’estensione del R.D. Legge 3 dicembre 1934 XIII N° 2012 e del R.D. 8 aprile 1937 XV N° 431, dove nell’articolo 4 è riconosciuto: <Una cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro province libiche che fanno parte integrante del regno d’Italia>.
   Le quattro province libiche erano: Tripoli, Bendasi, Berna e Misurata.
   Per il tempo e la mentalità di allora, questo decreto era veramente rivoluzionario. Mai nulla di simile era stato realizzato da alcun Paese coloniale: ma questo determinò un ulteriore motivo di attrito con Londra e Parigi, che mal sopportavano qualsiasi mutamento allo “status quo”.
 QUANDO GLI IRAKENI NON SPARAVANO CONTRO GLI ITALIANI
   L’Irak di Saddam Hussein disponeva dei seguenti titoli?
1)      Aveva un proprio territorio?
2)      Aveva una popolazione che lo abitava?
3)      Aveva un governo?
E ancora:
a)      Aveva Ambasciate e Consolati all’estero?
b)      Ospitava sul proprio territorio Ambasciate e Consolati stranieri?
c)      Aveva una propria moneta?
d)     Aveva proprie leggi e le applicava?
   Se la risposta a tutte queste domanda è Sì, ne consegue che disponeva di tutti i requisiti indispensabili per qualificarsi STATO SOVRANO.
   Aveva però un problema: era uno degli Stati ricchi di “oro nero”: e questo ha smosso la cupidigia dei gangsters d’oltre Oceano. Scrivo volutamente “gangsters” perché fu proditoriamente attaccato e invaso senza una “dichiarazione di guerra”, come dovrebbe prescrivere una leale competizione fra Stati sovrani. Questo non c’è stato: di conseguenza, la comunità internazionale civile non dovrebbe tollerare un simile modo di operare. Lo Stato attaccante si è comportato come “sodalizio predatore”, avendo inviato i suoi mercenari a distruggere, uccidere e depredare le ricchezze di un popolo sovrano.
   Che le cose, poi, non siano andate – e non stiano tuttora andando – per i gangsters predatori, nel verso sperato, è un altro discorso. E per gli uomini onesti questo non può che sollevare un senso di piacere, anche se, e questo per inciso, la situazione creata dai gangsters crea, e ancor più in avvenire creerà, dei problemi di difficilissima soluzione.
   Per fermarci solo alle vicende dell’Irak, vogliamo ricordare le menzogne date in pasto al mondo intero? Ricordate le “armi di struzione di massa”? (3) Ricordate l’embargo decretato dai “gangsters” alla fine del secolo scorso, embargo che ha causato decine di migliaia di vittime irakene, la stragrande maggioranza di queste bambini? Ricordate la risposta che dette l’allora Segretaria di Stato Madeleine Albright ad alcuni studenti americani che le chiesero se valse la pena di aver ammazzato mezzo milione di bambini irakeni? La “dolce” Albright rispose in perfetto stile yankee con queste allucinanti parole: <Sì, mi pare che fosse un prezzo giusto>.
   Se tutto ciò è vero, perché sono state inviate nostre truppe in appoggio dei “gangsters” e per di più mimetizzando questa operazione di predatori con l’asserzione di “operazione di pace”?
    Tutto ciò mi è servito come introduzione per un altro avvenimento che, stranamente, viene obliato e riguarda un fatto che vede in primo piano “l’adorabile tiranno” (sì, sempre Lui), l’Islam degli anni ’40 e gli irakeni, sempre di allora, nonché, ancora, sempre loro: i “gangsters”. Ecco “quel pezzo di storia” che pochi ricordano, perché argomento“non politicamente corretto”.
     Il Medio Oriente nel primo dopoguerra era costituito da una serie di piccoli Stati cosiddetti “indipendenti”, ma, in effetti, rigidamente controllati da Francia e Inghilterra. Come si vede, molto poco è cambiato con il mondo di oggi; solo che ad un padrone ne è subentrato un altro, molto più infido. Fra gli Stati del Medio Oriente si imponeva l’Irak, governato dall’uomo di fiducia di Londra: Taha el Haschimi, che fu destituito nella primavera del 1941, con un colpo di stato dal generale Abdul Karim Kassem, il quale nominò capo del governo Rashid el Gaylami, di chiara passione antibritannica e molto vicino al Governo italiano.
   Gaylani chiese prontamente aiuti militari sia a Roma che a Berlino. Si ricordi che in quegli anni sia l’Italia che la Germania erano in guerra contro l’Impero britannico, e questa rivolta antiinglese si sviluppava in un momento particolarmente propizio per l’Asse. Si presentava, insomma, un’altra occasione irripetibile per infliggere una forte punizione all’Impero di sua Maestà britannica. Questa possibilità fu intuita da Mussolini, ma non da Hitler, anche perché i suoi pensieri erano protesi verso quella - che poi si dimostrerà disastrosa – “Operazione Barbarossa”.
   La richiesta di Gaylani non poteva essere disattesa da Mussolini, ma si presentavano enormi difficoltà per reperire altri mezzi bellici, sia per il trasporto di questi, sia per le pressioni internazionali alle quali l’Irak era sottoposto: pressioni guidate (neanche a dirlo) soprattutto dagli Usa.
   La Seconda guerra mondiale poteva essere vinta alle condizioni che il comando militare, e la conseguente strategia, fossero poste sotto un unico comando. Il nemico da battere erano gli Imperi che avevano rapinato le ricchezze del mondo e nocivo fu cercare nuovi, potenti avversari, nella fattispecie l’Unione Sovietica. In ogni caso, era in atto una vera rivolta armata anti-inglese e l’Asse inviò in aiuto ai rivoltosi un contingente decisamente inferiore a quanto richiesto e necessario. Hitler, soprattutto lui, non comprese quanto fosse di primaria importanza lo scacchiere mediterraneo e quello del Medio Oriente, sia come area strategica, sia perché ricchissimo di petrolio; ma, soprattutto, perché gli inglesi erano lì.
   Il pericolo che poteva derivare dal perdere il controllo di quell’area fu, invece, ben intuito da Churchill, che provvide prontamente.
   Il 7 maggio 1941 Mussolini impartì direttamente ordini per l’invio di una squadriglia di caccia e una di bombardieri e l’approntamento di 150 tonnellate di materiale bellico (400 tra mitragliatrici e fucili, alcune mitragliere da 20 mm., cartucce, proiettili ecc.).
   In questa sede è superfluo ricordare le difficoltà che si presentarono per il trasporto, ma questo non può giustificare l’aver sprecato un’altra occasione che, se portata avanti con decisione e coordinamento, avrebbe inferto all’Impero britannico, e al suo protettore d’oltre Oceano, un colpo mortale, e oggi il mondo non avrebbe conosciuto la sudditanza ad un impero di gangsters.
   I primi aerei italo-tedeschi, una cinquantina, giunsero in Irak il 23 maggio. A maggior dimostrazione che mancò fra tutti gli attori dell’impresa (ribelli irakeni fra i primi) una sia pur elementare operazione di coordinamento. Le poche forze dell’Asse si presentarono sul teatro delle operazioni in ritardo, cioè dopo che i ribelli avevano subito pesantissime perdite ad opera della Raf e delle truppe britanniche. Questo soprattutto perché non poterono avvalersi delle forze aeree italo-tedesche non ancora entrate in azione. E, di conseguenza, queste ultime non poterono usufruire, a loro volta, dell’ausilio delle forze di Gaylani. E’ superfluo ricordare che negli anni ’40 quelle popolazioni  attendevano gli italiani come liberatori; oggi, in qualunque modo si voglia mimetizzare la nostra presenza militare in quelle aree, ci presentiamo come invasori, con l’aggravante di essere al servizio di interessi altrui.
   In conclusione: le forze aeree italiane avevano perduto in pochi giorni di attività 7 aerei da caccia e da trasporto. La Luftwaffe ne aveva persi 23; mentre la Raf lamentava la distruzione di 28 aerei di ogni tipo, pareggiando in tal modo le perdite italo-tedesche.
   Per la conoscenza storica Gaylani, si rifugiò in Italia dove ebbe modo di incontrare il Gran Muftì di Gerusalemme Haj Amin al Hussayni (zio di Yasser Arafat, recentemente scomparso). A Roma, con Mussolini si studiò la possibilità di costituire alcune Unità militari arabe da impiegare sul fronte africano. Anche questa iniziativa non trovò soluzione soprattutto per la carenza del nostro potenziale bellico. Ma possiamo aggiungere che questa idea avrebbe potuto rappresentare una leva politica non davvero trascurabile se posta in opera in quello scacchiere in ebollizione. Venne accantonata un’altra opportunità che avrebbe potuto essere d’ausilio per cambiare il corso della storia. 
 Anche questo è stato il Fascismo.
1)      Questa opera gigantesca prende il nome dal suo ideatore, Itali Balbo. Essa si estendeva dai confini della Tripolitania con la Tunisia, a quello della Pirenaica con l’Egitto per un percorso di 1882 chilometri. Tempo impiegato: un anno.
2)      L’avvenimento si svolse il 20 marzo 1937 nell’oasi di Bugàra nell’immediata vicinanza di Tripoli. <La spada, consegnata da Iusuf Kerbisc> scrive Alessandro Frigerio <capo di un contingente berbero era il simbolo attraverso il quale una parte del mondo arabo voleva esprimere l’approvazione per la politica islamica del fascismo>. Ma Mussolini innalzando la spada verso il cielo, assicurava con questo gesto simbolico che l’Italia fascista faceva proprie le ragioni arabe.
3)      Ora sarà la volta dell’Iran, poi della Siria… e poi?
    


                                                                                                                                                        

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