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STORIA
Islam e Fascismo
di Filippo Giannini
Fin dai primi anni la politica estera
del fascismo manifestò l’intento di stabilire o di sviluppare le
relazioni dell’Italia coi Paesi musulmani e non solo nell’area
mediterranea. Con questo scopo fu concepita, nel 1923, una spedizione
politico-scientifica, guidata da Gastone Tanzi e Luigi Piperno,
spedizione che doveva giungere sino in Afghanistan per contattare
l’emiro Amanullah per attivare relazioni diplomatiche e di amicizia.
Fu tuttavia negli anni ’30 che la politica fascista
assunse un carattere prettamente filo-islamico. Si iniziò a dare
maggiore impulso agli studi arabi. Iniziarono i Convegni, ad esempio,
quello di Roma degli studenti asiatici del 1933 e del 1934, le
pubblicazioni bilingue italiano-arabo; Radio Bari dette inizio, nel
1934, a trasmissioni in lingua araba. Cominciarono anche a diffondersi
movimenti e organizzazioni giovanili arabe, fra questi sono da ricordare
il Partito Giovane Egitto (Hizb Misr al Fatà) guidato da Ahmad Husayn e
le Falangi Libanesi (al-Katà’ib al-Lubnàniyya) di Pierre Jumayyùl). Sono
da ricordare, inoltre, le Camicie Verdi (al-Qumsàn al-Kkhandrà) e le
Camicie Azzurre (al,-Qumsàn az-Zarqà), le une e le altre egiziane che
guardavano con simpatia al fenomeno “Fascismo”.
Il 18 marzo 1934 Mussolini dette questo
indirizzo alla politica italiana: <Gli obiettivi storici dell’Italia
hanno due nomi: Asia e Africa (…). Questi nostri obiettivi hanno la loro
giustificazione nella geografia e nella storia. Nessuno fraintenda la
portata di questo compito secolare che io assegno a questa e alle
generazioni italiane di domani. Non si tratta di conquiste territoriali,
e questo sia inteso da tutti, vicini e lontani, ma di un’espansione
naturale che deve condurre alla collaborazione fra l’Italia e le nazioni
dell’Oriente mediato e immediato (…).>.
Questa politica trova conferma
instaurando ottimi rapporti commerciali con lo Yemen dell’Imam Yahyà,
con il rinnovo di un trattato d’amicizia e di relazioni economiche; e
con il Re Fu’àd d’Egitto, ma anche con il Sovrano dell’Iraq Faysal Ibn
Husayn. Una missione medica permanente venne istallata presso l’Imam
dello Yemen, e in Siria. Altre missioni sanitarie e tecnico-scientifiche
nel mondo arabo sorsero sia ad Ammàn, con la costruzione di un ospedale
italiano, sia con l’ambulatorio di Jedda.
La fase successiva della politica
islamica del Fascismo si apre nel 1937 quando dal 12 al 21 marzo 1937 il
Duce si recò, accompagnato dal solito entusiasmo di popolo, in Libia
dove, fra l’altro inaugurò la grande strada litoranea detta “Balbia”
(1) e la “Fiera di Tripoli”. Pose la “prima pietra” per un
sanatorio, per una scuola elementare e <quando il Duce appare a cavallo
sulla più alta duna, il triplice grido di guerra “Ulad!” lo
saluta. I cavalieri prescelti offrono al Duce la spada lampeggiante
dell’Islam in oro massiccio intarsiato (…). Il Duce snuda la spada e
l’alza fieramente puntata verso il sole, lanciando a voce altissima il
grido Ulad!” (…). Il Duce lascia la duna e si avvia verso
Tripoli, seguito da duemila cavalieri galoppanti> (“Il Popolo
d’Italia” 19/3/1937) (2).
Il viaggio in Libia fu programmato in
previsione di un piano quinquennale per l’insediamento di 53 mila coloni
in Tripolitania. Negli anni 1938-1939, in due riprese, sbarcarono in
terra d’Africa 20 mila coloni veneti scelti fra i non proprietari di
terra e trasportati nei nuovi villaggi. Ad essi vennero assegnate le
case coloniche con apprezzamento di terreno; ogni casa era corredata da
pozzi artesiani con quanto necessario per il pompaggio di acqua
potabile. Ogni giorno automezzi dell’Ente Nazionale della Libia
rifornivano le famiglie di quanto necessario per vivere, nonché attrezzi
e sementi per rendere quelle terre verdi di piante.
La stessa assistenza venne riconosciuta
anche alle famiglie arabe, i cui possedimenti furono inseriti fra quelli
dei coloni italiani per apprendere, da questi, le tecniche più moderne
necessarie per il miglior sfruttamento del suolo.
A Tripoli e a Bengasi vi erano due
ospedali civili, di moderna concezione, dove potevano accedere (al
contrario di quanto accadeva al di fuori delle nostre colonie) anche i
cittadini autoctoni.
Le locali stazioni dei carabinieri
erano composte anche da militari indigeni perché, come vedremo più
avanti considerati “Italiani della Quarta Sponda” come tutti i
libici, arabi ed ebrei.
Per ritornare al viaggio del Duce in
Libia, riteniamo interessante ricordarne alcune tappe: Mussolini visita
la piccola città di Sirte dove <la popolazione indigena, adunata intorno
ai vessilli dell’Islam, accoglie, con fervide dimostrazione di fedeltà,
di devozione, di entusiasmo il Duce, che traversa la città in piedi
sull’automobile e risponde con il saluto romano alle intense
acclamazioni della folla>. Quindi si sposta a Tauroga, poi a Misurata,
dove ispeziona i lavori di bonifica e di irrigazione; quindi si porta a
Bir Tumina, ove scaturisce acqua da un pozzo artesiano, capace di
irrigare tremila ettari di terreno attraverso cinquemila metri di
canali.
********
Nella 179° riunione del Gran Consiglio
del Fascismo, tenutasi il 26 ottobre 1938, esaminando la posizione della
Libia, relatore Italo Balbo, venne approvata la mozione che <proclama
che le quattro province della Libia entrano a far parte del territorio
nazionale>.
Questo provvedimento non fu che
l’estensione del R.D. Legge 3 dicembre 1934 XIII N° 2012 e del R.D. 8
aprile 1937 XV N° 431, dove nell’articolo 4 è riconosciuto: <Una
cittadinanza italiana speciale per i nativi musulmani delle quattro
province libiche che fanno parte integrante del regno d’Italia>.
Le quattro province libiche erano:
Tripoli, Bendasi, Berna e Misurata.
Per il tempo e la mentalità di allora,
questo decreto era veramente rivoluzionario. Mai nulla di simile era
stato realizzato da alcun Paese coloniale: ma questo determinò un
ulteriore motivo di attrito con Londra e Parigi, che mal sopportavano
qualsiasi mutamento allo “status quo”.
QUANDO GLI IRAKENI NON SPARAVANO CONTRO
GLI ITALIANI
L’Irak di Saddam Hussein disponeva dei
seguenti titoli?
1)
Aveva un proprio territorio?
2)
Aveva una popolazione che lo
abitava?
3)
Aveva un governo?
E ancora:
a)
Aveva Ambasciate e Consolati
all’estero?
b)
Ospitava sul proprio
territorio Ambasciate e Consolati stranieri?
c)
Aveva una propria moneta?
d)
Aveva proprie leggi e le
applicava?
Se la risposta a tutte queste domanda è
Sì, ne consegue che disponeva di tutti i requisiti indispensabili per
qualificarsi STATO SOVRANO.
Aveva però un problema: era uno degli
Stati ricchi di “oro nero”: e questo ha smosso la cupidigia dei
gangsters d’oltre Oceano. Scrivo volutamente “gangsters” perché
fu proditoriamente attaccato e invaso senza una “dichiarazione di
guerra”, come dovrebbe prescrivere una leale competizione fra Stati
sovrani. Questo non c’è stato: di conseguenza, la comunità
internazionale civile non dovrebbe tollerare un simile modo di operare.
Lo Stato attaccante si è comportato come “sodalizio predatore”,
avendo inviato i suoi mercenari a distruggere, uccidere e depredare le
ricchezze di un popolo sovrano.
Che le cose, poi, non siano andate – e
non stiano tuttora andando – per i gangsters predatori, nel verso
sperato, è un altro discorso. E per gli uomini onesti questo non può che
sollevare un senso di piacere, anche se, e questo per inciso, la
situazione creata dai gangsters crea, e ancor più in avvenire creerà,
dei problemi di difficilissima soluzione.
Per fermarci solo alle vicende dell’Irak,
vogliamo ricordare le menzogne date in pasto al mondo intero? Ricordate
le “armi di struzione di massa”? (3) Ricordate l’embargo
decretato dai “gangsters” alla fine del secolo scorso, embargo
che ha causato decine di migliaia di vittime irakene, la stragrande
maggioranza di queste bambini? Ricordate la risposta che dette l’allora
Segretaria di Stato Madeleine Albright ad alcuni studenti americani che
le chiesero se valse la pena di aver ammazzato mezzo milione di bambini
irakeni? La “dolce” Albright rispose in perfetto stile yankee con
queste allucinanti parole: <Sì, mi pare che fosse un prezzo giusto>.
Se tutto ciò è vero, perché sono state
inviate nostre truppe in appoggio dei “gangsters” e per di più
mimetizzando questa operazione di predatori con l’asserzione di
“operazione di pace”?
Tutto ciò mi è servito come introduzione per un altro
avvenimento che, stranamente, viene obliato e riguarda un fatto che vede
in primo piano “l’adorabile tiranno” (sì, sempre Lui), l’Islam
degli anni ’40 e gli irakeni, sempre di allora, nonché, ancora, sempre
loro: i “gangsters”. Ecco “quel pezzo di storia” che pochi
ricordano, perché argomento“non politicamente
corretto”.
Il Medio Oriente nel primo dopoguerra
era costituito da una serie di piccoli Stati cosiddetti
“indipendenti”, ma, in effetti, rigidamente controllati da Francia e
Inghilterra. Come si vede, molto poco è cambiato con il mondo di oggi;
solo che ad un padrone ne è subentrato un altro, molto più infido. Fra
gli Stati del Medio Oriente si imponeva l’Irak, governato dall’uomo di
fiducia di Londra: Taha el Haschimi, che fu destituito nella primavera
del 1941, con un colpo di stato dal generale Abdul Karim Kassem, il
quale nominò capo del governo Rashid el Gaylami, di chiara passione
antibritannica e molto vicino al Governo italiano.
Gaylani chiese prontamente aiuti militari sia a Roma
che a Berlino. Si ricordi che in quegli anni sia l’Italia che la
Germania erano in guerra contro l’Impero britannico, e questa rivolta
antiinglese si sviluppava in un momento particolarmente propizio per
l’Asse. Si presentava, insomma, un’altra occasione irripetibile per
infliggere una forte punizione all’Impero di sua Maestà britannica.
Questa possibilità fu intuita da Mussolini, ma non da Hitler, anche
perché i suoi pensieri erano protesi verso quella - che poi si
dimostrerà disastrosa – “Operazione
Barbarossa”.
La richiesta di Gaylani non poteva
essere disattesa da Mussolini, ma si presentavano enormi difficoltà per
reperire altri mezzi bellici, sia per il trasporto di questi, sia per le
pressioni internazionali alle quali l’Irak era sottoposto: pressioni
guidate (neanche a dirlo) soprattutto dagli Usa.
La Seconda guerra mondiale poteva
essere vinta alle condizioni che il comando militare, e la conseguente
strategia, fossero poste sotto un unico comando. Il nemico da battere
erano gli Imperi che avevano rapinato le ricchezze del mondo e nocivo fu
cercare nuovi, potenti avversari, nella fattispecie l’Unione Sovietica.
In ogni caso, era in atto una vera rivolta armata anti-inglese e l’Asse
inviò in aiuto ai rivoltosi un contingente decisamente inferiore a
quanto richiesto e necessario. Hitler, soprattutto lui, non comprese
quanto fosse di primaria importanza lo scacchiere mediterraneo e quello
del Medio Oriente, sia come area strategica, sia perché ricchissimo di
petrolio; ma, soprattutto, perché gli inglesi erano lì.
Il pericolo che poteva derivare dal
perdere il controllo di quell’area fu, invece, ben intuito da Churchill,
che provvide prontamente.
Il 7 maggio 1941 Mussolini impartì
direttamente ordini per l’invio di una squadriglia di caccia e una di
bombardieri e l’approntamento di 150 tonnellate di materiale bellico
(400 tra mitragliatrici e fucili, alcune mitragliere da 20 mm.,
cartucce, proiettili ecc.).
In questa sede è superfluo ricordare le difficoltà che si presentarono
per il trasporto, ma questo non può giustificare l’aver sprecato
un’altra occasione che, se portata avanti con decisione e coordinamento,
avrebbe inferto all’Impero britannico, e al suo protettore d’oltre
Oceano, un colpo mortale, e oggi il mondo non avrebbe conosciuto la
sudditanza ad un impero di gangsters.
I primi aerei italo-tedeschi, una cinquantina, giunsero in Irak il 23
maggio. A maggior dimostrazione che mancò fra tutti gli attori
dell’impresa (ribelli irakeni fra i primi) una sia pur elementare
operazione di coordinamento. Le poche forze dell’Asse si presentarono
sul teatro delle operazioni in ritardo, cioè dopo che i ribelli avevano
subito pesantissime perdite ad opera della Raf e delle truppe
britanniche. Questo soprattutto perché non poterono avvalersi delle
forze aeree italo-tedesche non ancora entrate in azione. E, di
conseguenza, queste ultime non poterono usufruire, a loro volta,
dell’ausilio delle forze di Gaylani. E’ superfluo ricordare che negli
anni ’40 quelle popolazioni attendevano gli italiani come liberatori;
oggi, in qualunque modo si voglia mimetizzare la nostra presenza
militare in quelle aree, ci presentiamo come invasori, con l’aggravante
di essere al servizio di interessi altrui.
In conclusione: le forze aeree italiane
avevano perduto in pochi giorni di attività 7 aerei da caccia e da
trasporto. La Luftwaffe ne aveva persi 23; mentre la Raf lamentava la
distruzione di 28 aerei di ogni tipo, pareggiando in tal modo le perdite
italo-tedesche.
Per la conoscenza storica Gaylani, si
rifugiò in Italia dove ebbe modo di incontrare il Gran Muftì di
Gerusalemme Haj Amin al Hussayni (zio di Yasser Arafat, recentemente
scomparso). A Roma, con Mussolini si studiò la possibilità di costituire
alcune Unità militari arabe da impiegare sul fronte africano. Anche
questa iniziativa non trovò soluzione soprattutto per la carenza del
nostro potenziale bellico. Ma possiamo aggiungere che questa idea
avrebbe potuto rappresentare una leva politica non davvero trascurabile
se posta in opera in quello scacchiere in ebollizione. Venne accantonata
un’altra opportunità che avrebbe potuto essere d’ausilio per cambiare il
corso della storia.
Anche questo è stato il Fascismo.
1)
Questa opera gigantesca prende il nome dal
suo ideatore, Itali Balbo. Essa si estendeva dai confini della
Tripolitania con la Tunisia, a quello della Pirenaica con l’Egitto per
un percorso di 1882 chilometri. Tempo impiegato: un anno.
2)
L’avvenimento si svolse il 20 marzo 1937
nell’oasi di Bugàra nell’immediata vicinanza di Tripoli. <La spada,
consegnata da Iusuf Kerbisc> scrive Alessandro Frigerio <capo di un
contingente berbero era il simbolo attraverso il quale una parte del
mondo arabo voleva esprimere l’approvazione per la politica islamica del
fascismo>. Ma Mussolini innalzando la spada verso il cielo, assicurava
con questo gesto simbolico che l’Italia fascista faceva proprie le
ragioni arabe.
3)
Ora sarà la volta dell’Iran, poi della
Siria… e poi?
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