GIUDAISMO, MARXISMO E BOLSCEVISMO
di Dagoberto Bellucci
“Il bolscevismo non è né più né meno che la realizzazione del programma internazionale contenuto nei Protocolli sionisti, così come secondo gli stessi Protocolli dovrebbe realizzarsi in tutti gli altri paesi ad opera di una minoranza rivoluzionaria”
(Henry Ford – “La U.R.S.S. è un prodotto del pangiudaismo” – da “L’Ebreo Internazionale” Ediz. di “Ar” – Padova 1971).
“Circonderemo il nostro governo di economisti. Questo è il motivo per cui agli Ebrei si insegna principalmente la scienza dell’economia. Saremo circondati da migliaia di banchieri, di commercianti e, cosa ancora più importanti, di milionari, perché in realtà ogni cosa sarà decisa dal denaro”
(“L’Internazionale Ebraica – I Protocolli dei Savi Anziani di Sion” – Protocollo nr. 8).
Il marxismo fin dalla sua nascita come concezione filosofica e progressivamente nella sua prassi criminale rappresenterà il più virulento attacco contro tutte quelle forze che avevano rappresentato la Tradizione.
Per comprendere esattamente la pratica sovversiva – insieme ideologica e politica, sociale ed economica – che una simile teoria (ammantatasi di “scientificità” e di una indubbia efficacia dialettica che rovescia i termini della questione sociale facendo esclusivamente leva sugli istinti primordiali più bassi dell’individuo, in particolar modo attraverso l’invidia, il risentimento, la rabbia e l’odio materialistico) avrebbe instillato nelle società europee a partire dalla seconda metà del XIXmo secolo – raggiungendo il culmine degenerativo attraverso il golpe ebraico di Lenin che porterà alla nascita di uno Stato ateo e “rivoluzionario”, una centrale d’odio e di vendetta utilizzata come caposaldo per tutte le fiammate insurrezionali del Novecento che troveranno nei dirigenti del Cremlino complici interessati – occorre ripercorrere la storia della guerra occulta, sotterranea, che si svolse a partire dalla Rivoluzione Francese sul continente europeo e che vedrà contrapposti da un lato i simboli, le autorità, le forze tradizionali del Vecchio Continente; dall’altro lato tutti quei fenomeni ed ideologie funzionali alla loro disintegrazione secondo un piano di progressiva erosione del potere temporale e spirituale della Chiesa e delle antiche monarchie attraverso un complotto che si sarebbe servito di volta in volta delle diverse forme assunte dall’Anti-Tradizione (il nazionalismo “risorgimentale” d’ispirazione liberale, il socialismo, l’imperialismo colonialista, l’estremismo anarchico, il bolscevismo unitamente a quelle ideologie moderniste che favorirono il darwinismo, lo sviluppo della tecnica esasperato in un progressismo dai tratti messianici, fino all’evoluzione delle scienze psicoanalitiche che tanta parte avrebbero avuto nelle società moderne di massa e all’avvento dell’industrializzazione in senso capitalistico dell’ intero mondo occidentale con le sue conseguenze sociali attraverso l’urbanizzazione selvaggia e quella che è stata definita come la nazionalizzazione delle masse da autorevoli storici).
Tale cospirazione occulta era stata preparata minuziosamente per tutto il Settecento nel segreto delle logge massoniche spuntate come funghi su tutto il continente europeo dopo la costituzione della Gran Loggia Madre inglese nel 1717.
L’attività di erosione svolta dall’interno dagli agenti della setta segreta sarebbe proseguita imperterrita attraverso l’opera di proselitismo e affiliazione di numerosi esponenti dell’aristocrazia dell’epoca stoltamente postisi al servizio del nemico.
La Rivoluzione francese al di là di celebrare i suoi immortali principi di uguaglianza, fraternità e libertà schiuderà i ghetti ebraici assicurando all’elemento ebreo una parità di diritti civili che, di fatto, avrebbero reso l’ebreo progressivamente il principale elemento di dissoluzione di tutte le strutture dell’antico ordinamento dei diversi Stati del vecchio continente.
Il 27 settembre 1791 i cinquantamila ebrei francesi si videro riconosciuto il diritto di cittadinanza.
La partecipazione ebraica agli avvenimenti rivoluzionari francesi rimase sostanzialmente relativa anche se non mancarono esponenti di primo piano del nuovo Stato sorto dalle idee illuministe e rappresentanti del nuovo ceto borghese che rapidamente prese d’assalto il potere dichiarando decaduti i privilegi secolari aristocratici e l’autorità ecclesiastica.
“Il nome più illustre sembra esser stato quello di Marat, un sefardita la cui famiglia era giunta in Francia attraverso la Sardegna e la Svizzera; complice inseparabile di Marat inoltre era l’ebreo Pereyra. Nel complesso però, l’intervento diretto degli ebrei negli eventi della rivoluzione non è molto manifesto; è soprattutto il carattere di questa rivoluzione che fa pensare a una loro partecipazione. E le mura dei ghetti furono abbattuti in tutti i paesi in cui gli “immortali” principi vennero imposti dalle armate di Napoleone Bonaparte; il quale, come primo console, aveva stipulato un concordato col Sinedrio ebraico. Il Messia della Rivoluzione venne sconfitto e relegato a Sant’Elena ma ciò non impedì all’ebraismo europeo di proseguire la sua opera silenziosa. I Rothschild, proprietari di banche nelle maggiori capitali europee, erano in grado di ricattare i governi, negando loro i prestiti o concedendoli, a seconda dell’atteggiamento che essi assumevano nei confronti del popolo ebraico. La guerra tra la Banca e le Monarchie europee si riaccese nel 1830 con una rivoluzione che segnò l’insuccesso storico della Santa Alleanza. Rothschild fu il vero primo ministro di un sovrano che aveva rinunciato alla formula “per grazia di Dio”, in un regno che sostituì la bandiera dei gigli d’oro con il vessillo tricolore. Una delle prime misure del nuovo regno fu di mettere a carico dello Stato le spese del culto giudaico e per diciotto anni gli ebrei furono veramente les rois de l’epoque per citare il titolo del libro di Toussenel sul regime orleanista. La rivoluzione del 1848 spazzò via la monarchia, ma restarono gli ebrei; è nota la frase di Proudhon: “la France n’a fait que changer de Juifs”; analoga all’affermazione di Drumont secondo cui “come i bari non si siedono mai al tavolo da giuoco senza un re o due di scorta nella tasca del panciotto, così i Rothschild non si mettono mai al giuoco senza due o tre statisti ebrei nella manica.” I nuovi assi nella manica del Banchiere si chiamavano Cremieux e Goudchaux: il primo divenne membro del governo provvisorio e ministro della giustizia; il secondo ebbe il ministero delle finanze” (Claudio Mutti – “Ebraicità ed ebraismo” – introduzione a “L’Internazionale Ebraica – I Protocolli dei Savi Anziani di Sion” – Ediz. di “Ar” – Padova 1976).
Il motore immobile, occulto, della rivoluzione messo in moto dalle potenti logge massoniche britanniche avrebbe da allora in avanti attinto sempre più forza e, di volta in volta a seconda delle prospettive, ottenuto revisioni e cambi di rotta strategici dall’officina ebraica che si sarebbe dimostrata particolarmente attenta soprattutto a concentrare i suoi sforzi sovversivi contro la Russia zarista e l’impero asburgico d’Austria-Ungheria ultimi baluardi della Tradizione europea.
Le rivoluzioni liberali della metà dell’Ottocento vedranno una partecipazione diretta dell’elemento ebraico:
“questa volta gli ebrei entrarono nell’arena politica direttamente, e ben presto assunsero un ruolo dominante, in particolare nei movimenti liberali. (…) La rivoluzione del 1848 finì per identificarsi con l’emancipazione ebraica” (Abba Eban – “Storia del popolo ebraico” – Ediz. “Mondadori” – Milano 1973).
Nel 1844 , cioè quattro anni prima delle insurrezioni liberali che avrebbero sconvolto l’impero austro-ungarico e la confederazione tedesca portando alla luce i nuovi nazionalismi d’Ungheria, d’Italia e di Germania, l’ebreo Benjamin Disraeli, primo ministro della Corona d’Inghilterra ed elemento di spicco dell’Internazionale occulta ebraica, faceva dire a Sidonia, personaggio del suo romanzo “Coningsby”:
“Quella possente rivoluzione che si prepara in Germania si sviluppa sotto l’egida degli Ebrei, che cominciano a monopolizzare le cattedre professionali”.
Disraeli si riferiva certamente all’azione insurrezionale di gruppi liberali e repubblicani quali la “Giovane Germania” nata sul modello della mazziniana “Giovane Italia”.
Anche nel ventiquattresimo capitolo del romanzo “Vita di Lord George Bentinek” lo stesso Disraeli poteva osservare:
“Se il lettore getta gli occhi sui governi provvisori di Germania, d’Italia e perfino di Francia formati in questo periodo, egli riconoscerà in tutti l’elemento ebreo…L’abolizione della proprietà è proclamata dalle società segrete che formano i governi provvisori…Alla testa di ciascuna di esse vi sono uomini Ebrei..gli Ebrei vogliono distruggere questa ingrata cristianità di cui non possono più sopportare la tirannia”.
Conquistate posizioni di rilievo attraverso i nuovi strumenti dell’informazione – sarà soprattutto tramite la stampa che gli Ebrei domineranno l’opinione pubblica dei neocostituiti Stati nazionali d’Italia e Germania – e all’interno dell’amministrazione pubblica l’Internazionale Ebraica, coadiuvata dalla massoneria, non perderà tempo per sferrare i suoi attacchi contro l’apparato ecclesiastico e contro gli ultimi residui del potere aristocratico, largamente corrotto e di fatto sostanzialmente impotente di fronte ad un processo di trasformazione in senso capitalistico che avrebbe prodotto in pochi decenni il passaggio definitivo di consegne dall’antica “aristocrazia del sangue” alla nuova “aristocrazia dell’oro” dei capitani d’industria, dei banchieri e del mondo della finanza usurocratica.
Il periodo determinante per la conquista di posizioni privilegiate da parte della nuova casta usuraia sarà la seconda parte dell’Ottocento momento storico cruciale che da un lato avvierà i processi d’espansione dei diversi imperialismi europei attraverso l’esperienza delle avventure coloniali in Africa e Asia mentre dall’altro lato favorirà l’emersione della cosiddetta “questione sociale” con l’affermazione del marxismo quale novella utopia messianica, sorta di religione dell’invidia e dell’odio alimentata in nome del proletariato contro tutte le forme di autorità.
L’esperienza della Comune di Parigi sarà un momento fondamentale di questa nuova dinamica sociale e di questa realtà storica.
Non irrilevante sottolineare in proposito come la cosiddetta “rivoluzione” del proletariato parigino del 1870 risparmierà scrupolosamente di interferire con gli affari e salverà dalla furia popolare le proprietà immobiliari, all’epoca se ne contavano oltre 450 nella sola capitale francese, della famiglia dei Rothschild.
Uno storico di eletta ascendenza come Bernard Lazare riconoscerà:
“E’ Marx che dette l’impulso all’Internazionale col Manifesto del 1847, redatto da lui e da Engels; non che si possa dire ch’egli abbia fondato l’Internazionale come una società segreta di cui gli Ebrei furono i capi, perché parecchie cause determinarono la costituzione dell’Internazionale; tuttavia Marx fu l’ispiratore del meeting operaio tenuto a Londra nel 1864, donde uscì l’associazione. Gli Ebrei vi furono numerosi e solo nel consiglio generale si trova Karl Marx, segretario per la Germania e per la Russia, e James Cohen, segretario per la Danimarca. Molti Ebrei affiliati all’Internazionale ebbero la loro parte durante la Comune, ove trovarono altri correligionari. – (In nota): Neumayer, Fribourg, Loeb, Haltmayer, Lazare, Armando Levi, Franke, altro Cohen, Ph. Cohen – Quanto l’organizzazione del partito socialista, gli Ebrei vi contribuirono potentemente: Marx e Lassalle in Germania, Aaron Libermann e Adler in Austria, Dobrojanu-Gherea in Romania, Gompers, Kahn e de Lion negli Stati Uniti d’America, ne furono o ne sono ancora gli iniziatori. Gli Ebrei russi debbono occupare un posto a parte in questo breve riassunto. I giovani studenti, appena evasi dal ghetto, parteciparono all’agitazione nichilista; qualcuno, tra i quali donne, sacrificò la vita alla causa emancipatrice; accanto a questi medici e avvocati ebrei bisogna porre la massa considerevole dei rifugiati artigiani che hanno fondato a Londra e a New York importanti agglomerati operai, centri di propaganda socialista e anche comunista, anarchica (…) In generale gli Ebrei, anche rivoluzionari, hanno conservato lo spirito ebraico, e se hanno abbandonato ogni religione e ogni fede, hanno però subito, atavicamente e per via dell’educazione, l’influenza della morale ebraica. (…) Marx , questo discendente di una serie di rabbini e di dottori, ereditò tutta la forza logica dei suoi avi; fu un talmudista lucido e chiaro, che non fu imbarazzato dalle minuzie sciocche della pratica, un talmudista che fece della sociologia e applicò le sue naturali qualità di esegeta alla critica dell’economia politica. Fu animato da quel vecchio materialismo ebraico che sognò perpetuamente di un paradiso realizzato sulla terra e respinse sempre la lontana e problematica speranza d’un eden dopo la morte; ma non fu solo un logico, fu un ribelle, un agitatore, un aspro polemista e prese il suo dono di sarcasmo e di invettiva là ove l’aveva preso Heine: alle sorgenti ebraiche” (Bernard Lazare – “L’Antisèmitisme” – Paris 1934).
Il socialismo, nella sua versione marxista cioè internazionalista e materialista, si diffonderà in tutta Europa come un’utopia millenarista e un nuovo messianismo capace di attrarre tutti i diseredati attorno al grido di rivolta – “Lavoratori di tutto il mondo unitevi!” – lanciato dal messia ebreo di Treviri, sorta di novello Spartaco, alias Karl (Mordechai) Marx. Chi era realmente Karl Marx che la storiografia ufficiale comunista ha sempre disegnato come “padre del comunismo”, difensore dei diritti dei lavoratori – particolarmente degli operai – e grande economista del XIXmo secolo? Riportiamo in proposito un interessante articolo di Giovanni Preziosi il quale – citando un articolo apparso su “L’osservatore Romano” a firma di un professore dell’Accademia Ecclesiastica di Pietrogrado, mons. Stanislao Trzeciak, storico ed esperto di questione ebraica – scrive: “Carlo Mordechai, che poi si fece chiamare Carlo Marx, era figlio di un avvocato ebreo originario di Treviri (Germania renana), nacque nel 1818. Nel 1843 si stabilì a Parigi per studiare economia politica, ma la sua attività rivoluzionaria lo fece ben presto cacciare da questa città; e nel 1845 si stabilì a Bruxelles dove, in collaborazione con Engels, riorganizzò la Lega Comunista e pubblicò il famoso “Manifesto comunista” che è restato il vangelo della dottrina del partito. Tornato in Germania prese una parte attiva nella rivoluzione del 1848 e fondò a Berlino una società segreta comunista, sui membri della quale egli aveva diritto di vita e di morte. Per la misteriosa sparizione di diversi di questi appartenenti alla società, Karl Marx fu condannato a morte dal Tribunale tedesco ma, aiutato dalla Mano Nascosta, egli riuscì ad evadere in Inghilterra ove rimase fino alla morte. A Londra redasse il suo libro fondamentale: “Il Capitale”, sull’interpretazione del quale anche i suoi seguaci non sono d’accordo: libro pedante, basato su equivoci pregiudiziali in fatto di diritti e doveri, valori ecc. Privo di ogni originalità di pensiero, Marx, può ben definirsi un racimolatore dell’iniziativa altrui. E’ evidente come abbia tratto parte delle sue idee dal Vidal e dal Pecquere (circa la socializzazione delle miniere e dei trasporti). Il suo comunismo è quello di Babeuf (contemporaneo di Robespierre) e di Louis Blanc. I suoi principi internazionali, quelli di Weishaupt, fondatore dell’illuminismo demagogico alla fine del settecento (abolizione dell’eredità, matrimonio comunista, adozione di neonati da parte dello Stato). Anche la teoria sul “superfluo del valore” non è di Marx, perché sette anni prima che egli la pubblicasse, era già stata espressa, se pur con minore chiarezza, da Owen, demagogo inglese. Esagerato è quindi l’appellativo che gli è stato donato , soprattutto dai “non iniziati”, di “padre del comunismo”. Egli imitava, plagiava e colpiva col più profondo disprezzo colui del quale si era servito. Bakounin, il noto capo anarchico russo, che lo conosceva bene, disse in una lettera ai “Fratelli dell’Alleanza” di Spagna nel 1873 (vedi biografia di Bakounin di Marx Nettlau): “La sua vanità non conosce nessun limite, una vera vanità da ebreo. Questa vanità, oggi già molto forte, fu grandemente ingrandita dai suoi ammiratori e discepoli. Molto personale, molto geloso, molto suscettibile e non meno vendicativo, al pari di Jehova, il dio della sua razza. Marx non ammette che si riconosca un altro Dio al di fuori di lui stesso…Proudhon, che non si è mai creduto un dio, ma che indubbiamente era un grande pensatore rivoluzionario, e che ha reso incalcolabili servizi alla causa e allo sviluppo delle idee socialiste, era diventato appunto per questo la bestia nera di Karl Marx. (…) Più tardi fu il Marx stesso a fornire a Bakounin una prova diretta delle menzogne odiose e perfide delle quali era capace allorché scriveva nella “Neue Zeitung”: “…Per quanto riguarda la propaganda slava, ci è stato assicurato che George Sand è in possesso di carte e documenti che compromettono grandemente Michele Bakounin, il proscritto russo, e che provano che egli altro non è che uno strumento della Russia, oppure un agente entrato di recente al suo servizio…” In seguito a tali accuse eccezionalmente gravi, esplicite e pubbliche, gli amici di Bakounin si rivolsero direttamente a George Sand, ed ottennero una formale smentita. Marx fu costretto a pubblicarla nel suo stesso giornale. E’ probabile che Marx odiasse Proudhon non soltanto perché ne era geloso, ma perché Proudhon aveva visto giusto ed aveva fatto notare che il capitalismo era una montatura kahalica, che doveva essere combattuta come tale. Anche Proudhon quindi aveva intravisto il “messianismo” ebraico nell’opera di Marx. Quanto all’Internazionale Rossa proclamata figlia di Marx, leggiamo queste righe di James Guillaume, socialista svizzero: “Non è vero che l’internazionale sia stata una creazione di Marx, perché egli rimase completamente fuori dal lavoro preparatorio che si svolse dal 1862 al 1864. Quando egli entrò nell’Internazionale, questa era stata già creata dagli operai francesi ed inglesi.”. Il piano di Marx fu sempre di fare dell’organizzazione operaia lo strumento delle sue vedute personali, che poi erano quelle kahaliche. Il 9 ottobre 1866 Marx scriveva a Rugelmann (vedi “L’Internationale et le Pangermanisme” di Laskine): “Gli operai, particolarmente quelli di Parigi che appartengono ad una classe di operai di lusso e sono attaccati alle vecchie porcherie, sono ignoranti e chiacchieroni, pieni di sé e stavano per guastare ogni cosa al Congresso (comunista). Tutto Marx è in questa lettera che dimostra l’intimo disprezzo per quella classe alla quale pretendeva comandare. Del reso Marx non amava gli operai e non amava neppure la sua famiglia da lui resa infelice (una delle sue figlie si suicidò). Egli non amava nessuno all’infuori di sé stesso. I suoi piani rivoluzionari non erano dettati dall’amore per il prossimo, ma da un basso spirito egocentristico: erano il mezzo per dominare. Tale fu Mordechai detto Marx, diventato – grazie al bluff dell’ebraismo internazionale demagogico – il bandierone rosso sventolato oggi dai vari capi che…se lo danno fraternamente in testa in tutte le Internazionali. Ironia della sorte: il bandierone mordechaico in mano di Stalin ha servito a rompere la testa a quell’altro egocentrista kahalico che è Trotzki. Anche questo è “messianismo” (Giovanni Preziosi – Articolo “Marx, ovverosia Mordechai: il Santone Messianico” – da “La Vita Italiana” del 15 Agosto 1934 ripubblicato nella raccolta “Come il giudaismo ha preparato la guerra” Ediz. “Tumminelli” – Roma 1939).
Le idee di Marx – o per essere esatti le tante idee rubate a destra e a manca dal Marx nel corso della sua vita – , unitamente all’oro della grande banca ebraica americana, saranno le armi attraverso le quali l’oligarchia usurai internazionale abbatterà l’impero russo, l’autocrazia dello zar.
La rivoluzione che si andrà preparando, portata avanti alla fine dell’Ottocento dai gruppuscoli socialrivoluzionari, anarchici e nichilisti “russi” – direttamente controllati da agenti della sinagoga ebraica – che sfoceranno nel tentativo insurrezionale/costituzionale del 1905 e successivamente nel golpe ebraico leninista del 1917, sarà perciò essenzialmente un colpo di stato attuato dall’intellighenzia giudaica contro l’aristocrazia zarista russa.
Le attività dei rivoluzionari socialisti in Russia minarono qualsiasi tentativo di riforma costituzionale intrapreso dai vertici monarchici.
La “questione sociale” nella Russia zarista andò sempre più sommandosi a quella ebraica: furono soprattutto le organizzazioni ebraiche occidentali, a cominciare dall’Alleanza Israelitica Universale del massone ebreo Cremieux fino all’attività d’interferenza del B’nai B’rith, a sospingere i loro correligionari russi verso l’attività estremista nelle organizzazioni d’ispirazione socialista che diventeranno rapidamente ricettacoli per tutta l’attività sovversiva e terroristica anti-zarista di turbe di Ebrei accomunati dall’odio contro l’autorità centrale.
Nella sua opera sulla “Storia dell’Antisemitismo” ecco come lo storico ebreo Leon Poliakov descrive la situazione russa nella seconda metà dell’Ottocento:
“Fin dal 1862 l’ideologo slavofilo Ivan Aksakov si era levato contro l’emancipazione degli Ebrei, e nel 1867 tornava alla carica parafrasando (è un particolare degno di nota) la famosa formula di Marx: “Qui non si tratta” scriveva “di emancipare gli Ebrei, ma di emancipare la popolazione russa dagli Ebrei, di liberare dal giogo ebraico gli uomini russi del sud-ovest.”. Poco dopo Aksakov trovava un valido alleato nella persona di Jacob Brafman. Questo convertito, professore di ebraico presso il seminario ortodosso di Minsk, era l’esperto del Santo Sinodo per i problemi della missione tra gli Ebrei. Dal 1867 aveva cominciato a pubblicare sul “Corriere di Vilna” articoli sulla vita e i costumi delle comunità ebraiche che gli avrebbero fornito in seguito materia per i due grossi volumi, con relative fonti documentarie: “Il libro del Kahal” e “Le confraternite ebraiche locali e universali”, usciti nel 1869. (…) Nel “Libro del Kahal” egli pretendeva di rivelare “i procedimenti e i mezzi di cui si servono gli Ebrei, malgrado le leggi che limitano i loro diritti civili nei paesi in cui risiedono, per allontanare gli individui delle altre religioni dal commercio e dall’industria e concentrare nelle loro mani tutti i capitali e tutti gli immobili”. (…) Rivelazioni ancora più sorprendenti faceva Brafman ne “Le confraternite ebraiche locali e universali”. “Le confraternite” – annunciava – “sono per così dire le arterie della società ebraica (…) esse uniscono tutti gli Ebrei dispersi sulla terra in un unico corpo potente e invincibile”. I “Kahals” di tutto il mondo erano a loro volta sottoposti a una direzione centrale: questa direzione installata in Francia, terra della rivoluzione, non era altro che l’Alleanza Israelita Universale (secondo un emulo di Brafman, questa alleanza “vecchia quanto il mondo”, fu il “vero motore del cataclisma del 1789”). Dal 1871 il governatore generale di Kiev, il principe Dondukov-Korsakov, si basava su questa rivelazione per richiamare l’attenzione di Alessandro II sul pericolo rappresentato dall’Alleanza e per chiedere un rafforzamento della legislazione antiebraica. Man mano che il movimento rivoluzionario si sviluppava e si moltiplicavano gli attentati terroristici, l’inquietudine che afferrava le sfere dirigenti le portava a prestare orecchio, con crescente attenzione, a tali deliri” (Lèon Poliakov – “Storia dell’antisemitismo – (IV) L’Europa suicida , 1880-1933”– Ediz. “La Nuova Italia”- Firenze 1990).
Non di deliri si trattava ma di dati di fatto incontestabili che progressivamente avrebbero trovato una loro conferma proprio dagli avvenimenti storici che dall’inizio del Novecento e fino alla svolta rivoluzionaria del 1917 avrebbero precipitato la nazione russa in un caos senza precedenti e nell’anarchia più assoluta dai quali sarebbe sorta infine l’URSS, lo Stato ispirato dalle idee marxiste-leniniste sottomesso al giogo di una minoranza di ebrei fanatici che avrebbero dato forma ad un regime criminale che si sarebbe imposto mediante la progressiva soppressione di qualunque autorità, legge e ordinamento per imporre la loro dittatura in nome e per conto del “proletariato”.
L’URSS sarà soprattutto un laboratorio sociale, il primo di una lunga tragica serie che vedrà cadere sotto l’ideologia marxista intere nazioni e comunità, nel quale i pianificatori dell’oligarchia sovietica adotteranno tutti i sistemi e le forme di abbrutimento e disintegrazione individualistica con l’obiettivo di sradicamento di qualsivoglia retaggio ideale, culturale, spirituale precedente.
Ciò che avverrà nella Russia sovietica sarà sostanzialmente un esperimento di assoggettamento, annichilimento e disintegrazione di un intero popolo, la sistematica distruzione di tutti i vincoli (familiari e sociali) che formavano l’unità nazionale russa pre-rivoluzionaria, l’edificazione di uno stato-tiranno, di un moderno Leviatano all’interno del quale ( negli immensi spazi delle steppe siberiane e caucasiche, nell’Asia centrale sconfinata ) gli apprendisti stregoni dell’intellighenzia bolscevica avrebbero tentato, come novelli alchimisti talmudici, di creare un “uomo-nuovo” percepito esclusivamente come cavia da laboratorio e carne da macello da immolare sull’altare dell’utopia rivoluzionaria.
Scriverà Julius Evola:
“Un’antica leggenda, che già molto prima della rivoluzione circolava fra i contadini russi, annunciava la venuta di un tempo, in cui avrebbe regnato una “Bestia senza nome” – senza nome, perché sarebbe composta da una moltitudine innumerevole. (…) La verità centrale del bolscevismo è: disintegrazione dell’individuo. Il nuovo vangelo, che esso proclama, è l’ “uomo collettivo”, l’ “uomo-folla”, l’elemento impersonale di un ente plurimo, titanico, poliartico, arimanico, che “non ha nome” come non ha capo. La potenza ed il diritto assoluto spettano a quest’ente: a lui l’impero del futuro. (…) L’ideale superpersonale del bolscevismo è concepito come una combinazione puramente quantitativa di individui-parti-di-massa nel più vasto ed omogeneo conglomerato possibile. Mentre la credenza precedente era che la via verso una più alta umanità universale risiedeva nella perfezione della personalità umana, il bolscevismo si è dato a mostrare che la vera via della salvazione conduce, attraverso l’annichilimento dell’individuo, in un “uomo-massa” organizzato dall’esterno” (Julius Evola – “Il ciclo si chiude – Americanismo e bolscevismo 1929-1969”– Ediz. a cura della Fondazione Julius Evola – Roma 1991).
La cosiddetta “rivoluzione d’ottobre” dell’ala bolscevica leninista sarà la definitiva affermazione della dittatura (degli ebrei) sul proletariato russo assoggettato alle volontà ed ai diktat di un’avanguardia rivoluzionaria di elementi ebrei fatti appositamente rientrare nella Russia zarista per applicare le teorie socialiste di Marx attraverso lo strumento della violenza politica, del terrore di Stato indiscriminato.
Ciò che avverrà in Russia nell’autunno 1917 non sarà nient’altro che un vero e proprio golpe ebraico con il quale una minoranza fanaticamente inquadrata dalle parole d’ordine del socialismo massimalista, l’ala bolscevica del Partito socialista, si impadronirà del potere – in nome del proletariato e dei lavoratori – eliminando progressivamente tutte le altre formazioni politiche appartenenti alla Sinistra Rivoluzionaria russa (menscevichi, anarchici ecc.) peraltro massicciamente rappresentate all’interno di quella nuova istituzione , il Soviet, che appartiene in tutto e per tutto alla tradizione talmudica.
“Il Soviet non è un’istituzione russa ma ebrea (scrive Henry Ford in “L’Ebreo Internazionale” – Ediz. di “Ar” – Padova 1971); non rappresenta neanche un’invenzione moderna degli ebrei della Russia, né una nuova idea politica di Lenin o di Trotzky, ma è di origine arcaico-ebrea. E’ una forma di organizzazione che, dopo la conquista della Palestina ad opera dei Romani, fu adottata dagli ebrei per mantenere il loro particolare sistema di vita razziale e nazionale. Il bolscevismo moderno riconosciuto ora come la semplice scorza esteriore di un colpo di Stato, lungamente e accuratamente preparato allo scopo di assicurare il predominio di una razza determinata, adottò immediatamente la forma amministrativa dei soviet, per la semplice ragione che gli ebrei di tutte le nazionalità che cooperano all’insediamento del bolscevismo in Russia erano tutti educati e allevati sotto la forma e la struttura del soviet. Il soviet si cita nei “Protocolli” col suo antico nome ebreo di “kahal”. Nella tesi 17.a è detto: “In questi giorni i nostri fratelli si vedono obbligati a denunciare gli apostati che si oppongono al “kahal”. Quando avvenga il nostro regno tutti i sudditi dovranno servire lo Stato in ugual maniera.” Tutti coloro che conoscono la vita attuale degli ebrei sanno perfettamente che cosa significano queste denunce per apostasia. La durezza delle persecuzioni alle quali si espongono gli ebrei convertiti o i figli di una famiglia ortodossa che si sposino con non ebrei, non hanno punto di paragone nel resto dell’umanità.”
Il giudaismo si sarebbe imposto immediatamente come il principale motore della rivoluzione, divenendone la sua anima, il suo artefice, il massimo fattore dirigente.
Lenin lavorerà per la sinagoga, gli Ebrei diventeranno con la Rivoluzione gli autentici padrone della Russia sovietica.
La rivoluzione bolscevica avrà effetti disastrosi sulla società russa senza incidere e, come presenta oramai da decenni una interessata propaganda, senza ottenere alcun reale miglioramento della disastrata economia russa.
Come sarà evidente fin dai primi mesi del governo rivoluzionario emersero immediatamente l’incapacità dei dirigenti bolscevichi e la loro irresponsabilità di fronte alle problematiche di natura sociale ed economica emerse nel corso della guerra.
Per frenare il malcontento montante e il caos che andava dilagando in tutto il paese ricorrerà al terrore pianificando la strategia dello stragismo di classe (che in realtà nascondeva il più vasto piano per lo sradicamento come “controrivoluzionarie” di tutte quelle ‘tendenze’ e di tutti quei settori della società che si opponeva alla dittatura della minoranza bolscevica leninista).
Nel dicembre 1917, poco più di un mese dopo la presa del potere, Leningrado è in preda alla più totale anarchia. In un congresso che passerà alla storia, nella seduta notturna che si svolgerà tra il 25 ed il 26 ottobre 1917, il Congresso panrusso dei soviet aveva proclamato il “Consiglio dei Commissari del popolo”: da quel momento il termine “commissario” avrebbe sostituito il “borghese” “ministro”.
Ufficialmente il bolscevismo deteneva il potere ma nella realtà ovunque regnavano il caos e l’anarchia. Dappertutto si formavano ‘soviet’, ovunque si proclamavano nuove autorità, sempre in nome e per conto della rivoluzione si pretendeva di organizzare il nuovo Stato.
A guidare le masse in quei giorni caotici di novembre-dicembre 1917 erano i militari ammutinati che si erano legati alle parole d’ordine della rivoluzione, gli anarchici, i disertori, soprattutto i delinquenti ai quali la rivoluzione aveva aperto gentilmente le porte.
Ognuno scorazzava indisturbato ripetendo gli slogan che Lenin aveva loro inculcato quando aveva innalzato il grido di rivolta in nome di tutti gli oppressi.
I marinai di Kronstadt cominciarono per primi: dopo essersi ammutinati a bordo delle loro unità avevano preso gli ufficiali scaraventandoli dritti in mare finendoli poi a colpi di baionetta.
Il terrore e l’anarchia generarono nuovi mostri: a Pietroburgo due ex ministri del governo provvisorio liberale di Kerensky sono raggiunti da una folla inferocita nei loro letti d’ospedale e linciati dalla plebaglia.
Lo Stato è a pezzi, l’autorità è stata distrutta dal furore bolscevico, ovunque regna l’anarchia e la situazione rischia di contagiare perfino i più stretti collaboratori di Lenin che si lasciano andare allo sconforto o a deliranti iniziative personali.
All’Istituto Smolny, sede del nuovo governo bolscevico, non fu facile prendere decisioni. Il commissario alle finanze ordina la chiusura delle banche e farnetica ordini per l’abolizione del denaro. Il suo collega alla giustizia nomina giudici i primi operai che gli capitano sotto mano. Il consiglio di guerra finisce per nominare comandante supremo di un esercito di 11 milioni di uomini un ex tenente zarista tal Krylenko.
La fede nella rivoluzione sembra vacillare anche nei più intimi collaboratori del gran capo Lenin. Elisarov, cognato di Lenin, confida a Salomon:
“Qui sono diventati tutti pazzi, compreso il capo. Siamo alla vigilia di un fiasco. Questa follia non potrà durare a lungo. Faremo ancora qualche sciocchezza e viltà , poi correremo all’estero a rileggerci Marx perché probabilmente non l’abbiamo capito”.
Prendere in mano le redini della rivoluzione, con polso fermo e implacabile. Questa la soluzione. E sarà Lenin che deciderà di instaurare il “terrore rosso”: nascerà nel dicembre 1917 la Cereswytiainaja Komissija, la Ceka, primo organismo di polizia e repressione delle “attività contro-rivoluzionarie”, il braccio armato della Rivoluzione che – nel corso degli anni – assumerà successivamente la dizione di Ghepeù, NKVD finendo infine i suoi giorni, tutt’altro che gloriosi, con il nome di KGB.
Cosa abbiano rappresentato tutte queste sigle – di fatto si trattava sempre dello stesso apparato poliziesco che cambiava semplicemente nome – per la popolazione russa è facile immaginarlo: terrore, repressione, morte.
A guidare la macchina di terrore, repressione e morte dell’URSS saranno elementi ebrei che costituiranno il nerbo del neonato apparato statale sovietico, occuperanno in massa i principali posti all’interno del Soviet supremo, dentro ai diversi Commissariati politici, nelle organizzazioni preposte alla salvaguardia della rivoluzione.
“Pare che Lenin (scrive Claudio Mutti in “Ebraicità e Ebraismo”, op. cit.), “l’asceta incorruttibile dell’idea pura”, si rendesse conto soltanto negli ultimi giorni della sua esistenza di aver lavorato per Israele e di aver contribuito a realizzare un programma che, probabilmente non era il suo. Infatti, più che l’opera di Lenin e dei mugiki russi, la rivoluzione bolscevica fu , “in gran parte, un’opera del pensiero ebreo, del malcontento ebreo, dei piani ebrei, lo scopo dei quali era di creare un nuovo ordine nel mondo. Ciò che per mezzo del pensiero ebreo, del malcontento ebreo, dei piani ebrei fu così straordinariamente realizzato in Russia dovrà, per mezzo della forza d’animo ebrea diventare realtà in altri paesi”. Così scriveva il 10 settembre 1920 “The American Hebrew” , il più importante organo ebraico degli Stati Uniti. E il “Times” di Londra dichiarava, il 29 marzo 1919, che “dei venti o trenta commissari che dirigono l’apparato centrale del partito bolscevico non meno del 75% sono ebrei; tra gli ufficiali minori il numero degli ebrei è stragrande”. E l’ebreo M. Cohen così confermava sul “Kommunist” di Kharkov (12 aprile 1919): “Si può dire, senza esagerazione, che la grande rivoluzione socialista russa è stata opera degli ebrei, e che gli ebrei non soltanto hanno guidato questo evento, ma hanno preso interamente nelle loro mani la causa dei Sovieti”. E l’ebreo A.S. Rappaport: “Gli Ebrei in Russia, nella loro unanimità, sono i responsabili della rivoluzione bolscevica”.
Il numero di appartenenti alla razza autoproclamatasi “eletta” nelle fila del partito bolscevico all’avvento della Rivoluzione sarà preponderante. La rivoluzione, che aveva goduto del sostegno dell’alta banca ebraica internazionale, aveva decretato l’affermazione di un regime sostanzialmente ebraico.
Scriverà a proposito dei finanziamenti ebraici ai rivoluzionari bolscevichi Carlo Alberto Roncioni:
“…la classe dirigente industriale e finanziaria in Inghilterra e Stati Uniti è composta prevalentemente di appartenenti alla razza ebraica e parimenti l’aristocrazia burocratica dell’Unione Sovietica, che organizza e dirige la produzione industriale (compravendita di beni e servizi come il lavoro umano) è composta di appartenenti alla razza ebraica. Un documento molto importante in proposito è stato fornito dalla Polizia Segreta Americana: Secret Service “Documentation”, Parigi 6 marzo 1920; da questo documento risulta:
a) Nel Febbraio 1916 si seppe per la prima volta che una Rivoluzione era stata fomentata in Russia. Si scoprì che le persone e ditte qui sotto erano impegnate per tale opera rivoluzionari:
1) Jackob Schiff (personalmente), ebreo;
2) Banca Kuhn Loeb and C. ebrea, con Jackob Schiff ebreo e Jerome I. Hanauer, ebreo;
3) Guggenheim, ebreo;
4) Max Breitung, ebreo.
Non v’è dubbio che la rivoluzione russa, scoppiata un anno dopo tale formazione, fu lanciata e fomentata da influenze spiccatamente ebraiche. Difatti nell’aprile 1918 Jackob Schiff ebbe a dichiarare pubblicamente che grazie al suo appoggio finanziario la rivoluzione russa era riuscita;
b) Nella primavera del 1917 Jackob Schiff cominciò ad accomanditare Trotzky, ebreo, per fare in Russia la rivoluzione: il giornale di New York, “Forward”, gazzetta ebrea bolsceviva quotidiana, versò anch’essa un contributo per tale scopo. Contemporaneamente a Stoccolma l’ebreo Max Warburg accomanditava la ditta Trotzky & C. , casa ebraica; tale società era ugualmente accomanditatata dal sindaco Westfaliano-Renano, impresa ebraica, nonché di un altro ebreo Olaf Aschberg della “Nya Banken” di Stoccolma” e dall’ebreo Givotovsky, la cui figlia ha sposato Trotzky. Così furono stabilite le relazioni fra gli ebrei multimilionari e gli ebrei proletari;
c) Nell’ottobre 1917 ebbe luogo in Russia la rivoluzione sociale, in virtù della quale certe organizzazioni di sovieti presero la direzione del popolo russo. In quei sovieti spiccarono i seguenti individui, tutti ebrei meno Lenin (il quale però figlio di una donna di razza ebrea…quindi a tutti gli effetti Ebreo secondo la legge ebraica che riconosce come di discendenza ebraica la linea patrilineare ndr): Ecco i loro nomi di guerra, e tra parentesi, quelli di famiglia: Lenin (Ulianov); Stekov (Nakhames); Larin (Lurge); Martinov (Zibar); Zwiesdin (Weinstein); Lapinsky (Loewensohn); Trotsky (Braunstein); Mortov (Zederbaum); Bohrin (Nathansohn); Kamenev (Rosenfeld); Suchanov (Gimel); Sagersky (Krohmann); Sointzev (Bleichmann); Garin (Garfeld); Gorev (Goldmann); Axelrod (Orthodox); Cernomorsky (Tschernomordkin); Maklakowsky (Rosenblum); Meschkowsky (Goldberg); Abramowic (Rein); Urisky (Radomilsky); Granetzky (Fuertenberg); Bogdanov (Silberstein); Riazanov (Goldenbach); Piatnitzky (Ziwin); Glasunov (Schultze); Zinoviev (Apfelbaum); Dan (Guerevic); Parvus (Goldfandt detto anche Helphand)” (Carlo Alberto Roncioni – “Il potere occulto” – Ediz. “Sentinella d’Italia” – Monfalcone 1974).
La preponderanza, asfittica, dell’elemento ebraico ai vertici del partito bolscevico e dello Stato sovietico sarebbe immediatamente stata sottolineata soprattutto dai dispacci dei servizi segreti occidentali e dalle informazioni provenienti dalle ambasciate dei paesi occidentali a Mosca.
Altre informazioni sulla effettiva realtà sociale e militare dell’URSS e sulla divisione dei poteri all’interno dei nuovi apparati dell’amministrazione sovietica venivano comunicate al resto del mondo dai fuoriusciti russi, dagli ambienti aristocratici filo-monarchici in fuga verso le capitali occidentali, da organizzazioni di nazionalisti russi che mantenevano tutte costanti legami con il loro paese e, fino a quando ancora fu possibile, aperte vie di comunicazione attraverso le quali far circolare le notizie.
Giovanni Preziosi, su “La Vita Italiana” del 15 gennaio 1921, poteva a proposito della situazione interna sovietica sottoporre ai suoi lettori questa illuminante documentazione:
“Un interessante opuscolo dal titolo “Chi governa in Russia?”, edito a New York nel 1920 dall’Associazione “Unità della Russia”, dà un elenco completo del personale che dirige i vari reparti del governo dei Sovieti. L’elenco redatto accuratamente sulle basi offerte dagli organi ufficiali bolscevichi, reca la prova indiscutibile della preponderanza ebraica in tutti i rami del governo dei dittatori di Mosca. In Russia su 503 funzionari dello Stato, 406 sono israeliti; 29 soltanto sono russi. Ci sono, per verità, 34 lettoni, 12 tedeschi, 12 armeni ecc. Inoltre, tra 42 giornalisti che dirigono l’opinione pubblica, uno solo è russo: Massimo Gorki. Sui 22 membri del Consiglio dei commissari del popolo, non si contano che 3 russi soltanto: Lenin, Cicerin e Mondelstam. Gli altri membri sono: 17 israeliti e 2 armeni. Il Commissariato di guerra, diretto da Trotzky, comprende 43 membri: 34 sono israeliti, 8 lettoni, 1 tedesco, non un solo russo. Il Commissariato dell’interno, diretto dall’israelita Apfelbaum (Zinovieff) è composta da 64 membri tra i quali 2 russi, 45 israeliti, 11 lettoni, 3 armeni, 2 tedeschi e 1 polacco. Il Comitato per gli Esteri, diretto da Cicerin, che vi rappresenta da solo l’elemento russo, è composto di 17 membri; gli altri 16 sono: 13 israeliti, 1 armeno, 1 lettone, 1 tedesco. Il Commissariato delle finanze è costituito da 30 membri, dei quali 26 sono israeliti, 2 russi, 1 lettone e 1 polacco. Il Commissariato della giustizia comprende 19 membri , tra i quali Steinberg e Trotzky. Non un solo tra essi è russo: 18 sono israeliti ed 1 armeno. Il Commissariato dell’igiene si compone di 5 membri: 4 israeliti ed 1 tedesco. Non un solo russo. Il Commissariato della pubblica istruzione comprende 53 membri, tra i quali: 2 russi, 44 israeliti, 3 finnici, 2 tedeschi, 1 lettone e 1 ungherese. Il Commissariato dell’assistenza sociale è costituito da 6 membri, tutti ebrei. Il Commissariato della ricostruzione della città di Jaroslaw ha due membri: israeliti entrambi. I delegati della Croce Rossa bolscevica sono 8, tutti e otto israeliti. Tra i 23 commissari provinciali, 21 sono ebrei, uno russo ed un lettone. La Commissione d’inchiesta sull’amministrazione dell’impero russo è composta di 5 ebrei e 2 russi. La Commissione d’inchiesta sull’assassinio di Nicola II contava dieci membri: 7 ebrei, 2 russi, 1 armeno. Il Consiglio supremo dell’economia generale, diretto da un russo, il Rykoff, è costituito da 56 membri: 45 israeliti, 5 russi, 3 tedeschi, 2 lettoni, 1 armeno. L’ufficio del primo Soviet degli operai e soldati di Mosca, conta 23 membri: non un solo russo, ma 19 israeliti, 3 lettoni, 1 armeno. Il Comitato esecutivo centrale del 4° Congresso panrusso dei sovieti degli operai, dell’esercito rosso, dei contadini e dei cosacchi, era composto da 34 membri: 33 israeliti ed 1 russo. Il Comitato del 5° Congresso degli stessi Sovieti, comprendeva 62 membri: 43 ebrei, 6 russi, 6 lettoni, 2 armeni, 1 tedesco, 1 ceco e gli altre tre oriundi rispettivamente della Georgia, dell’Imeret e del Karaim. Il Comitato centrale del partito socialista operaio è composto di 12 membri: tra i quali 9 israeliti e 3 russi. Tale il personale governativo della Russia di oggi (1920). Ma l’influenza ebraica si estende anche nei partiti che pretendono di rappresentare l’opposizione. L’ufficio centrale del partito comunista del popolo, è composto da 55 israeliti e di un russo. Il Comitato centrale del partito socialdemocratico dei lavoratori, è composto di 11 membri tutti ebrei. Il Comitato centrale del partito socialista rivoluzionario della destra, conta 14 israeliti ed 1 russo. Il Comitato centrale del partito socialista (rivoluzionario) di sinistra, conta 10 israeliti e 2 russi. Il Comitato degli anarchici di Mosca comprende 5 membri: 4 ebrei ed 1 russo. Il Comitato centrale del partito comunista di Polonia, conta 12 membri tutti ebrei. Si può dunque concludere, a rigor di logica, che lo Stato russo è governato da ebrei” (Giovanni Preziosi – articolo “Chi governa la Russia?” – da “La Vita Italiana” del 15 gennaio 1921 ripubblicato nella raccolta “Giudaismo bolscevismo plutocrazia massoneria” , Ediz. “Hohenstaufen” – 1944).
Lo Stato sovietico si presentava sulla ribalta internazionale come un apparato rivoluzionario, un autentico anti-Stato che intendeva – in conformità con le idee propugnate da Lenin e propagandate dalla Terza Internazionale – esportare ovunque sovversione, anarchia, caos e lottare per l’instaurazione della dittatura del proletario su scala planetaria.
I neocostituiti partiti comunisti che aderirono alla nuova internazionale diretta dal Cremlino, autentica centrale sovversiva e centro del terrore bolscevico, adottarono immediatamente le parole d’ordine della rivoluzione moscovita: la violenza politica come mezzo di lotta, la guerra civile come metodo per la conquista rivoluzionaria dello Stato, la disintegrazione di tutte le strutture della società borghese come necessità per l’edificazione del socialismo.
Erano queste le speranze, e le utopie, che ispirarono Lenin ed i leader bolscevichi nei primi mesi successivi alla presa del potere e fino al 1921-22. Quelli furono gli anni decisivi che sancirono la definitiva sconfitta dei movimenti rivoluzionari comunisti in Italia, Ungheria e soprattutto Germania. Grandi erano state le aspettative bolsceviche per l’evoluzione delle situazioni a Budapest, Roma e particolarmente a Berlino e nelle altre zone della neonata repubblica di Weimar.
Uno degli obiettivi principali sui quali puntava la strategia leninista era la presa del potere rivoluzionaria in Germania.
Le condizioni per la conquista comunista della Germania erano mature ma la reazione delle forze armate leali alla repubblica e delle diverse organizzazioni nazionalpatriottiche, armatesi in corpi franchi e squadre d’assalto, disintegrarono sul nascere tutti i tentativi insurrezionali rossi.
“Il marzo e l’aprile del 1919 (ha scritto lo storico tedesco Ernst Nolte in “Nazionalsocialismo e bolscevismo – La guerra civile europea 1917-1945”– Ediz. “Rizzoli” – Milano 1996) costituirono in Russia il primo culmine della speranza nella rivoluzione mondiale imminente. Per Lenin la nascita del partito comunista di Germania con i suoi capi famosi e universalmente noti come Liebknecht, Rosa Luxemburg, Clara Zetkin e Franz Mehring” significava già di fatto l’inizio della nuova Internazionale, quella comunista, e il congresso di fondazione riunitosi a Mosca ai primi di marzo era per lui solo una sorta di formale realizzazione. (…) I manifesti e gli appelli rivolti a tutto il mondo da questa piccola assemblea di cinquantuno delegati per lo più russi erano pervasi da un tale fuoco e da una tale forza entusiastica che nessuna proclamazione di vittoria degli alleati e nessun progetto ottimistico di Wilson poteva reggere il confronto. Nelle “Direttive dell’Internazionale Comunista” redatte da Bucharin leggiamo: “E’ nata una nuova epoca. L’epoca della dissoluzione del capitalismo, della sua intima disgregazione, l’epoca della rivoluzione comunista del proletariato…Essa deve spezzare il dominio del capitale, rendere impossibili le guerre, annullare i confini degli Stati, trasformare tutto il mondo in una comunità che lavori per sé, realizzare la fratellanza e la liberazione dei popoli” (…) Queste speranze e queste previsioni fiduciose raggiunsero tuttavia il loro punto più alto nell’appello del 1° maggio che il comitato esecutivo rivolse ai comunisti bavaresi, cosciente che accanto alla Repubblica sovietica russa vi erano già quella ungherese e quella bavarese: “La tempesta comincia. L’incendio della rivoluzione proletaria divampa con forza inarrestabile in tutta Europa. Si avvicina il momento che i nostri precursori e maestri hanno atteso…il sogno dei migliori rappresentanti dell’umanità diventa realtà…Scocca l’ora dei nostri oppressori. Il 1° maggio 1919 deve diventare il giorno dell’attacco, il giorno della rivoluzione proletaria in tutta Europa.. Nel 1919 è nata la grande Internazionale comunista. Nel 1920 nascerà la grande Repubblica sovietica internazionale”.
Utopie e propaganda, menzogne raccontate a sé stessi ed ai propri sventurati compagni d’avventura. Un’avventura che sarebbe durata oltre settant’anni incendiando tutti i continenti e seminando ovunque morte e terrore in nome di un’ideologia che si nutriva quotidianamente di un odio cieco e di una atavica spinta vendicativa: si tratta dello stesso odio e dello stesso spirito vendicativo che hanno accompagnato per secoli il giudaismo nei confronti delle società goyim = non ebraiche, di fronte a tutto ciò che non è ebraico, a qualunque istituzione difforme da quelle appositamente create dalla nazione ebrea. Eppure anche se queste parole d’ordine rivoluzionarie e sovversive trovarono interessate orecchie e ancor più interessati nuclei di agitatori professionisti , anche questi ebrei come i loro correligionari di Mosca, tra i vertici dirigenti del neonato KPD tedesco e tra quelli della Lega di Spartaco era evidente che si trattava di pura propaganda e di un bluff abilmente giocato da Lenin e dalla sua cricca ebrea al potere per promuovere la rivoluzione.
Scrive lo stesso Nolte:
“Un osservatore scettico avrebbe ritenuto molto più verosimile che il 1919 potesse significare la fine della Repubblica sovietica. Nella Russia meridionale l’armata dei volontari del generale Denikin, appoggiata dagli alleati e in particolare dal ministro inglese della guerra Winston Churchill con molto materiale e missioni militari, era avanzata sensibilmente verso il nord. In Siberia l’ammiraglio Kolcàk aveva rovesciato il governo dei partiti e le sue truppe, a cui si erano uniti i cecoslovacchi, alla fine di aprile erano davanti a Samara e non lontano da Simbirsk. Nelle vecchie province baltiche continuavano a combattere ancora le truppe tedesche e l’esercito dei Paesi Baltici sia contro i bolscevichi che contro i lettoni e gli estoni borghesi-nazionalisti. Pietrogrado continuava a essere minacciata. Al nord truppe alleate si trovavano ancora a Arkhangel’sk e si sforzavano di insediare un regime russo sotto la guida di un socialrivoluzionario. La regione rossa non era ancora più grande del granducato di Mosca al tempo di Pietro il Grande e soffriva terribilmente la fame perché era separata dalle più importanti regioni dove veniva prodotto il grano e non poteva fornire ai suoi contadini prodotti industriali, tanto che Lenin fu costretto a inviare squadre di requisizione di operai dalle città nei villaggi dove esse cercarono di unirsi ai poveri dei villaggi in una razzia senza pietà contro i kulaki. Una guerra di classe interna si svolgeva quindi parallelamente alla guerra civile esterna, e questo era l’elemento caratteristico e senza precedenti poiché nella storia moderna non era ancora mai accaduto che un capo di governo definisse grandi gruppi della popolazione con espressioni come “i cani e i porci della borghesia morente” o “i ragni” e i “parassiti” contro cui doveva essere condotta una lotta spietata.”
Era iniziata la guerra civile europea.
Una contrapposizione radicale che avrebbe diviso su opposte barricate e opposti fronti il fior fiore della gioventù europea ed avrebbe portato allo scatenamento del secondo conflitto mondiale combattuto dal regime comunista sovietico al fianco delle demoplutocrazie occidentali contro l’Europa dell’Ordine Nuovo delle Rivoluzioni Nazionali.
Un abbraccio inevitabile quello tra bolscevichi e plutocrazia: fondamentalmente si trattò della conferma del ruolo di alleato e complice che il comunismo sovietico dimostrò di svolgere in maniera eccellente nei confronti delle democrazie del capitalismo occidentale (specialmente Gran Bretagna e Stati Uniti) con le quali si svilupparono ampi trattati commerciali con scambi economici ai massimi livelli progressivamente estesi e sviluppatisi fino al crollo dell’URSS all’inizio degli anni Novanta del secolo.
“I contatti per motivi d’affari sono esistiti anche in periodi di forte antagonismo ideologico: i capitalisti americani, per tutto il periodo 1920-30 , si sono recati in Russia per svolgervi attività commerciali su una base puramente individuale. E i crediti, questa chiave del commercio estero dell’URSS e costante della sua politica estera, non le sono mai venuti a mancare, in particolare dalla Germania. Anche nei periodi di scontro ideologico e militare, diretto o tra paesi satelliti (NATO-Patto di Varsavia, blocco di Berlino, guerra di Corea, Vietnam, crisi dei missili a Cuba, Angola) i sovietici hanno sempre continuato ad avere relazioni commerciali e a cercare crediti” (Charles Levinson – “Vodka-Cola” – Ediz. “Vallecchi” , Firenze 1978).
Ciò sarà possibile perché dietro alla maschera ideologica l’Unione Sovietica nascondeva la realtà di un capitalismo di Stato burocratico e collettivista ai massimi livelli.
Un capitalismo peraltro straccione, incapace di far fronte autonomamente alle richieste di autosufficienza alimentare, di risolvere la penuria alimentare che per diversi periodi, a ondate, ha contrassegnato la storia sovietica come evidenzieranno chiaramente le grandi carestie che colpiranno vaste zone dell’impero rosso nei primi anni Venti e, in maniera drammatica, agli inizi del decennio successivo.
Un capitalismo di Stato che dipendeva pesantemente anche sul piano militare dagli aiuti dell’Occidente ai quali ricorse immediatamente Stalin nell’estate 1941 dopo che la Germania nazionalsocialista aveva lanciato l’operazione Barbarossa con la quale Hitler si riprometteva di schiacciare definitivamente la centrale terroristica sovietica.
“Per la Russia in pericolo quindi, i rifornimenti occidentali dovevano essere celeri, continui e proporzionati al dispendio. (scrive Piero Sella in “L’Occidente contro l’Europa” – Ediz. de “L’Uomo Libero” – Milano 1984) In tutte le conferenze alleate il tema centrale fu quello di aiutare la Russia e di concordare i modi più validi per farlo. Gli americani erano assai ben disposti e la loro produzione industriale sovrabbondante. Scrive il generale Deane, capo della missione militare statunitense a Mosca: “Negli USA c’erano migliaia di rappresentanti sovietici, i quali potevano visitare le nostre fabbriche, frequentare le nostre scuole e presenziare al collaudo degli aerei e delle armi…Mettevamo le nostre invenzioni nel campo elettronico e negli altri campi a disposizione dei russi. .. Non ci siamo mai lasciati sfuggire un’occasione per dare ai russi aerei, materiali ed informazioni che a parer nostro potessero essere utili per le loro operazioni belliche.” (…) Nel settembre ’41 Harriman e Lord Beaverbrook sono a Mosca per prendere nota delle necessità sovietiche; li accompagna un primo credito di un miliardo di dollari. Il presidente Roosvelt, in una sua lettera del 7 marzo 1942, stabilisce che le spedizioni alla Russia debbano avere la precedenza assoluta, non solo nei confronti degli alleati, ma, persino, sulle forze armate USA. Nel corso del conflitto, si mossero per la Russia dai porti americani 2.660 navi che portarono a destinazione oltre venti milioni di tonnellate di armamenti e rifornimenti. Di queste navi solo 77 furono affondate. Notevole fu anche la quantità di rifornimenti che prese il via dai porti inglesi. Churchill riferisce la spedizione di migliaia di aerei e di carri armati. (…) Dagli Stati Uniti giunsero ai sovietici 13.303 carri armati e autoblindo, 8.212 cannoni, 2.328 trattori per artiglieria, 11.000 carri ferroviari, 427.284 automezzi di ogni tipo, in prevalenza autocarri. Kruscev, a proposito di questi ultimi, dice: “Provate ad immaginare come avremmo potuto avanzare da Stalingrado a Berlino senza questi mezzi. Le nostre perdite sarebbero state enormi perché non avremmo avuto possibilità di manovra.”
La congiuntura bellica aveva favorito la sinergia sovietico-statunitense che all’indomani della seconda guerra mondiale porterà al condominio planetario tra le due superpotenze.
Il mondo bipolare da allora e fino alla fine degli anni Ottanta avrebbe vissuto sotto la dittatura dei due imperialismi contrapposti eppure complici della spartizione globale a seguito della guerra di aggressione scatenata dall’Internazionale Ebraica contro l’Europa dell’Ordine Nuovo.
Il periodo compreso tra la metà degli anni Trenta e la metà degli anni Quaranta sarà dunque gravido di conseguenza nefaste per il Vecchio Continente e provocherà inevitabili terremoti nelle relazioni internazionali che ridisegneranno la carta geopolitica del potere mondiale con particolari conseguenze soprattutto per l’Europa divisa ed occupata da eserciti stranieri ed annessa quale sorta di colonia alle mire strategiche di Stati Uniti e URSS.
Questa fase coincide, all’interno dell’Unione Sovietica, con la riorganizzazione in senso nazionalista della nomenklatura raccoltasi, dopo la morte di Lenin (1924), attorno al nuovo dittatore del Cremlino, il georgiano Joseph Stalin.
“La campagna di eliminazione della “opposizione di sinistra” in URSS raggiunge la sua massima intensità negli anni 1936-38. (scrive Maurizio Lattanzio in “Stalinismo ed Ebraismo” – Ediz. “Barbarossa” – Saluzzo, 1986) Questa “purga” non deve però essere attribuita al presunto antigiudaismo di Stalin, cioè all’avversione spirituale ed etica nei confronti dell’essenza profonda e dei tratti qualificanti che caratterizzano la natura ebraica, né alla sua volontà di spezzare i legami che uniscono i trotskisti alla plutocrazia occidentale. Essa va invece ricollegata all’esigenza di sopprimere una tendenza politico-ideologica che, avendo elaborato una diversa interpretazione del pensiero marxiano, ne aveva dedotto moduli di gestione del potere sovietico opposti a quelli staliniani, qualificandosi quindi come fazione rivale di Stalin all’interno del partito comunista. Stalin, benché ebreo, comprende che le garanzie di sopravvivenza del marxismo sono inscindibilmente legate alla realizzazione del “socialismo in un solo paese”, cioè alla nascita di una forma di nazionalcomunismo radicato nelle profonde correnti storiche del panslavismo, nel quadro di una concezione autoritaria, burocratica e centralizzatrice dello Stato. (…) Stalin, alias Joseph Vissarionovitch Djugashvili, è un ebreo circondato da ebrei. Il nome di Stalin, Djugashvili, significa in georgiano “figlio di israelita”; “chvili”= figlio e “Djuga”= israelita. La famiglia Djugashvili, di religione cristiano-ortodossa, discende dal Caucaso, convertita all’inizio del XIX secolo. La moglie di Stalin, Raissa Kaganovitch, è un’ebrea il cui padre, Lazarus, è vice-segretario del partito comunista, Commissario del popolo per l’industria pesante e membro dell’Ufficio Politico. Quanto ai cognati di Stalin, Michael Kaganovitch è Commissario del popolo per l’industria bellica e membro del Comitato centrale del partito, Aaron è amministratore per gli approvvigionamenti di Kiev, Sergio è dirigente dell’industria tessile e Boris di quella dei rifornimenti per l’esercito. Inoltre la moglie di Molotov, numero due del Cremlino, l’ebrea Scemciuchina Karp, permetterà alla Russia staliniana di continuare a coltivare – nonostante l’eliminazione dei “quadri” trotskisti – ottimi rapporti con i plutocrati della famiglia Karp. “Le grandi fornitura americane all’URSS – scrive Giovanni Preziosi – nel 1928, forniture di navi, armi, macchine utensili ecc. passarono tutte attraverso le mani della famiglia Karp. La Scemciuchina Molotov-Karp è rimasta sempre in ottimi rapporti con i finanzieri ebrei di New York: Jacob Schiff, Warburg e Kahan, le cui strette relazioni con l’ebreo Maiski, ambasciatore sovietico a Londra, sono state parecchie volte rilevate dalla stampa.”
E difatti non crediamo affatto alle ricostruzioni, anche quelle su pretese basi ‘storiche’, che vorrebbero identificare l’ultima fase dello stalinismo con l’affermazione di una presunta politica “antisemitica” diretta allo “sterminio” dell’intellighenzia ebraica sovietica.
Stalin non aderirà mai a posizioni antigiudaiche organiche né l’eliminazione dei trotzkisti prima e neppure la cosiddetta cospirazione dei medici “scoperto” nel gennaio 1953 assumeranno i tratti di una posizione stalinista riconducibile all’antigiudaismo.
Le misure repressive assunte dal massimo dirigente del Cremlino rispondono invece a semplici valutazioni contingenti della politica sovietica relative al soddisfacimento di equilibri di potere geopolitico-strategici su scala internazionale che determineranno la posizione anti-sionista, non antigiudaica, di Stalin.
“Ciò è dimostrato – scrive Maurizio Lattanzio – dal fatto che, nel corso dell’esperienza staliniana, fino al 1949, gli esponenti ebrei installati al potere nell’Europa orientale dai carri armati dell’Armata Rossa, non saranno nemmeno sfiorati da qualsivoglia forma di persecuzione o di atteggiamento persecutorio. In Cecoslovacchia i primi arresti dei capi sionisti risalgono proprio al 1949, mentre il processo Slansky sarà tenuto nel 1952. La Cecoslovacchia sarà inoltre il canale privilegiato attraverso il quale fluiranno – nel 1948 – gli aiuti sovietici all’ebraismo che, dopo aver occupato la Palestina, si avvierà a consolidare in Medio Oriente la sua base operativa da cui sprigionare una sanguinaria prassi di aggressione e genocidio nei confronti del popolo palestinese. (…) In Romania Ana Pauker Robinson è destituita nel 1952, anno in cui, tra l’altro, la “Jewish Chronicle” del 22 febbraio può ancora scrivere che “…gli ebrei romeni contribuiscono ora in ogni ramo dell’industria statale, commercio, agricoltura, educazione esercito. Gli ebrei in campo economico continuano a progredire sempre maggiormente (…) Anche in Ungheria, secondo il dott. Bela Fabian, ex membro del parlamento ungherese, “la campagna antisionista (in Ungheria) comincia nel 1949” (dichiarazione dell’ufficio informazioni ucraino del marzo 1951). Le vittime di questa campagna, uccisi o epurati, sono Zoltan Vas, ministro della pianificazione, Gyula Decsi, ministro della giustizia, Timarand, assistente alla segreteria di Stato, Peter Habor, capo della polizia segreta, Csapa, capo del dipartimento economico della polizia segreta, J. Szebersky, capo sezione internazionale del ministero delle finanze, Istvan Szirmay, direttore del sistema radioattiva. (…) In Germania orientale la “purga” antisionista prende avvio alla fine del 1952, e precisamente il 30 dicembre, giorno in cui si diffonde la notizia che il governo di Pankow sta eliminando il suo ufficio informazioni, a capo del quale è l’ebreo Gerhard Eisler, mentre al dipartimento stampa è l’ebreo Albert Norden. (…) Perché in Polonia si manifestino i segnali di una riscossa antisionista bisogna attendere addirittura la fine del 1953. Infatti, tra i satelliti dell’URSS, probabilmente la Polonia rappresenta il paese più massicciamente e sistematicamente egemonizzato e ‘colonizzato’ dall’elemento ebraico. (…)
L’antisionismo sovietico è dunque solo la risposta sovietica alla politica israeliana di allineamento con gli USA. Sono misure di carattere reattivo, le quali non derivano omogeneamente dalla radicale ripulsa nei confronti dell’universo spirituale e religioso, culturale ed etico che definisce i profili ontologici dell’ebraismo.”
Stalin non potrà assumere posizioni antiebraiche perché nelle sue vene scorreva sangue giudeo – ed il richiamo del ‘sangue’, quindi della razza, sarà sempre predominante nell’elemento ebraico – oltre ai rapporti matrimoniali con femmine di eletta ascendenza e ad una pluritrentennale solidarietà di ‘razza’ nei confronti degli elementi ebrei che dal 1919 al 1949 lo affiancheranno o coadiuveranno nell’esercizio del potere diventato, a partire dalla seconda metà degli anni Venti, assoluto e totalitario.
Tra gli ebrei che otterranno posizioni rilevanti di potere all’ombra del dittatore sovietico ne troviamo infatti parecchi che manterranno o aumenteranno le loro posizioni all’interno della nomenclatura anche dopo l’inizio della politica anti-sionista (1949) e fino ed oltre la scomparsa del dittatore sovietico (1953).
Tra costoro figurano:
a) Laurenti Pavlovich Beria, potente capo della polizia segreta nel 1938, poi membro del Politburo nel 1946 e infine presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’Interno nel 1953 prima della sua destituzione;
b) Lev Z. Mekhlis, già capo del dipartimento politico dell’Armata Rossa. Ministro delle dogane ed editore della ‘Pravda’, membro del Comitato Centrale del partito fino alla sua morte nel 1953;
c) Solomon Lozovski, Direttore del servizio informazioni durante la seconda guerra mondiale diventerà ministro degli Esteri nel 1951;
d) A.M. Jacobson, membro del Presidium del Soviet Supremo nel 1951;
e) Eugene Varga (alias Weissfeld) , consigliere economico di Stalin. Sarà l’inviato del Cremlino per l’Ungheria dal 1952;
f) Ilya Ehremburg, capo della propaganda sovietica e vice-presidente del Consiglio della pace mondiale, organismo promosso dal Cremlino;
g) Anatoli Josifovich Lavrentiev (alias Lipmann), Ministro degli Esteri dal 1949 al 1951. Successivamente ha capitanato le missioni diplomatiche sovietiche in Iugoslavia, Bulgaria e Cecoslovacchia (1951), in Romania (1952) e in Persia (1953);
h) P.A, Judin, Ministro delle costruzioni dell’industria pesante (1951);
i) I.A. Levine, vice-ministro dei lavori pubblici nel 1950; l) A.M. Kirchestein, Presidente del Presidium nel 1951;
m) Paval Judin, editore del giornale del Cominform nel 1951 successivamente viene nominato membro del Comitato Centrale (1952) quindi inviato del Cremlino in Bulgaria e Germania Orientale (1953);
n) Maxim Litvinov (alias Wallach), diplomatico sovietico;
o) Peter Levitsky, capo del Consiglio delle nazionalità (1951);
p) Semyon Yakovlevich Fomin, Ministro dell’industria macchine da costruzione (1951);
q) Ivan Isidorevich Nossenko, vice-ministro dei trasporti navali (1951), nominato ministro dei trasporti ed industria pesante nell’estate 1953;
r) N. Yakovliev, capo del dipartimento scolastico del Comitato Centrale del partito nel 1952; s) Mark Spivak, Ministro dell’agricoltura ucraina nel 1954;
t) Georgi F. Alexandrov, Ministro della Cultura nel 1954.
Il “Jewish Chronicle” esultante in data 6 aprile 1951 poteva scrivere affermando che “molti ebrei russi hanno meritato il premio Stalin”.
In modo analogo David Zaslanvsky, editore ebreo della ‘Pravda’ , poteva rassicurare la stampa canadese e statunitense affermando che “gli Ebrei in Russia possono svilupparsi economicamente e culturalmente secondo la loro scelta e desiderio” ( dal “Daily People’s World”, Los Angeles , USA, 29 Ottobre 1951).
Rueben Falber sulla gazzetta ebraica “Jewish Clarion” poteva scrivere nel febbraio 1952: “E’ assurdo affermare che gli ebrei nell’URSS sono stati imbavagliati per il fatto che coloro che vivono a Mosca non trovino alcun giornale yiddish e non hanno alcun teatro yiddish.
Gli Ebrei, alla pari di tutti i cittadini sovietici, hanno larga possibilità di esprimersi e di servirsi di ogni tipo di giornale della repubblica dove risiedono. In quelle zone dove ci sono forti gruppi di ebrei che parlano yiddish, come Minsk o Birobidjian, ci sono teatri yiddish”.
Ricordiamo qui brevemente, in rapida sequenza, alcuni tra i principali esponenti della nomenclatura sovietica di eletta ascendenza alcuni già citati altri successivi alla destalinizzazione avviata da Nikita Kruscev nel 1956:
Yuri Andropov (1914-1984): dirigente, Capo del KGB sovietico, più tardi dittatore supremo dell’Unione Sovietica.
Jacob Sverdlov: primo Presidente dell’Unione Sovietica. Sverdlov ordinò il massacro della famiglia dello Zar – donne e bambini compresi – nella città di Ekaterinburg (chiamata così dopo la morte di Caterina la Grande). Nel 1924, tale città cambiò il nome, assumendo quello di Sverdlovsk in onore del feroce assassino.
Jacob Yurovsky: comandante della Polizia Segreta sovietica. Yurovsky comandò la squadra della morte che eseguì l’ordine di Sverdlov di sterminare la famiglia dello Zar, incluso il colpire con la baionetta a morte le sue figlie. La casa degli lpatyev, nella cui cantina avvenne il massacro, rimase intatta fino al 1977, quando il capo del Partito Comunista locale, Boris Eltsin, ordinò che fosse demolita, affinché non divenisse un sacrario del sentimento antiebraico.
Lazar Moiseyevich Kaganovic : principale massacratore di Stalin, ordinò lo sterminio di milioni di persone e la distruzione di tantissimi monumenti cristiani e chiese, inclusa la grande Cattedrale di Cristo Redentore. Stando in piedi nella breccia di questo luogo sacro, Kaganovich proclamò: “La Madre Russia è caduta. Noi le abbiamo strappato i suoi lembi..”.
Mikhail Kaganovich: deputato, Commissario dell’industria pesante, supervisore al lavoro degli schiavi, fratello di Lazar Moiseyevich.
Rosa Kaganovich: amante di Stalin; sorella di Lazar e Mikhail.
Paulina Zhemchuzina: membro del Comitato Centrale del Partito Comunista e moglie del Ministro degli Esteri sovietico Míchajlovic Molotov.
Olga Bronstein: ufficiale della CEKA, la Polizia Segreta sovietica, sorella di Trotsky e moglie di Kamenev.
Genrikh Yagoda: Capo della Polizia Segreta sovietica, straordinario assassino di massa.
Romain Rolland: poeta e vincitore del Premio Nobel, scrisse un inno di encomio a Yagoda.
Matvei Berman e Naftaly Frenkel: fondatori del sistema dei campi di morte detti Gulag.
Lev Inzhir: Commissario per il trasferimento nei campi di sterminio sovietici e responsabile dell’amministrazione degli stessi.
Boris Berman: ufficiale esecutivo della Polizia Segreta sovietica e fratello di Matvei. K. V Pauker: Capo delle operazioni, nonché membro importante della NKVD, la Polizia Segreta sovietica.
Firin, Rappoport, Kogan e Zhuk: Commissari nei campi della morte e per il lavoro degli schiavi; essi diressero l’uccisione in massa dei lavoratori durante la costruzione dei Canale Mar Bianco-Mar Baltico.
M. I. Gay: Comandante della Polizia Segreta sovietica.
Slutsky e Shpiegelglas: anch’essi Comandanti della Polizia Segreta sovietica.
Isaac Babel: importante ufficiale della Polizia Segreta sovietica.
Leiba Lazarevich Feldbin (Aleksandr Orlov): Comandante dell’Armata Rossa e ufficiale della Polizia Segreta. Feldbin ricoprì inoltre la carica di Capo della Sicurezza durante la Guerra Civile spagnola. Diresse il massacro dei sacerdoti cattolici e dei contadini spagnoli.
Yona Yakir: Generale dell’Armata Rossa e membro del Comitato Centrale del Partito Comunista.
Dimitri Shmidt: Generale dell’Armata Rossa.
Yakov (“Yankel”) Kreiser: Generale dell’Armata Rossa.
Miron Vovsi: Generale dell’Armata Rossa.
David Dragunsky: Generale dell’Armata Rossa ed “eroe”dell’Unione Sovietica.
Grigori Shtern: Generale dell’Armata Rossa.
Mikhail Chazkelevich: Generale dell’Armata Rossa.
Shimon Kirvoshein: Generale dell’Armata Rossa.
Arseni Raskin: Vicecomandante dell’Armata Rossa.
Haim Fomin: Comandante di Brest-Litovsk, dell’Armata Rossa.
Almeno cento Generali sovietici erano ebrei .
Molti Generali che non erano ebbero però spesso mogli ebree.
Fra questi il Maresciallo Clem Efremovic Voroshilov (1881-1969),
il Maresciallo Nicolaj Aleksandro Bulganin (1875-1975),
il Maresciallo Peresypkin e
il Generale Pavel Sudoplatov.
La moglie ebrea come «polizza di assicurazione» si estese a membri del Politburo come Andrei Andreyev e Leonid Brezhnev (1906- 1982).
Sergei Eisenstein: Direttore della propaganda comunista. Egli girò un film che dipinse i contadini cristiani (i cosiddetti «kulaki») come orrendi parassiti a caccia dì denaro. I «kulaki, furono quindi massacrati .
Julius Rosenwald: fondatore del «K.O.M.Z.E.T.», la Commissione per la sistemazione degli ebrei comunisti sulla terra rapinata ai cristiani assassinati in Ucraina.
Rosenwald era un finanziere ebreo-americano.
Uya Erenburg (1891-1967): Ministro della Propaganda sovietica disseminatore di materiale d’odio antitedesco fin dagli anni ’30. Erenburg istigò gli stupri dell’Armata Rossa e l’assassinio in massa dei civili tedeschi. Riferendosi alle donne tedesche, Erenburg esultò per l’avanzata delle truppe dell’Armata Rossa e disse: “Quelle streghe bionde sono nei guai”. Erenburg scrisse. fra l’altro, in un volantino indirizzato alle truppe sovietiche:”[…] i tedeschi non sono esseri umani[…]. Niente ci dà tanta gioia come i cadaveri tedeschi”. Goldberg afferma che Erenburg, “[..] provò sempre antipatia per i tedeschi[..]. Ora che c’era una guerra contro di loro mise in atto il suo vecchio pregiudizio”.
Un’altra pubblicazione distribuita all’Armata Rossa, quando i soldati si avvicinavano a Danzica, fu così descritta da uno storico: «Furono lasciati cadere dagli aerei sulle truppe milioni di volantini contenenti un discorso propagandistico composto da IIya Erenburge firmato da Stalin: “Soldati dell’Armata Rossa! Uccidete i tedeschi! Uccidete tutti i tedeschi! Uccidete! Uccidete! Uccidete!”
Il comando sovietico ammise che Erenburg perseguiva lo sterminio di tutto il popolo tedesco.
Erenburg vinse inoltre l’Ordine di Lenin e il Premio Stalin,e volle che i suoi scritti fossero conservati al Museo israeliano dell’Olocausto Yad Vashem.
Appaiono quindi inesistenti i presunti ‘contrasti’ tra sovietismo e giudaismo.
Infine sottolineiamo la particolare ‘predisposizione’ ontologico-razziale dell’anima slava alla ‘recezione’ dell’ideologia marxista.
Scrive in proposito Pino Rauti:
“In realtà il marxismo ha trovato nell’Europa orientale, ha trovato nella razza slava, il terreno fertile per quella che definiremmo la sua “trasmutazione politica”: arsa al fuoco di una realtà prevista, essa si è “condensata” ad oriente nell’aggressività di genti che anelavano da tempo ad un nuovo tentativo espansionista” (Pino Rauti – “Le idee che mossero il mondo” – Edizioni “Europa” – Roma 1980).
Una delle più spietate critiche al modello di Stato sovietico ed alla sua evoluzione storica, ed una testimonianza autorevolissima proveniente da un ex comunista che aveva preso contatti diretti con gli ambienti sovietici nei primi anni venti, immediatamente dopo la rivoluzione, inneggiando ai soviet, sarà quella tracciata sulle pagine della sua rivista, “La Verità”, da Nicola Bombacci.
Bombacci, già fondatore del Partito Comunista d’Italia nel congresso scissionista dell’ala massimalista del socialismo italiano svoltosi a Livorno nel gennaio 1921, era stato per tutti gli anni Venti il principale responsabile della politica commerciale del suo partito in direzione di Mosca. Certamente fu tra i comunisti italiani uno dei maggiori conoscitori della realtà sovietica. Aveva fatto parte della delegazione italiana che si era incontrata con i sovietici nel marzo 1920.
Nella sua veste di parlamentare del PSI, prima della scissione di Livorno, aveva inoltre presentato nel dicembre 1919 un progetto per la costituzione in Italia dei soviet dei lavoratori.
Per questi e altri motivi l’articolo che pubblicherà sulla sua rivista sarà una attenta disamina di venti anni di potere bolscevico nella Russia dove verrà messa in luce la sinergia esistente tra URSS e democrazie occidentali sottolineando come solo attraverso l’appoggio finanziario ed economico dell’alta banca plutocratica d’Occidente (particolarmente degli istituti di credito anglo-franco-statunitensi) lo stato sovietico poteva ancora reggersi in piedi:
“Quando i rivoluzionari disinteressati, gli idealisti, le nazioni proletarie si sono illuse di poter salutare nel colpo di stato di Lenin l’alba di un giorno più giusto ed umano per tutti i condannati alla dura fatica del lavoro, chi ha gridato al crucifige, chi ha innalzato il filo spinato, chi ha mandato in aiuto di Denikin, di Wrangel e di Kolciak , soldati, armi e rifornimenti? Le grandi nazioni democratiche: Francia e Inghilterra. Perché, ora che questa illusione è caduta, che le anime oneste di ogni fede e di ogni principio politico non vedono nel caos dell’URSS che un centro di rapina, di sangue e di disordine nazionale ed internazionale, queste stesse nazioni democratiche hanno capovolto la loro politica e si sono rese le vere responsabili morali e materiali del perpetuarsi del terrore bolscevico? La ragione è una sola, fredda, volgare, ma reale: l’interesse, il denaro, l’affare. (…) La Francia, l’Inghilterra, l’America capitalista, quando hanno vista spenta, per confessione dello stesso Lenin, nel 1923-24, la possibilità di un esperimento comunista, per il mancato estendersi della rivoluzione bolscevica nei paesi occidentali, hanno abbandonato al loro destino le armate dei generali zaristi aiutate perché dovevano soprattutto proteggere i loro pozzi di petrolio, hanno tolto il filo spinato, e si sono gettate a corpo morto nell’affare. E’ così che sono sorti i piani quinquennali, gli stabilimenti colossali, l’industrializzazione del suolo e del sottosuolo. (…) Noi proclamiamo con onesta coscienza che la Russia staliniana bolscevica è divenuta una colonia del capitalismo massonico-ebraico internazionale…” (Nicola Bombacci – articolo “Il ventennale della rivoluzione russa e il patto antibolscevico di Roma (Rilievi e contraddizioni)” da “La Verità”, Anno II, Nr. 5, Novembre 1937 cit. in Guglielmo Salotti – “Nicola Bombacci da Mosca a Salò” – Ediz. “Bonacci” – Roma, 1986).
Benito Mussolini, duce del Fascismo italiano, aveva messo già in guardia sulla deriva borghese e capitalistica del movimento bolscevico riconoscendo nell’esperimento sovietico nient’altro che la costituzione di un super-capitalismo di Stato in quanto, per Marx, lo Stato rappresentava “il comitato d’affari della borghesia” e pertanto era possibile constatare come “Per uno di quei paradossi che sono abbastanza frequenti nella storia, la rivoluzione russa si è risolta nell’impreveduta e imprevedibile apoteosi del capitalismo che è diventato un capitalismo di Stato. Lo Stato socialista è, infatti, uno Stato capitalista all’ennesima potenza” (Benito Mussolini – “Contro il bolscevismo” – citazione del 22 giugno 1928; da “Mussolini contro il mito di demos” – Ediz. “Sentinella d’Italia” – Monfalcone 1983).
Da qualunque parte lo si voglia guardare il rapporto di filiazione ideologica, politica, economica, sociale, filosofica, culturale del marxismo dalle ideologie illuministico-massoniche della Rivoluzione madre borghese degli Immortali Principii appare nitidissimo.
Nato dall’alveolo borghese, figlio degenere di cotanta immondizia ideologica fondata sugli immortali principii dell’89, il bolscevismo – con tutta la sua carica rivoluzionaria incendiaria che scatenerà i sentimenti dell’invidia sociale, dell’odio di classe e quelli della violenza politica pianificata e sistematica – non poteva che ritornare nell’alveolo borghese che lo aveva concepito e finire, come giustamente accadrà, sconfitto dal libero mercato, dai fast food e dal coca-colonialismo occidentale statunitense crollando miseramente dopo 74 anni di misfatti indicibili e terminando infine nel dimenticatoio della storia mondiale. Un fallimento, un grande inganno, una menzogna colossale, una aberrazione politica, un’utopia sociale questo e mille altre cose ancora fu il comunismo. Soprattutto esso rappresentò una sezione del piano di dominio planetario dell’Internazionale Ebraica.
Riportiamo per completezza anche la postilla apposta dallo stesso Preziosi alla fine dell’articolo in questione:
“Va bene per Marx ebreo che si chiamava Mordechai, ma e Lassalle come si chiamava? Il cognome autentico di Lassalle era Talmi; la famiglia dal villaggio di Loslau (Slesia), donde proveniva, si chiamava “Loslauer”, come i nostri ebrei si chiamano, ad esempio, Veneziano ecc.; in dialetto i Talmi si chiamavano Losl oppure Lasl. Il padre del rivoluzionario divenuto ricco negoziante di seta, per snobismo ebraico, cambiò il Lasl in Lassalle…Sono note le avventure galanti del Ferdinando Lassalle che morì in duello per una di tali avventure.”
Fonte: visto su Django del 15 aprile 2013-10-19
Link: http://dauriagiancarloevaldo.altervista.org/comunismo.html#pri
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