I
miei studi storici
.
PARADISO
SOVIETICO : IL
GULAG “
Nell’agosto
1946 Winston Churchill,
nell’università di Fulton, Missouri, pronunciò
il famoso discorso della “ cortina di ferro” e disse che l’Unione
Sovietica era un “ indovinello, contenuto in un mistero, all’interno di un
enigma”, del quale non era dato conoscere nulla. Sul mito della Russia
bolscevica due sole erano le
posizioni ufficiali: la condanna e l’esaltazione a priori.
Dopo
il crollo dell’Urss e la caduta del muro, gli
archivi moscoviti hanno spalancato le porte agli studiosi, una mole
impressionante di informazioni che si riversa
sull’opinione pubblica.
Ai
conati “conservatori”, che si oppongono al revisionismo conseguente alla
scoperta di nuovi documenti resta solo il potere di
rallentare nel tempo la nuova presa di coscienza.
Per
la stragrande maggioranza dei giovani studenti italiani la
parola “Gulag” appare un oggetto misterioso, grazie ad una mancata
operazione di informazione storica a livello scolastico.
Il
sistema dei campi di concentramento punitivi appartiene alla storia sovietica
sin dagli esordi, dai tempi di Lenin ( già nel ’20, presso le isole Solovki,
situate nel Mar Bianco, a circa 200 chilometri dal circolo polare artico, era
stato creato un “lager di lavori forzati per i prigionieri della guerra
civile”, dove vennero imprigionati tutti coloro che
si opponevano al nuovo regime, non solo zaristi ma anche anarchici, socialisti
rivoluzionari, menscevichi) ma il maggiore sviluppo avviene negli anni del
potere di Stalin, durante il suo lungo “regno” che va dagli anni 30 fino
alla metà degli anni 50. La percezione del Gulag in Occidente ha subito diversi
passaggi e per quanto possa sembrare assurdo
l’immagine della Russia stalinista godeva di un diffuso “rispetto
democratico “ in tutto il mondo.
Gli
americani, nel 1933, avevano riconosciuto l’Urss e
gli intellettuali concedevano credito e credibilità
al regime dello “ splendido georgiano” e parecchi di loro, compresa la
classe operaia, erano disposti a lasciare l’odiato “ inferno capitalista”
per trasferirsi nel “paradiso dei lavoratori”. Fred
Beal, operaio di estrazione
comunista lasciò l’America e si rifugiò in Russia , dopo una condanna
inflittagli in seguito ad uno sciopero. Però durò poco il sogno
dell’americano e disilluso dalla realtà sovietica e constatate
le condizioni inumane e senza diritti degli operai chiese ed ottenne di tornare
negli Usa, dove scontò la pena e dedicò la sua vita a smascherare il mito
sovietico; però i comunisti, simpatizzanti sovietici e anche democratici di
vecchia scuola non volevano ascoltare nulla sulla atroce realtà del “Paradiso
operaio”. Preferivano ascoltare la propaganda che si adattava meglio ai loro
ideali e alle loro illusioni.
Raymond
Aron nel suo libro: “L’oppio degli intellettuali” denunciò che la
responsabilità maggiore di questo clamoroso fenomeno di amnesia
etica e storica era nell’animo degli intellettuali.
Maksim
Gorkij, grande figura
eminente in Russia, alla fine degli anni ’20 compì un viaggio presso il lager
delle isole Solovki, difendendone la sua “utilità
sociale e la sua capacità rieducativa”. Il suo
viaggio fu abilmente pubblicizzato in Russia e all’estero e i lager
diventavano “luoghi indispensabili”, dove “aiuole fiorite crescevano
intorno alle caserme”
Persino
la Croce Rossa diede credito alle parole dello scrittore e le sue immagini
, sorridente tra gli agenti della famigerata Ghepeù
fecero il giro del mondo.
Il
Gulag è un fattore endemico e perfettamente conseguente al regime instaurato.
Una prima riflessione di un certo spessore ci fu solo
dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando alcune prestigiose
testimonianze di vittime del Gulag cominciarono ad affiorare. In Francia attirò
l’attenzione del mondo il cosiddetto “ affare Kravcenko”,
che prendeva il nome da quello di un funzionario sovietico che aveva disertato e
si era consegnato agli americani.
“Ho
scelto la libertà”, il libro che Kravcenko
scrisse e che venne tradotto in più di venti lingue,
vendendo milioni di copie, era una indubbia testimonianza dall’interno del
regime sovietico. Inaugurando una strategia che avrebbero
seguito in seguito: quella di accusare il funzionario disertore di “aver
scritto sotto dettatura della CIA”, i comunisti occidentali cercarono di
isolare la testimonianza del dissidente. Nel processo per diffamazione
che ne conseguì,l’attenzione degli inquirenti si
concentrò sulla realtà dei campi.
“Istituzioni
rieducative dove i diritti umani venivano
rispettati”, secondo la propaganda comunista. Nemmeno lo sconvolgente racconto
di Margarete Bauber-Neumann
(passata attraverso il Gulag e il Lager nazista, dopo che i russi la
consegnarono, in quanto ebrea, agli alleati
hitleriani) potè qualcosa contro la cieca fedeltà
ideologica dei comunisti occidentali.
Voci
come Julius Margolin
(condannato al Gulag con atto amministrativo, senza essere ascoltato e senza
subire processo), Alexandre Weissberg
(scienziato austriaco emigrato, volontariamente, in Urss
arrestato con accusa di spionaggio, di complotto per uccidere Stalin e di
sovversione), Jerzy Gliksman
( membro del partito socialista ebreo polacco, deportato quando, in fuga dai
nazisti finì nelle braccia della polizia segreta sovietica) lanciarono uno
squarcio di luce sulla realtà entro i confini dell’Urss.
David Rousset nel denunciare il sistema dei Gulag
sovietici spiegò che: “ L’esistenza dei campi non è grave perché ci si
soffre e muore; è grave perché vi si vive.
Un
paese dove esistono campi di concentramento è marcio fino al midollo: sono
disumani i suoi detenuti, lo sono i guardiani e lo è soprattutto il regime. Il
mondo concentrazionario attiva un contagio
inevitabile e questa è la più grande sciagura che si possa
conoscere”.
Il
“Libro bianco sui campi di concentramento sovietici “ della Commission
internationale contre le
régime concentrationnaire, pubblicato lo
steso anno, si rivelò un altro documento fondamentale apparso sulla scena
culturale francese.
Nemmeno
la denuncia ad opera di Kruschev
del terrore staliniano, nel XX° congresso del PCUS del 1956, spinse
l’Occidente a concentrare la propria attenzione sul fenomeno del Gulag. Quel
particolare momento storico, anzi, fu visto unicamente come denuncia
dello stalinismo come “ deviazione “da un supposto comunismo originario e
“democratico” e come suggerimento alla possibilità di una “riforma” del
comunismo. Il sogno di cartapesta che lo stesso Gorbaciov,
fino al Golpe del 1991, si illuse di poter
realizzare. Più tardi, negli anni 70, venne la volta de “La giornata di
Ivan Denisovic” (premio Nobel per la
letteratura) e di “Arcipelago Gulag” di Alexander
Solzenicyn e
dei “racconti della Kolyma” di Varlam
Salomov. Guardando verso la
Francia, antica maestra di libertà, il mondo poteva quindi prendere
coscienza degli orrori del sistema comunista già da quarant’anni.
Difficile
condividere l’assordante silenzio in Italia di intellettuali,
libri scolastici, mass media, dove le riflessioni francesi sono approdate solo
dopo il fatidico 1989. Ancor più difficile condividere l’atteggiamento
assunto da parte di alcuni ambienti intellettuali,
che cercano di chiudere il capitolo, mai definitivamente aperto, del Gulag, con
la giustificazione dell’esaurimento della “Guerra Fredda”.
Solzenicyn
descrive in “Arcipelago Gulag” il momento dell’arresto
di un individuo prima della deportazione: “ E’ fatta, siete
arrestato. E voi non troverete altro da rispondere
che un belato da agnello: Io? Perché?. Ecco cosa è
l’arresto, un lampo accecante, una folgorazione che respinge istantaneamente
il presente nel passato e fa dell’impossibile un presente di pieno diritto.
Ed è tutto. Nelle prime ore e anche nei primi giorni
non potete rendervi conto di null’altro. Vi balugina ancora, nella vostra
disperazione , una luna da circo, un giocattolo. E’
un errore, se ne renderanno conto ! Tutto il resto,
tutto quanto è ora entrato a far parte del concetto tradizionale e anche
letterario dell’arresto, non è più la memoria vostra che l’immagazzina e
l’organizza, ma quella della vostra famiglia e dei vostri coinquilini. E’
una brusca scampanellata nel cuore della notte o un colpo brutale alla porta.
E’ la gagliarda irruzione di stivali sporchi, d’insonni agenti. E’,
nascosto dietro le loro spalle, il testimone, impaurito e mortificato, che essi
hanno reclutato d’autorità. L’arresto tradizionale sono, ancora, le mani
tremolanti che preparano la roba di chi viene portato
via: un cambio di biancheria, qualche provvista, un pezzo di sapone, nessuno sa
che cosa dare, che cosa si può portare con sé, come sarebbe meglio vestirsi;
ma gli agenti spronano, vi interrompono bruscamente dicendo: non ha bisogno di
nulla. Là gli daranno da mangiare. Fa caldo”.
La
grande forza di questo libro è proprio quella di
focalizzare gli infiniti effetti dell’incubo del Gulag sulla vita di un uomo.
Quell’arresto e tutto ciò che ne seguirà è, quindi, da pensare moltiplicato
per decine di milioni di volte. Subito dopo l’Ottobre bolscevico la dirigenza
del partito unico cominciò a pianificare un nuovo sistema carcerario.
Già
nel 1918 nasceva una Sezione punitiva centrale ( CKO)all’interno del
Commissariato del popolo alla giustizia, che avrebbe dovuto coordinare tutte le
carceri dell’Urss. Questa istituzione fu, in
definitiva, la “madre del Gulag”. L’anno seguente, all’interno dell’
NKVD (Commissariato del popolo agli affari Interni) fu creata la Sezione
lavori forzati. Già due anni dopo la cosiddetta Rivoluzione, quindi, il nuovo
regime dava rigore istituzionale al concetto dello sfruttamento dell’uomo
sull’uomo, in aperto contrasto con le teorie marxiste cui sosteneva
d’appellarsi. All’inizio del 1921 nei lager erano rinchiusi già intorno ai
156.000 detenuti. Entro il 1927 i reclusi arrivarono alla cifra di 200.000
persone. Il sistema di reclusione cambiò radicalmente nel 1929. Fuori di
ogni retorica, si può affermare che, con il varo del piano quinquennale,
il cui scopo era spingere la Russia in un processo di industrializzazione
forzata, la “patria del socialismo”, con un clamoroso salto indietro nel
tempo, torna alla pratica dello schiavismo. Non tanto clamoroso, in verità,
quel salto all’indietro, dal momento che il servaggio della gleba in Russia fu
abolito nel 1860.
Il
regime bolscevico decideva quindi di creare campi
di “rieducazione attraverso il lavoro” in regioni remote e lontane
dai grossi centri urbani. La Siberia, già utilizzata
in epoca zarista, e la sterminata regione del Nord vennero usate come luogo per
ospitare i campi. Ogni campo sarebbe distato dall’altro
centinaia di chilometri, in uno spazio sterminato e ghiacciato. Assolutamente
impossibile, per chiunque fosse riuscito a fuggire dal complesso carcerario,
attraversare quel deserto bianco a piedi e men che
meno sarebbe stato possibile varcare il confine. Nel 1930 i detenuti nei
lager sovietici salgono, improvvisamente, da 23.000 a 160.000, e nella primavera
dello stesso anno viene creata una direzione unica di
queste strutture denominata Ulag sotto la guida
dell’OGPU.
Un
ulteriore riforma amministrativa nell’anno seguente portò
alla creazione del Gulag ( Glavnoe upravlenje
lagerei, Direzione centrale dei lager). E’ di quel
periodo la decisione di sfruttare i detenuti per l’imponente costruzione del
canale Mar Bianco-Mar Baltico, questo progetto sarà la chiave di volta sulla
quale fiorirà il Gulag, che potrà fornire, gratuitamente, operai e ingegneri
(tutti quelli arrestati per “sabotaggio” nelle cicliche “purghe
anti-complotto) al fine di realizzare costruzioni imponenti.
Ovviamente,
ciò che veniva costruito a prezzo del sudore ( e
della morte, solo per questo canale 15.000 persone perirono in condizioni
disumane) di migliaia di detenuti veniva presentato all’estero come una
gloriosa edificazione del socialismo sovietico.
Contemporaneamente,
in Occidente, i sindacati egemonizzati dai comunisti combattevano per i diritti
dei lavoratori e glorificavano le conquiste della patria del socialismo.
Nel
1932 fu la volta della costruzione del canale Mosca-Volga, intorno al quale
fiorirono diversi Gulag (l’ITL Nord-Est), che ospitò in 25 anni un milione di
detenuti, destinati all’estrazione dell’oro e dello stagno che mantenevano
l’intero paese.
L’anno
1934 vedeva, in tutta l’Urss, 510.000 persone
“ospiti” del Gulag e solo l’anno seguente, nel 1935, i dannati
dell’inferno bianco salivano a 730.000.
La
crescita esponenziale non si sarebbe fermata perché
all’orizzonte si affacciava il periodo più buio della storia sovietica: il
Grande Terrore. Stalin lanciava il colpo finale all’interno del partito e
gettava le basi di quel “ culto della personalità” che lo porterà
ad essere giudice della vita di ogni singolo cittadino sovietico.
Robert
Conquest, nel suo illuminante “Il grande
terrore”, ricorda come ogni sovietico, in quegli anni, non si sentisse immune
dalla possibilità di finire nel Gulag. Il cittadino sovietico e gli stessi
membri del partito, che finivano sotto le poche umanitarie attenzioni della
polizia segreta imputavano allo sgherro di Stalin, il
capo dell’ NKVD Ezov, tutta la responsabilità del
terrore. Nella memoria russa, infatti, il grande
terrore passerà come “il periodo di Ezov”, ma
lo stesso Conquest ricorda come, in quei terribili
anni, la vita delle persone veniva decisa da un semplice segno di matita rossa
da parte di Stalin. Ezov si limitava ad eseguire gli
ordini. Il grande terrore portò ad un eccezionale
sviluppo dei Gulag che fino al 1934 erano 14, poi divennero 31 e per la fine del
1938, i detenuti erano saliti al terrificante numero di due milioni di persone.
All’inizio
del 1940 i Gulag erano già 57, l’anno successivo 82, per una popolazione
incarcerata di 2.350.000 persone. Un certo rallentamento si ebbe negli anni
della Seconda Guerra Mondiale; la popolazione dei Gulag scese a 1.750.000
persone e, nel 1944 toccò il numero di 1.200.000 persone. Con la fine del
conflitto, però, il Gulag riprese a pieno regime ,
il nemico esterno era stato sconfitto e, per mantenere salde le redini del
potere, Stalin necessitava di un nuovo “giro di vite”. L’aspetto più
agghiacciante della storia del Gulag è sicuramente questo: che il numero dei
detenuti che avrebbero dovuto popolare il Gulag veniva
deciso ad inizio anno, secondo direttive dello stesso Stalin. Esisteva una sorta
di pianificazione degli arresti, che andava rispettata numericamente come si
faceva per le direttive economiche di un Piano quinquennale. Stalin era
pienamente cosciente che tutto il castello delle accuse ai condannati era
fondato sulla menzogna; il terrore gli serviva solamente per mantenere saldo il
potere. In questo, lo “splendido georgiano” si attenne alle originali
direttive del “grande padre” Lenin, che negli
anni della guerra civile auspicava l’uso del terrore nei villaggi e tra i
contadini come arma rivoluzionaria necessaria alla vittoria.
La
fine della guerra, che comportava lo “scomodo” impegno a restituire i
prigionieri militari nel frattempo impiegati come forza lavoro, spinse il regime
stalinista a ributtarsi nel tetro “arruolamento” nelle file della
popolazione sovietica. Gli schiavi servivano e da qualche parte occorreva
prenderli.
Nel
1948 le direzioni dei Gulag erano già una novantina e la popolazione detenuta
era tornata a toccare il record di 2.000.000 di persone. Nel maggio 1950 i
“dannati” erano arrivati, incredibilmente, al numero di 2.800.000 persone.
Con la morte di Stalin il sistema del Gulag venne
riformato, ma di certo non cancellato. Nel marzo 1953
a pochi giorni dalla morte del satrapo georgiano, venne
interrotta la costruzione di nuovi Gulag e un decreto di amnistia del Presidium
portò alla scarcerazione di un milione di detenuti e alla riduzione dei campi
dal numero esorbitante di 175 al numero di 81. Anche
le pene furono mitigate. A metà degli anni cinquanta la popolazione incarcerata
nei Gulag era “solo” di un milione.
Il
25 ottobre 1956 la risoluzione del CC del PCUS e del Consiglio dei Ministri
dell’Urss decise che era “inopportuna l’ulteriore
esistenza degli ITL ( altra forma burocratica per definire il Gulag).
Nel
mese di ottobre il Gulag cambiò nome in GUITK (
Direzione centrale delle colonie di rieducazione attraverso il lavoro).
L’inferno
cambiava nome, ma le fiamme rimanevano le stesse e non bruciavano certo di meno.
Tratto
da “Il Gulag “ di Ferruccio Gattuso
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