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UN TRIBUNALE CHE NON GARANTISCE UN GIUSTO PROCESSO
Oggetto e motivi dell' istanza di trasferimento del processo ad altra sede , diversa dal tribunale di Pordenone.
I
|
motivi dedotti a suffragio della presente
istanza sono tratti dalla vicenda giudiziaria in oggetto e dalla illegittima e
perdurante limitazione alla libertà personale patita dal ricorrente.
Per
esporre le ragioni per le quali si chiede la celebrazione di questo processo in
altra sede, ritenuta idonea a soddisfare le garanzie di giusto processo e
terzietà del giudice, si prenderanno le mosse dall’ ultima ordinanza di diniego
alla revoca della custodia cautelare domiciliare emessa da questo tribunale –
in ossequio ad una deprecabile giurisprudenza casereccia – e impugnata avanti al tribunale distrettuale della
libertà .
Il
tribunale della Libertà, accogliendo il ricorso del sottoscritto, ha annullato
la impugnata decisione, concordando sulle preoccupate argomentazioni del
difensore in materia di legalità a rischio
.
I
due ricorrenti – il sottoscritto e altro coimputato - avevano impugnato una
ordinanza emessa dal tribunale di Pordenone che, nonostante una interminabile
detenzione domiciliare degli stessi, senza prove d’ accusa, respingeva una
richiesta, dopo oltre un anno , di revoca degli arresti domiciliari. Il Giudice
del tribunale di Pordenone motivava la sua decisione sostenendo la aberrante ed
allucinata tesi della inutilità ed
irrilevanza della sofferta misura cautelare detentiva, ai fini di una
revoca della stessa.
L’
avvocato Longo impugnava questa ordinanza avanti al tribunale della Libertà che
accoglieva il ricorso e rimetteva in libertà i due ricorrenti. La motivazione è
a tutt’ oggi riservata, ma merita una ampia segnalazione perché ha caducato una
ambigua giurisprudenza invocata pretestuosamente da molti tribunali poco
rispettosi dei diritti di libertà , fra i quali primeggia ( purtroppo ) il tribunale di Pordenone.
Per
il tribunale della Libertà di Trieste non è quindi vero – come millantava il tribunale di
Pordenone con un genere di ordinanze- fotocopia
invalse in questa sede giudiziaria - che la difesa non abbia evidenziato motivi
obiettivi fondati la richiesta e successivi alla prima determinazione della
misura in essere : essi sono invece il decorso del tempo, la buona condotta
tenuta dagli imputati.
Tutte
queste, oltre ad una doverosa ri-valutazione – dopo oltre un anno di
domiciliari - della scarsa incisività del quadro accusatorio già svolta dal
tribunale distrettuale della libertà con la ordinanza con cui aveva modificato
la misura della custodia detentiva con quella degli arresti domiciliari, sono
circostanze che hanno un certo pregio, nonostante la discutibile giurisprudenza
contraria cui si richiama il Giudice , in modo per inciso acritico e non
motivato.
Il
punto di doglianza fondante si appunta , proprio, sulla genericità del richiamo
a questa discutibile giurisprudenza, che qui si intende per varie ragioni
confutare.
La
tesi della inutilità della sofferta
misura detentiva ai fini della revisione della presunta “ pericolosità “
alla radice di siffatte misure, è alquanto discutibile e così come concepita ed
applicata cozza contro i fondanti principi del giusto processo.
Una
acritica recezione di detta giurisprudenza – applicata in genere fuori di
misura anche dalla sede giudiziaria di
Pordenone – è, a ben vedere, la causa principale di quella aberrante situazione
che ha additato il nostro Paese , a livello internazionale e comunitario, come
nazione incivile e che applica in modo illegittimo ed abnorme l’ istituto della
custodia cautelare e sul cui abuso più e più volte lo stesso presidente della
repubblica, come capo della magistratura e garante della legalità , si è più
volte soffermato.
Le
distorsioni del sistema giudiziario e le involuzione illiberali non nascono dal
nulla , ma derivano da errate ed aberranti applicazioni di principi giuridici e
nel caso di specie è evidente fuor di misura che la errata giurisprudenza
richiamata nella impugnata ordinanza è la causa principale del notorio abuso
della custodia cautelare in Italia.
Le
distorsioni del sistema giudiziario e le involuzione illiberali non nascono dal
nulla , ma derivano da errate ed aberranti applicazioni di principi giuridici e
nel caso di specie è evidente fuor di misura che la errata giurisprudenza
richiamata nella impugnata ordinanza è la causa principale del notorio abuso
della custodia cautelare in Italia.
Violazione del principio di legalità e di gradualità.
Prima
di tutto, un tanto vanifica il concetto normativo del minimo e del massimo di applicazione di una misura cautelare.
Di
fatto, tale interpretazione svuota di senso tale previsione normativa, perché
di fatto appiattisce sul massimo previsto ogni forma di misura cautelare.
Così
facendo, il giudice finisce con l’ emettere un giudizio “ prognostico “ ( e
come tale opinabile e variabile ) una sola volta, all’ inizio della sanzione,
rendendo vano il decorso del tempo e il suo rapportarsi ad una graduazione
della misura, prevista dall’ ordinamento stesso.
E’
evidente, quindi, che tale acefala giurisprudenza va contro il principio
equilibratore della gradualità, cardine
fondante di ogni misura limitatrice della libertà personale.
Tale
principio si esplica non solo ab origine nella scelta graduale della
misura coercitiva, ma anche durante la fase della esecuzione della stessa, in virtù proprio della previsione
normativa di un minimo e di un massimo della misura, entro i cui poli deve
essere nel concreto graduata la misura.
E’
fatto obbligo al giudice ri – valutare la sanzione inizialmente irrogata,
perché il fattore tempo – con la scansione dei fatti che porta ineluttabilmente
con sé, è previsto come rilevante dalla norma proprio per la sua intrinseca
previsione di fasce oscillanti di durata.
Violazione della presunzione di innocenza e anticipazione illegale
di condanna.
Il
criterio – scriteriato , nel senso
etimologico del termine, perché proprio non ancorato a dei presupposti logico
giuridici, come richiesto viceversa dal ricorso del sottoscritto – qui
impugnato, viola anche contro il principio di legalità, in quanto, di fatto,
appiattisce la misura cautelare personale, delicata ed opinabile, in quanto
agganciata a criteri meramente prognostici
al concetto di pena definitiva,
giudicata, immodificabile, irreversibile.
Il
che è raccapricciante : di fatto, un cittadino, ancora non giudicato e non
colpevole anche formalmente , viene sottoposto ad una misura cautelare ( che
concettualmente è appunto il contrario logico di una pena detentiva, ma è una
valutazione ipotetica in cui la prudenza
a favore della sicurezza sociale non può essere disgiunta dalla prudenza nella
coercizione della libertà di un cittadino che non è ancora stato giudicato ) che, una volta applicata, rimane costante
fino al suo spirare massimo, il che parifica una “ ordinanza “ in materia di
libertà personale – opinabile e rivedibile – al concetto di sentenza passata
in giudicato. Liberando così il
giudice dal dovere morale e giuridico di valutare se, dopo un anno di tempo,
come nel caso di specie, siano maturati fatti – come il decorso non
problematico della esecuzione della misura – atti ad affievolire la prognosi nefasta cogitata all’ inizio.
Una giurisprudenza che istiga a delinquere = violazione al principio
di proporzionalità.
Raccapricciante
è anche il fatto che non si considerino i fatti addotti dalla difesa come
meritevoli di affievolimento/revoca della misura rilevanti e degni di
considerazione : Come si può pensare di
valutare un affievolimento di “ pericolosità “ , quando il soggetto in verifica
trovasi in misura cautelare , se non attraverso una valutazione della sua
condotta ?
Ma
allora, se una persona si comporta bene, non viola gli obblighi, patisce una
custodia domiciliare interminabile per un fatto di accusa tutto sommato ( come
dice il tribunale della Libertà ) non grave ai fini del calcolo di una
pericolosità trattandosi di fatto non
reiterato , ma ad evento unico, di scarsa fondatezza probatoria, con un
imputato che non ha un quadro penale antecedente , dovrà stare agli arresti fino alla scadenza
del massimo edittale, come se la sua condotta fosse quella di un colpevole che
ha violato i doveri imposti dalla custodia ?
Perché
questo è l’ esito aberrante di tale tesi : se una persona rispetta gli obblighi
della custodia, magari anche lavorando correttamente senza violarli, dovrà
scontare fino la massimo previsto la custodia, e se invece, viola gli obblighi
della stessa…. Sarà trattato alla stessa
guisa, poichè più del massimo non potrà scontare..
Si
vede quindi che questa tesi è aberrante, perché viola il principio di legalità
e di proporzionalità, parificando tutte le condotte a quelle criminali .
Questa
tesi è stata ampiamente criticata e respinta dal medesimo tribunale della
Libertà che ha annullato la misura in atto disposta dal tribunale di Pordenone.
Purtroppo
questo genere di giurisprudenza aberrante ha trovato da molti anni sistematica
ed acritica applicazione presso il tribunale di Pordenone, in quanto si ha ragione di ritenere essere stata
letteralmente imposta a tutti i
giudici penali della relativa sezione
penale. Non è possibile, infatti, che tutti giudici di questo tribunale, di
fronte a svariati e diversi casi al loro esame, emettano sempre questo genere
di ordinanze monolitiche, esponendo sempre i soliti discutibilissimi ed
illegittimi concetti, senza varianti alcune, neanche sintattiche o concettuali.
Come
si è visto, è una giurisprudenza illegale,
che rende del tutto inidoneo il tribunale di Pordenone, alla sua
funzione giudicante, a giudicare di imputati che ha già gettato ai ceppi in via
indeterminata ed illegittima in forma cautelare : in realtà, in questo modo il
tribunale che opera così finisce sempre con il pronunciarsi, anticipatamente
ad ogni giudizio, con un giudizio preventivo di condanna nei confronti degli
imputati, chiunque siano, e ciò con buona pace del principio della presunzione
di innocenza, di terzietà del giudice e di giusto processo.
E
questo corollario che discende dalla applicazione scriteriata a tempo
indeterminato delle sanzioni cautelari di ambito detentivo è evidente ed
intuibile : giammai un siffatto tribunale potrà poi esprimersi imparzialmente
nei confronti di questi imputati illegalmente privati della libertà a tempo
indeterminato, per una ovvia ragione : se avesse poi ad assolverli, chi potrà
esimere siffatti giudici dal risarcire poi i danni per ingiusta detenzione ?
E’
evidente quindi che il primo strappo alla legalità attraverso un abuso
indiscriminato della carcerazione cautelare, porta con sé altri abusi, fra cui
quello del capovolgimento del principio di innocenza che viene trasformato in
un principio di condanna fatale dell’ imputato , onde allontanare dall’ ordine
giudiziario il rischio che, mediante assoluzioni in primo grado, possa aprirsi
il pericolo di dover risarcire detti
imputati per la ingiusta detenzione.
Concettualmente
e nella prassi di questo tribunale, la misura cautelare, lungi da essere
considerata nei limiti di legalità imposti dalla legge e non
rispettati, diviene così null’ altro che una sorta di anticipazione della esecuzione di una
condanna penale, che, lungi da ogni criterio di legalità, viene già scritta
in anticipo.
La
logica (? ) di questo genere di applicazione illegittima dell’ istituto è
quella di bypassare ogni norma processuale e sostanziale [1]
a favore dell’ imputato e di rendere esecutiva subito una condanna penale già scritta e senza attendere i tre
gradi di giudizio previsti dalla legge.
Insomma
: come gli sceriffi del far – West e con buona pace dello stato di legalità
repubblicana.
Questo
genere di prassi illegittima funziona solo come deterrente o per assumersi
responsabilità penali che l’ imputato non ha – come nel caso di specie –
facendogli credere con la coazione di una carcere “ preventivo” lungo ed
illegale che così almeno risparmia un
po’ di pena finale ineludibile, oppure per coartarlo a chiamate di correità infondate e coercitive,
come acutamente sottolineato dallo stesso tribunale della libertà di Trieste
nella citata ordinanza.
In
ogni caso, è evidente che la legalità appare sepolta, come pure ogni forma e sostanza di giusto processo.
Si
aggiunga anche che, se pure il giudice del dibattimento è coinvolto in queste
argomentazioni non conformi a legalità con ordinanze o decisioni che le
confermino, il sospetto di incompatibilità ambientale e di mancanza di presupposti per un giusto processo appare più che legittimo e fondato.
Del
resto, se ad assolvere imputati vittime
di questa prassi giudiziaria illegittima fosse un giudice territoriale di primo grado,
si verrebbe ad incrinare la stessa prassi monolitica dell’ abuso della
carcerazione preventiva, invalsa monoliticamente da anni e anni anche presso il
tribunale penale di Pordenone.
L’
ipotesi, quindi, di una sentenza di primo grado che non sia condizionata in
termini accusatori e colpevolisti, appare quindi altamente improbabile e
chimerico, alla luce delle argomentazioni dianzi svolte.
P
|
er
questa ragione, il sottoscritto ricorrente, che è stato vittima di questa mala
prassi giudiziaria, ritiene a buon diritto che, in ogni caso, avanti a
qualsivoglia giudice di questa piccola realtà giudiziaria, verrebbe al
sottoscritto precluso quel giusto processo con giudice terzo che è imposto dalla Costituzione.
Non
v’ alternativa, per il rispetto della legalità, che lo spostamento di questo processo ad altra sede giudiziaria,
ove non possa riproporsi quel corto circuito di consuetudini giudiziarie non legittime
che nuocciono alla serenità del giudizio.
Vi
è anche un altro motivo che rende
fondata questa istanza ed è stato sviscerato perfettamente dalle premesse del
tribunale della Libertà nella citata ordinanza di annullamento.
Il
punto riguarda la circostanza della anomala durata – oltre un anno – della
misura cautelare domiciliare e una stranissima
scansione di eventi giudiziari che , di
fatto, hanno bypassato la scadenza dei sei mesi di durata, trasformandola di
fatto in eterna .
Ma
leggiamo come illustra questa strana
( casuale o causale ? ) anomalia il tribunale della Libertà :
In altre parole, alle soglie della scadenza della misura, anziché
disporre l’ udienza preliminare dovuta ex lege, la procura ha disposto citazione
diretta in tribunale, evitando così il venir meno della misura.
All’ udienza poi, nessuno
( né gli avvocati, né il pubblico ministero, né il medesimo Giudice ) si è
accorto che il decreto di citazione era nullo perché aveva bypassato l’ udienza
preliminare.
Si è svolto invece un certo pressing
per spingere gli imputati ad accedere a riti alternativi, con conseguente venir
meno della esperibilità di detta eccezione di nullità e con la conseguenziale
sanatoria della stessa.
E con il reiterarsi, ad infinito, di altri sei mesi di
carcerazione domiciliare….
.
E’ chiaro che anche questa anomalia,
di cui è difficile trovare spiegazione, motiva ampiamente la richiesta di
trasferimento del processo ad altra sede non incompatibile ed in grado di
garantire un giusto processo.
Tutto
ciò esposto, considerato ed eccepito si formula
richiesta
di rimessione
ad altro distretto giudiziario ex art. 11 cpp del presente
procedimento per le ragioni qui ampiamente illustrate. Con declaratoria di nullità di tutti gli atti
processuali emessi dal tribunale di Pordenone e susseguenti alla citazione
diretta emessa illegittimamente dal pubblico ministero, e relativa remissione
in termini del ricorrente ad ogni attività difensiva preclusasi nell’ ambito
della pregressa fase.
Si chiede la immediata trasmissione
della presente istanza alla Suprema Corte di Cassazione, come previsto dalla
legge , e sotto pena di nullità della emananda sentenza.
Il sottoscritto ……………………………………………..nomina l’ avvocato
Edoardo Longo anche difensore presso il sub procedimento di remissione avanti
alla Corte di Cassazione attivato con la presente istanza , conferendo al
difensore ogni più ampia potestà difensiva ed incaricandolo anche dell’ inoltro
formale del presente atto di remissione.
Pordenone,
05/09/2014
In
fede, sottoscrive il sig…………………………………
[ Si ritiene di un qualche interesse giuridico
la pubblicazione di questo ricorso alla Suprema Corte di Cassazione per i temi
giuridici che in esso sono dibattuti, di estrema attualità. Per intuibili
ragioni di privacy sono omessi i nomi dei ricorrenti ed altri dati ].
BIBLIOGRAFIA SULL’
ARGOMENTO :
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