mercoledì 15 ottobre 2014

UN TRIBUNALE CHE NON GARANTISCE UN GIUSTO PROCESSO

Blog politicamente scorretto contro la dittatura del pensiero unico. E. LONGO

UN TRIBUNALE CHE NON GARANTISCE UN GIUSTO PROCESSO


 Oggetto e motivi dell' istanza di trasferimento del processo ad altra sede , diversa dal tribunale di Pordenone. 
I
 motivi dedotti a suffragio della presente istanza sono tratti dalla vicenda giudiziaria in oggetto e dalla illegittima e perdurante limitazione alla libertà personale patita dal ricorrente.
Per esporre le ragioni per le quali si chiede la celebrazione di questo processo in altra sede, ritenuta idonea a soddisfare le garanzie di giusto processo e terzietà del giudice, si prenderanno le mosse dall’ ultima ordinanza di diniego alla revoca della custodia cautelare domiciliare emessa da questo tribunale – in ossequio ad una deprecabile giurisprudenza casereccia – e impugnata avanti al tribunale distrettuale della libertà .
Il tribunale della Libertà, accogliendo il ricorso del sottoscritto, ha annullato la impugnata decisione, concordando sulle preoccupate argomentazioni del difensore in materia di legalità a rischio .
I due ricorrenti – il sottoscritto e altro coimputato - avevano impugnato una ordinanza emessa dal tribunale di Pordenone che, nonostante una interminabile detenzione domiciliare degli stessi, senza prove d’ accusa, respingeva una richiesta, dopo oltre un anno , di revoca degli arresti domiciliari. Il Giudice del tribunale di Pordenone motivava la sua decisione sostenendo la aberrante ed allucinata tesi della inutilità ed irrilevanza della sofferta misura cautelare detentiva, ai fini di una revoca della stessa.

L’ avvocato Longo impugnava questa ordinanza avanti al tribunale della Libertà che accoglieva il ricorso e rimetteva in libertà i due ricorrenti. La motivazione è a tutt’ oggi riservata, ma merita una ampia segnalazione perché ha caducato una ambigua giurisprudenza invocata pretestuosamente da molti tribunali poco rispettosi dei diritti di libertà , fra i quali primeggia ( purtroppo ) il tribunale di Pordenone.

Per il tribunale della Libertà di Trieste non è quindi  vero – come millantava il tribunale di Pordenone con un genere di ordinanze- fotocopia invalse in questa sede giudiziaria - che la difesa non abbia evidenziato motivi obiettivi fondati la richiesta e successivi alla prima determinazione della misura in essere : essi sono invece il decorso del tempo, la buona condotta tenuta dagli  imputati.

Tutte queste, oltre ad una doverosa ri-valutazione – dopo oltre un anno di domiciliari - della scarsa incisività del quadro accusatorio già svolta dal tribunale distrettuale della libertà con la ordinanza con cui aveva modificato la misura della custodia detentiva con quella degli arresti domiciliari, sono circostanze che hanno un certo pregio, nonostante la discutibile giurisprudenza contraria cui si richiama il Giudice , in modo per inciso acritico e non motivato.
Una giurisprudenza contraria ai principi di legalità.

Il punto di doglianza fondante si appunta , proprio, sulla genericità del richiamo a questa discutibile giurisprudenza, che qui si intende per varie ragioni confutare.
La tesi della inutilità della sofferta misura detentiva ai fini della revisione della presunta “ pericolosità “ alla radice di siffatte misure, è alquanto discutibile e così come concepita ed applicata cozza contro i fondanti principi del giusto processo.

Una acritica recezione di detta giurisprudenza – applicata in genere fuori di misura anche  dalla sede giudiziaria di Pordenone – è, a ben vedere, la causa principale di quella aberrante situazione che ha additato il nostro Paese , a livello internazionale e comunitario, come nazione incivile e che applica in modo illegittimo ed abnorme l’ istituto della custodia cautelare e sul cui abuso più e più volte lo stesso presidente della repubblica, come capo della magistratura e garante della legalità , si è più volte soffermato.

Le distorsioni del sistema giudiziario e le involuzione illiberali non nascono dal nulla , ma derivano da errate ed aberranti applicazioni di principi giuridici e nel caso di specie è evidente fuor di misura che la errata giurisprudenza richiamata nella impugnata ordinanza è la causa principale del notorio abuso della custodia cautelare in Italia.

Le distorsioni del sistema giudiziario e le involuzione illiberali non nascono dal nulla , ma derivano da errate ed aberranti applicazioni di principi giuridici e nel caso di specie è evidente fuor di misura che la errata giurisprudenza richiamata nella impugnata ordinanza è la causa principale del notorio abuso della custodia cautelare in Italia.
Violazione del principio di legalità e di gradualità.

Prima di tutto, un tanto vanifica il concetto normativo del minimo e del massimo di applicazione di una misura cautelare.

Di fatto, tale interpretazione svuota di senso tale previsione normativa, perché di fatto appiattisce sul massimo previsto ogni forma di misura cautelare.

Così facendo, il giudice finisce con l’ emettere un giudizio “ prognostico “ ( e come tale opinabile e variabile ) una sola volta, all’ inizio della sanzione, rendendo vano il decorso del tempo e il suo rapportarsi ad una graduazione della misura, prevista dall’ ordinamento stesso.

E’ evidente, quindi, che tale acefala giurisprudenza va contro il principio equilibratore della gradualità, cardine fondante di ogni misura limitatrice della libertà personale.

Tale principio si esplica non solo ab origine nella scelta graduale della misura coercitiva, ma anche durante la fase della esecuzione della stessa, in virtù proprio della previsione normativa di un minimo e di un massimo della misura, entro i cui poli deve essere nel concreto graduata la misura.

E’ fatto obbligo al giudice ri – valutare la sanzione inizialmente irrogata, perché il fattore tempo – con la scansione dei fatti che porta ineluttabilmente con sé, è previsto come rilevante dalla norma proprio per la sua intrinseca previsione di fasce oscillanti di durata.
Violazione della presunzione di innocenza e anticipazione illegale di condanna.

Il criterio – scriteriato , nel senso etimologico del termine, perché proprio non ancorato a dei presupposti logico giuridici, come richiesto viceversa dal ricorso del sottoscritto – qui impugnato, viola anche contro il principio di legalità, in quanto, di fatto, appiattisce la misura cautelare personale, delicata ed opinabile, in quanto agganciata a criteri meramente prognostici al concetto di pena definitiva, giudicata, immodificabile, irreversibile.

Il che è raccapricciante : di fatto, un cittadino, ancora non giudicato e non colpevole anche formalmente , viene sottoposto ad una misura cautelare ( che concettualmente è appunto il contrario logico di una pena detentiva, ma è una valutazione ipotetica in cui la prudenza a favore della sicurezza sociale non può essere disgiunta dalla prudenza nella coercizione della libertà di un cittadino che non è ancora stato giudicato ) che, una volta applicata, rimane costante fino al suo spirare massimo, il che parifica una “ ordinanza “ in materia di libertà personale – opinabile e rivedibile – al concetto di sentenza passata in giudicato.  Liberando così il giudice dal dovere morale e giuridico di valutare se, dopo un anno di tempo, come nel caso di specie, siano maturati fatti – come il decorso non problematico della esecuzione della misura – atti ad affievolire la prognosi nefasta cogitata all’ inizio.

Una giurisprudenza che istiga a delinquere = violazione al principio di proporzionalità.

Raccapricciante è anche il fatto che non si considerino i fatti addotti dalla difesa come meritevoli di affievolimento/revoca della misura rilevanti e degni di considerazione :  Come si può pensare di valutare un affievolimento di “ pericolosità “ , quando il soggetto in verifica trovasi in misura cautelare , se non attraverso una valutazione della sua condotta ?

Ma allora, se una persona si comporta bene, non viola gli obblighi, patisce una custodia domiciliare interminabile per un fatto di accusa tutto sommato ( come dice il tribunale della Libertà ) non grave ai fini del calcolo di una pericolosità trattandosi di fatto non reiterato , ma ad evento unico, di scarsa fondatezza probatoria, con un imputato che non ha un quadro penale antecedente  , dovrà stare agli arresti fino alla scadenza del massimo edittale, come se la sua condotta fosse quella di un colpevole che ha violato i doveri imposti dalla custodia ?

Perché questo è l’ esito aberrante di tale tesi : se una persona rispetta gli obblighi della custodia, magari anche lavorando correttamente senza violarli, dovrà scontare fino la massimo previsto la custodia, e se invece, viola gli obblighi della stessa…. Sarà trattato alla stessa guisa, poichè più del massimo non potrà scontare..

Si vede quindi che questa tesi è aberrante, perché viola il principio di legalità e di proporzionalità, parificando tutte le condotte a quelle criminali .

Questa tesi è stata ampiamente criticata e respinta dal medesimo tribunale della Libertà che ha annullato la misura in atto disposta dal tribunale di Pordenone.

Purtroppo questo genere di giurisprudenza aberrante ha trovato da molti anni sistematica ed acritica applicazione presso il tribunale di Pordenone, in quanto  si ha ragione di ritenere essere stata letteralmente imposta a tutti i giudici penali  della relativa sezione penale. Non è possibile, infatti, che tutti giudici di questo tribunale, di fronte a svariati e diversi casi al loro esame, emettano sempre questo genere di ordinanze monolitiche, esponendo sempre i soliti discutibilissimi ed illegittimi concetti, senza varianti alcune, neanche sintattiche o concettuali.


Come si è visto, è una giurisprudenza illegale,  che rende del tutto inidoneo il tribunale di Pordenone, alla sua funzione giudicante, a giudicare di imputati che ha già gettato ai ceppi in via indeterminata ed illegittima in forma cautelare : in realtà, in questo modo il tribunale che opera così  finisce  sempre con il pronunciarsi, anticipatamente ad ogni giudizio, con un giudizio preventivo di condanna nei confronti degli imputati, chiunque siano, e ciò con buona pace del principio della presunzione di innocenza, di terzietà del giudice e di giusto processo.

E questo corollario che discende dalla applicazione scriteriata a tempo indeterminato delle sanzioni cautelari di ambito detentivo è evidente ed intuibile : giammai un siffatto tribunale potrà poi esprimersi imparzialmente nei confronti di questi imputati illegalmente privati della libertà a tempo indeterminato, per una ovvia ragione : se avesse poi ad assolverli, chi potrà esimere siffatti giudici dal risarcire poi i danni per ingiusta detenzione ?
E’ evidente quindi che il primo strappo alla legalità attraverso un abuso indiscriminato della carcerazione cautelare, porta con sé altri abusi, fra cui quello del capovolgimento del principio di innocenza che viene trasformato in un principio di condanna fatale dell’ imputato , onde allontanare dall’ ordine giudiziario il rischio che, mediante assoluzioni in primo grado, possa aprirsi il pericolo di dover risarcire detti imputati per la ingiusta detenzione.

Concettualmente e nella prassi di questo tribunale, la misura cautelare, lungi da essere considerata nei limiti di legalità imposti dalla legge e  non  rispettati, diviene così null’ altro che una sorta di anticipazione della esecuzione di una condanna penale, che, lungi da ogni criterio di legalità, viene già scritta in anticipo.
La logica (? ) di questo genere di applicazione illegittima dell’ istituto è quella di bypassare ogni norma processuale e sostanziale [1] a favore dell’ imputato e di rendere esecutiva subito una condanna  penale già scritta e senza attendere i tre gradi di giudizio previsti dalla legge.

Insomma : come gli sceriffi del far – West e con buona pace dello stato di legalità repubblicana.

Questo genere di prassi illegittima funziona solo come deterrente o per assumersi responsabilità penali che l’ imputato non ha – come nel caso di specie – facendogli credere con la coazione di una carcere “ preventivo” lungo ed illegale che così almeno risparmia un po’ di pena finale ineludibile, oppure per coartarlo a  chiamate di correità infondate e coercitive, come acutamente sottolineato dallo stesso tribunale della libertà di Trieste nella citata ordinanza.

In ogni caso, è evidente che la legalità appare sepolta, come pure ogni forma  e sostanza di giusto processo.
Si aggiunga anche che, se pure il giudice del dibattimento è coinvolto in queste argomentazioni non conformi a legalità con ordinanze o decisioni che le confermino, il sospetto di incompatibilità ambientale  e di mancanza di presupposti per un giusto processo appare più che legittimo e fondato.

Del resto, se ad assolvere  imputati vittime di questa prassi giudiziaria illegittima  fosse un giudice territoriale di primo grado, si verrebbe ad incrinare la stessa prassi monolitica dell’ abuso della carcerazione preventiva, invalsa monoliticamente da anni e anni anche presso il tribunale penale di Pordenone.

L’ ipotesi, quindi, di una sentenza di primo grado che non sia condizionata in termini accusatori e colpevolisti, appare quindi altamente improbabile e chimerico, alla luce delle argomentazioni dianzi svolte.
P
er questa ragione, il sottoscritto ricorrente, che è stato vittima di questa mala prassi giudiziaria, ritiene a buon diritto che, in ogni caso, avanti a qualsivoglia giudice di questa piccola realtà giudiziaria, verrebbe al sottoscritto precluso quel giusto processo con giudice terzo che è imposto dalla Costituzione.

Non v’ alternativa, per il rispetto della legalità, che lo spostamento di questo processo ad altra sede giudiziaria, ove non possa riproporsi quel corto circuito di  consuetudini giudiziarie  non legittime  che nuocciono alla serenità del giudizio.

Vi è anche un altro motivo  che rende fondata questa istanza ed è stato sviscerato perfettamente dalle premesse del tribunale della Libertà nella citata ordinanza di annullamento.

Il punto riguarda la circostanza della anomala durata – oltre un anno – della misura cautelare domiciliare e una stranissima scansione di eventi  giudiziari che , di fatto, hanno bypassato la scadenza dei sei mesi di durata, trasformandola di fatto in eterna .

Ma leggiamo come illustra questa strana ( casuale o causale ? ) anomalia il tribunale della Libertà :


In altre parole, alle soglie della scadenza della misura, anziché disporre l’ udienza preliminare dovuta ex lege, la procura ha disposto citazione diretta in tribunale, evitando così il venir meno della misura.

All’ udienza poi, nessuno ( né gli avvocati, né il pubblico ministero, né il medesimo Giudice ) si è accorto che il decreto di citazione era nullo perché aveva bypassato l’ udienza preliminare.

Si è svolto invece un certo pressing per spingere gli imputati ad accedere a riti alternativi, con conseguente venir meno della esperibilità di detta eccezione di nullità e con la conseguenziale sanatoria della stessa.

E con il reiterarsi, ad infinito, di altri sei mesi di carcerazione domiciliare….
.
E’ chiaro che anche questa anomalia, di cui è difficile trovare spiegazione, motiva ampiamente la richiesta di trasferimento del processo ad altra sede non incompatibile ed in grado di garantire un giusto processo.
Tutto ciò esposto, considerato ed eccepito si formula
richiesta di rimessione
ad altro distretto giudiziario ex art. 11 cpp  del presente  procedimento per le ragioni qui ampiamente illustrate.  Con declaratoria di nullità di tutti gli atti processuali emessi dal tribunale di Pordenone e susseguenti alla citazione diretta emessa illegittimamente dal pubblico ministero, e relativa remissione in termini del ricorrente ad ogni attività difensiva preclusasi nell’ ambito della pregressa fase.
Si chiede la immediata trasmissione della presente istanza alla Suprema Corte di Cassazione, come previsto dalla legge , e sotto pena di nullità della emananda sentenza.
Il sottoscritto ……………………………………………..nomina l’ avvocato Edoardo Longo anche difensore presso il sub procedimento di remissione avanti alla Corte di Cassazione attivato con la presente istanza , conferendo al difensore ogni più ampia potestà difensiva ed incaricandolo anche dell’ inoltro formale del presente atto di remissione.
Pordenone, 05/09/2014
In fede,  sottoscrive il sig…………………………………
[ Si ritiene di un qualche interesse giuridico la pubblicazione di questo ricorso alla Suprema Corte di Cassazione per i temi giuridici che in esso sono dibattuti, di estrema attualità. Per intuibili ragioni di privacy sono omessi i nomi dei ricorrenti ed altri dati ].
BIBLIOGRAFIA SULL’ ARGOMENTO :

STUDIO LEGALE LONGO


longolegal@libero.it 

                                                                                                                           338.1637425
 
 

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