Bobby Sands: il cuore e l’anima della rivoluzione irlandese
La protesta che investì il complesso penitenziario di Long Kesh, collocato vicino Belfast, iniziò a divampare nel 1977, quando gli oltre trecento detenuti irlandesi, tutti prigionieri politici repubblicani incarcerati per reati consumati contro l’occupazione britannica, considerati volutamente dalle autorità penitenziarie alla stregua dei detenuti comuni, decisero di rifiutarsi di indossare la tenuta carceraria che li equiparava ai criminali comuni per rivendicare, in quanto militanti nazionalisti, il riconoscimento della loro condizione reale di prigionieri politici.
La blanket protest aveva anche
lo scopo di fare giungere all’esterno del carcere notizie sulla reale
situazione nella quale versavano i detenuti e sui continui e pesanti
maltrattamenti fisici e sulle perduranti violazioni della dignità
personale che i prigionieri nazionalisti erano costretti a subire in
quanto tali.
Maltrattamenti, pestaggi, “terapie” di
correzione che a malapena mascheravano gli sfoghi delle guardie (tutte
protestanti e ‘lealiste’, quindi torturatori volontari) che, con il
beneplacito dell’amministrazione carceraria, potevano accanirsi senza
riguardo alcuno contro i prigionieri repubblicani: “La tortura era
una di quelle cose cui avevamo imparato ad abituarci. In realtà avevamo
dovuto abituarci (…) non sapevamo mai quale porta avrebbero aperto, chi
di noi avrebbero trascinato fuori dalla cella e pestato senza pietà.” Nudi
come dei vermi, si coprivano solamente le parti intime con un
asciugamano, i prigionieri, vista l’indifferenza glaciale dei
carcerieri, furono costretti ad inasprire la protesta passando
successivamente alla dirty protest ovvero cominciarono a
rifiutarsi di radersi, di farsi tagliare i capelli, di lavarsi e infine
si opposero allo svuotamento quotidiano dei buglioli, presenti nelle
celle, che contenevano i loro escrementi.
La feroce perfidia delle guardie arrivò
al punto di trovare divertimento, ogni mattina, nell’irrompere nelle
celle e rovesciare sul pavimento, con un calcio, il contenuto dei
buglioli.
Così tutti i giorni, per settimane. Le
celle erano diventate delle squallide e sudice fogne dove, a denti
stretti, continuava la resistenza dei prigionieri: “Ci sono diversi
modi per scuoiare un animale e, nel nostro caso, per tentare di spezzare
la resistenza di un prigioniero di guerra.”
Le guardie, sempre tutelate e incitate dalle autorità, si misero d’impegno per piegare la protesta dei blanketmen
diminuendo le già ridotte razioni di cibo e utilizzando alimenti
avariati, aumentando il numero delle irruzioni nelle celle, sia di
giorno che nella notte, per gli ormai divenuti consueti pestaggi e per
le degradanti perquisizioni corporali nelle parti intime che precedevano
i pestaggi.
A fronte di quelle continue umiliazioni i
prigionieri trovarono lo stesso il conforto necessario nella certezza
della vittoria, proclamando orgogliosamente “il nostro giorno verrà”, e lo proclamarono in gaelico: Tiocfaidh ar là!
Quando venne permesso all’arcivescovo
cattolico Thomas O’Fiaich di visitare i prigionieri lo squallido
spettacolo che si presentò agli occhi del prelato fu così sconvolgente
da lasciarlo profondamente turbato: “Lasciando da parte l’essere
umano, difficilmente si lascerebbe vivere un animale in tali condizioni.
L’immagine che più si avvicina a ciò che ho visto è quella delle
centinaia di homeless che vivono nelle fogne di Calcutta.” Lo stesso turbamento, però, non scalfì la ferrea arroganza britannica.
I prigionieri avanzarono, allora, al
Governo britannico una serie di richieste politiche che se concesse
avrebbero posto fine alla protesta. Richiesero che ai prigionieri
repubblicani fosse garantito il diritto ad indossare i propri indumenti
anziché la tenuta carceraria, non fossero obbligati al lavoro
carcerario, fosse loro garantita la possibilità di ricevere una visita e
una lettera settimanalmente, fosse loro permesso di unirsi con gli
altri prigionieri durante l’ora d’aria e, infine, che potessero
usufruire anche loro degli sconti di pena al pari dei detenuti comuni.
Il Governo britannico rispose che non avrebbe mai trattato con dei
terroristi e, pertanto, avrebbe rigettato le richieste. Per questi
motivi e visto il perdurare dell’indifferenza dell’amministrazione
politica inglese, che non si sentiva minimamente colpita dalla campagna
di controinformazione che dall’esterno gettava logicamente discredito su
di essa, il consiglio politico dei prigionieri decise, dietro
indicazione strategica dell’IRA, di alzare ancor di più il tono della
protesta adottando la forma più estrema e radicale che si potesse
immaginare: lo sciopero della fame.
Il primo prigioniero ad iniziare la
nuova protesta sarà Brendan Hughes, comandante dei prigionieri
repubblicani di Long Kesh, lo seguiranno a ruota altri sette detenuti.
Queste prime proteste durano poco — pur
sempre una cinquantina di giorni che ridussero i prigionieri in fin di
vita — perché gli inglesi, barando, fecero trapelare la notizia di una
possibilità di intesa riguardo alle richieste. Ma si trattò solamente di
una delle solite vigliaccate inglesi. Non rimaneva, a questo punto, per
gli avviliti prigionieri altra scelta che riprendere con decisione la
protesta e portarla fino alle estreme conseguenze.
Toccherà, per sua libera scelta, ad un
giovane prigioniero di nome Bobby Sands diventare il protagonista e il
simbolo di tutti gli hunger strikers.
Bobby Sands era un volontario dell’IRA a
tutti gli effetti, si era voluto arruolare nel 1972 dopo che aveva
provato sulla propria pelle e su quella della famiglia le angherie e i
soprusi dell’occupazione britannica, le discriminazioni e le
intimidazioni degli attivisti protestanti e soprattutto il particolare
senso della ‘giustizia’ degli inglesi. Era arrivato a Long Kesh,
“ospite” nei famigerati H-Blocks verso la fine del 1977 per
scontare una condanna a 14 anni di reclusione per partecipazione ad
azioni di terrorismo, fu quindi automaticamente solidale e partecipe con
gli altri prigionieri nello svolgimento della protesta per i diritti
politici. In carcere irrobustirà la propria formazione politica e
culturale e si impegnerà, anche, nello studio del gaelico e il 1 marzo
del 1981 deciderà di donare integralmente sé stesso alla causa del suo
popolo, per la liberazione dell’Irlanda, per denunciare a tutto il mondo
i crimini britannici in terra irlandese.
Inizierà così lo sciopero della fame ad
oltranza di Bobby Sands che, per la generosità del suo gesto e la bontà
della fede che albergava nel suo grande cuore, diventerà il simbolo
della sofferenza irlandese e la bandiera del riscatto nazionale: “Accettare
lo status di criminale significherebbe degradare me stesso e ammettere
che la causa in cui credo e di cui mi nutro è sbagliata. Quando penso
agli uomini e donne che hanno sacrificato la loro vita, le mie
sofferenze mi sembrano insignificanti. Ci sono stati molti tentativi per
piegare la mia volontà, ma ognuno di questi tentativi mi ha reso ancora
più determinato.”
Il Governo britannico, allora guidato
dalla Margaret Thatcher, manifestò imperterrito tutto il suo cinico
disprezzo nei confronti degli hunger strikers, nonostante che
il valore della protesta avesse ormai già varcato i confini dell’Irlanda
del Nord e generasse, ovunque, commozione e solidarietà.
L’opinione delle autorità britanniche
consistette nell’affermare che se dei “terroristi” avevano deciso di
morire di fame, allora potevano pure tranquillamente farlo, con la
“benedizione” di Sua Maestà.
Eppure, grazie alla grande solidarietà del movimento repubblicano e agli sforzi del Sinn Fein,
guidato dal nuovo presidente Gerry Adams (l’ex comandante della brigata
di Belfast dell’IRA) Bobby Sands venne, anche, eletto deputato al
parlamento di Westminster.
La notizia che un “terrorista” era diventato un parlamentare rappresentò un boccone troppo indigesto, anche per la Lady di ferro,
e al contempo dimostrò che quel “terrorista” era il volto dell’Irlanda e
che la Nazione irlandese si stringeva attorno ai suoi prigionieri
politici.
Secoli di lotta contro la dominazione
britannica avevano abituato gli irlandesi ad andare incontro alla morte
anzitempo, anche quando la morte si presentava sotto le forme della
casualità e della sfortunata coincidenza, come spesso accadeva
nell’Irlanda del Nord. Bastava trovarsi nel posto sbagliato e nel
momento sbagliato e poteva succedere di tutto all’improvviso:
un’autobomba che esplodeva di fronte ad un pub, una raffica di
mitra proveniente da una macchina in corsa, i colpi sparati da un
cecchino inglese troppo nervoso o da uno sbirro della RUC troppo
zelante. Ma l’andare incontro alla morte, come fecero gli hunger strikers,
come se fosse un estremo atto d’amore nei confronti del proprio popolo e
della propria Nazione, rappresentò una novità così sconvolgente da
marcare la coscienza degli irlandesi in maniera indelebile.
Dopo 66 giorni di digiuno, Bobby Sands, morendo poneva fine al suo doloroso calvario.
A coloro che nei giorni precedenti il
decesso, implorandolo, gli chiedevano di smettere, di interrompere la
protesta Bobby Sands, serenamente, rispondeva: “Sorry, but I must die”,
Scusatemi, ma io debbo morire. Il 5 maggio 1981 l’Irlanda repubblicana
era in lutto, quella protestante in apprensione per quello che avrebbe
potuto fare l’IRA.
Non era ancora tempo di vendette, quel momento sarebbe giunto, ma dopo i funerali.
Dopo Bobby Sands moriranno altri nove
prigionieri che avevano iniziato a ruota lo sciopero della fame ad
oltranza: Francis Hughes, Raymond Mac Creesh, Patsy O’Hara, Joe Mac
Donnel, Martin Hurson, Kevin Lynch, Kievan Doherty, Seamua Mac Elwain e
Micky Devine. Anche loro si immoleranno volontariamente sull’altare
sacrificale della libertà irlandese e il numero dei “votati al martirio”
sarebbe stato anche maggiore se, nel frattempo, non fosse giunto a Long
Kesh l’ordine da parte del Comando dell’IRA di interrompere la
protesta.
I funerali di Bobby Sands saranno
solenni e imponenti, decine e decine di migliaia di irlandesi
accompagneranno il feretro del combattente repubblicano, avvolto nella
bandiera tricolore irlandese, nel suo ultimo viaggio verso il cimitero
di Milltown, non mancherà neppure il picchetto armato d’onore dell’IRA.
I fucili dell’IRA spareranno a salve per rendere testimonianza e gratitudine al coraggioso volontario.
L’esercito britannico che in forze e a distanza presidiava la zona dovrà sopportare anche questo affronto.
“Bobby Sands, deputato al Parlamento, volontario dell’IRA, prigioniero politico di guerra, Requiescat in Pacem.”
Con i funerali di tutti e dieci hunger strikers
si andava così chiudendo una delle pagine più gloriose della tormentata
storia dell’eroico popolo irlandese. Dimenticare tutto questo,
dimenticare il loro sacrificio sarebbe ingiusto nei confronti della
Storia della Nazione irlandese, ma soprattutto sarebbe un’offesa alla
nostra coscienza e alla loro memoria
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