domenica 10 maggio 2015

COOPERATIVE ROSSE

   Cooperative rosse

 

Cooperative rosse da utopia a cassaforte
Scippate ai «padri» riformisti furono trasformate dai comunisti nel «tesoro privato» del partito Viaggio attraverso le trasformazioni di un soggetto socialedi Antonio Landolfi
Nacque la Lega delle Cooperative e con essa nacque una sorta di repubblica economica autonoma che faceva capo direttamente al PCI, ne costituì una grande forza finanziaria partecipe della vita economica del paese ma in piena indipendenza dal resto della nostra economia. In breve tempo l’organizzazione cooperativa divenne il perno finanziario del partito comunista, visto il suo rigoglioso sviluppo nelle “regioni rosse”. All’interno dell’organizzazione, un certo spazio fu dato anche ad altri partiti della sinistra: il ruolo di vicepresidente nazionale veniva riservato ai socialisti nenniani ed anche saragattiani, sia nell’epoca frontista del PSI, sia nella fase successiva dell’autonomia socialista, compresa l’epoca craxiana. Uno spazio era concesso anche ai repubblicani, data la tradizione cooperativistica di marca mazziniana che aveva consistenti radici nelle zone rosse della Romagna e delle Marche.
I partiti non comunisti ne traevano qualche vantaggio, ma le cooperative e la struttura federale restavano saldamente in mano al PCI, di cui erano sempre di più un supporto elettorale ed anche finanziario indubbio. Furono i politologi che facevano capo alla rivista “il Mulino”, che risiedeva a Bologna, e costituiva quindi un ottimo osservatorio, a coniare il termine “collateralismo”, con cui si definiva il rapporto ombelicale che legava le organizzazioni di massa (e la Lega delle cooperative senz’altro lo era) al partito di Togliatti, Longo, Berlinguer ed Occhetto. Tutto questo si sapeva già nell’Italia degli anni cinquanta. Nessuno era in grado di circoscrivere il fenomeno. Neppure le cooperative cattoliche che la DC si era affrettata a promuovere e che s’erano create un loro campo d’attività specie nelle regioni non rosse erano in grado di competere con quelle “collaterali” al PCI.
Alcuni analisti accreditavano persino la voce che la Lega beneficiava dei rapporti commerciali con L’URSS, l’Est europeo, la Cina e Cuba, gestendo l’attribuzione di licenze di export-import verso tali paesi. I maldicenti vennero tacitati con l’accusa di anticomunismo viscerale, e nessuna indagine confermò tali voci.
Ad illuminare meglio la situazione che si era creata, venne alla fine degli anni cinquanta la testimonianza autorevole di Eugenio Reale. Cioè di uno dei capi più prestigiosi del comunismo italiano che aveva reciso i legami con il suo partito a seguito dei fatti di Ungheria.
Reale era stato incaricato da Togliatti di presiedere al campo delle attività economiche, nazionali ed internazionali del partito e delle organizzazioni collaterali. Il fatto che fosse prescelto a tale compito, confermava in qualche modo che una parte rilevante delle attività di questo tipo avesse una dimensione internazionale, visto la lunga esperienza e la fitta rete di rapporti che egli aveva (era stato ambasciatore a Varsavia, aveva partecipato alla costituzione del Cominform, tra l’altro). Nei “Taccuini” che egli redasse (e riportati in un prezioso volume pubblicato da Giuseppe Averardi, attualmente dirigente del PDS, dopo una lunga esperienza politica e parlamentare nel movimento socialista, dal titolo “Le carte del PCI”, edito da Lacaita nel 2000) Reale scriveva: “Negli anni cinquanta e sessanta il divario di sviluppo della cooperazione nel nostro paese rispetto agli altri paesi industrializzati è cresciuto. Nelle socialdemocrazie del Nord Europa il numero dei soci ha raggiunto il 50% della popolazione attiva, in Francia è raddoppiato dal 12 al 24 %. Persino in Canada ed in Usa è al 20 %. Il numero dei soci espressi in percentuale sul numero degli abitanti attivi è fermo in Italia al 7 %”.
Negli anni successivi questa percentuale non saliva di molto: nel 1980, secondo i dati forniti dalla lega delle Cooperative i soci erano 13.180, con una percentuale che non raggiungeva il 10 %, cui naturalmente andava aggiunto il numero dei soci di altre organizzazioni, quella cattolica ed altre ancora, che però era ben più basso di quelli della Lega. Il numero così limitato dei soci si può spiegare con un dato, ripreso dallo stesso Eugenio Reale, secondo cui “ad opera del sindacato e dei funzionari di partito si è sviluppata la tendenza a privilegiare il rapporto di lavoro indipendente nella cooperazione rispetto a quello di associato autonomo”. Di conseguenza è venuta meno la distinzione tra imprese di natura associativa ed imprese di natura capitalistica. Tutto ciò ha permesso di modellare il sistema cooperativo in funzione del soggetto economico e finanziario più che in funzione associativa e partecipativa.
Ed economicamente il sistema ha indubbiamente funzionato; con il sostegno politico, delle amministrazioni ed anche del consociativismo degli anni settanta ed ottanta nel settore della produzione, del consumo, dell’edilizia ed infine della finanza. Ed ha permesso di accumulare risorse tali da costituire un prezioso polmone per il PCI.
Nella sua opera “Le carte del PCI” ha compiuto un lavoro prezioso che ci permette di ricostruire il percorso dei rapporti tra il movimento cooperativo e quel partito, in tutte le sue varie fasi e trasformazioni. Un rapporto che per lungo tempo è stato improntato a quella prassi di “collateralismo” che si traduceva per la cooperazione rossa in una delle tante “cinghie di trasmissione” del partito di riferimento. I momenti salienti furono nel 1961 con il convegno nazionale del PCI sulla cooperazione, conclusosi con il varo di una strategia di aggregazione del ceto medio assegnata come compito alla Lega nell’ambito di una politica di alleanze. Alla metà degli anni Settanta, nel quadro della politica di solidarietà nazionale, e della scoperta dell’economia di mercato, la cooperazione veniva sollecitata ad assumere forme e dimensioni più squisitamente imprenditoriali: una sorta di ala marciante neocomunista nell’ambito e nella logica dell’economia capitalistica. La vittoria elettorale a livello amministrativo e regionale del PCI permetteva l’espansione delle attività delle cooperative edilizie in ogni zona del territorio nazionale, grazie alla gestione degli appalti delle giunte di sinistra.(da Cooperative rosse da utopia a cassaforte)
Ricordo che il 20 luglio 2007, Clementina Forleo nell’ambito delle indagini sulla tentata scalata della BNL da parte dell’Unipol, inviò al Parlamento un’ordinanza in cui, tra l’altro si legge:
” inquietanti interlocutori di numerose di dette conversazioni soprattutto intervenute sull’utenza in uso a Giovanni Consorte”
(N.d.R. Fassino e D’Alema) “appaiono non passivi ricettori di informazioni pur penalmente rilevanti né personaggi animati da sana tifoseria per opposte forze in campo, ma consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata”
Non voglio entrare nel merito dell’indagine, ricordo soltanto che la Forleo fu immediatamente sospesa dall’incarico, l’inchiesta affidata ad altri (di Fassino e D’Alema non si parlò più) e solo dopo un anno, quando ormai l’insabbiamento era avvenuto, la Forleo fu pienamente riabilitata.
Ma naturalmente sono solo coincidenze.

                                                                                                                                                                           

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