Cooperative rosse
Scippate ai «padri» riformisti furono
trasformate dai comunisti nel «tesoro privato» del partito Viaggio
attraverso le trasformazioni di un soggetto socialedi Antonio Landolfi
Nacque la Lega delle Cooperative e con
essa nacque una sorta di repubblica economica autonoma che faceva capo
direttamente al PCI, ne costituì una grande forza finanziaria partecipe
della vita economica del paese ma in piena indipendenza dal resto della
nostra economia. In breve tempo l’organizzazione cooperativa divenne il
perno finanziario del partito comunista, visto il suo rigoglioso
sviluppo nelle “regioni rosse”. All’interno dell’organizzazione, un
certo spazio fu dato anche ad altri partiti della sinistra: il ruolo di
vicepresidente nazionale veniva riservato ai socialisti nenniani ed
anche saragattiani, sia nell’epoca frontista del PSI, sia nella fase
successiva dell’autonomia socialista, compresa l’epoca craxiana. Uno
spazio era concesso anche ai repubblicani, data la tradizione
cooperativistica di marca mazziniana che aveva consistenti radici nelle
zone rosse della Romagna e delle Marche.
I partiti non comunisti ne traevano
qualche vantaggio, ma le cooperative e la struttura federale restavano
saldamente in mano al PCI, di cui erano sempre di più un supporto
elettorale ed anche finanziario indubbio. Furono i politologi che
facevano capo alla rivista “il Mulino”, che risiedeva a Bologna, e
costituiva quindi un ottimo osservatorio, a coniare il termine
“collateralismo”, con cui si definiva il rapporto ombelicale che legava
le organizzazioni di massa (e la Lega delle cooperative senz’altro lo
era) al partito di Togliatti, Longo, Berlinguer ed Occhetto. Tutto
questo si sapeva già nell’Italia degli anni cinquanta. Nessuno era in
grado di circoscrivere il fenomeno. Neppure le cooperative cattoliche
che la DC si era affrettata a promuovere e che s’erano create un loro
campo d’attività specie nelle regioni non rosse erano in grado di
competere con quelle “collaterali” al PCI.
Alcuni analisti accreditavano persino la
voce che la Lega beneficiava dei rapporti commerciali con L’URSS, l’Est
europeo, la Cina e Cuba, gestendo l’attribuzione di licenze di
export-import verso tali paesi. I maldicenti vennero tacitati con
l’accusa di anticomunismo viscerale, e nessuna indagine confermò tali
voci.
Ad illuminare meglio la situazione che si
era creata, venne alla fine degli anni cinquanta la testimonianza
autorevole di Eugenio Reale. Cioè di uno dei capi più prestigiosi del
comunismo italiano che aveva reciso i legami con il suo partito a
seguito dei fatti di Ungheria.
Reale era stato incaricato da Togliatti
di presiedere al campo delle attività economiche, nazionali ed
internazionali del partito e delle organizzazioni collaterali. Il fatto
che fosse prescelto a tale compito, confermava in qualche modo che una
parte rilevante delle attività di questo tipo avesse una dimensione
internazionale, visto la lunga esperienza e la fitta rete di rapporti
che egli aveva (era stato ambasciatore a Varsavia, aveva partecipato
alla costituzione del Cominform, tra l’altro). Nei “Taccuini” che egli
redasse (e riportati in un prezioso volume pubblicato da Giuseppe
Averardi, attualmente dirigente del PDS, dopo una lunga esperienza
politica e parlamentare nel movimento socialista, dal titolo “Le carte
del PCI”, edito da Lacaita nel 2000) Reale scriveva: “Negli anni
cinquanta e sessanta il divario di sviluppo della cooperazione nel
nostro paese rispetto agli altri paesi industrializzati è cresciuto.
Nelle socialdemocrazie del Nord Europa il numero dei soci ha raggiunto
il 50% della popolazione attiva, in Francia è raddoppiato dal 12 al 24
%. Persino in Canada ed in Usa è al 20 %. Il numero dei soci espressi in
percentuale sul numero degli abitanti attivi è fermo in Italia al 7 %”.
Negli anni successivi questa percentuale
non saliva di molto: nel 1980, secondo i dati forniti dalla lega delle
Cooperative i soci erano 13.180, con una percentuale che non raggiungeva
il 10 %, cui naturalmente andava aggiunto il numero dei soci di altre
organizzazioni, quella cattolica ed altre ancora, che però era ben più
basso di quelli della Lega. Il numero così limitato dei soci si può
spiegare con un dato, ripreso dallo stesso Eugenio Reale, secondo cui
“ad opera del sindacato e dei funzionari di partito si è sviluppata la
tendenza a privilegiare il rapporto di lavoro indipendente nella
cooperazione rispetto a quello di associato autonomo”. Di conseguenza è
venuta meno la distinzione tra imprese di natura associativa ed imprese
di natura capitalistica. Tutto ciò ha permesso di modellare il sistema
cooperativo in funzione del soggetto economico e finanziario più che in
funzione associativa e partecipativa.
Ed economicamente il sistema ha
indubbiamente funzionato; con il sostegno politico, delle
amministrazioni ed anche del consociativismo degli anni settanta ed
ottanta nel settore della produzione, del consumo, dell’edilizia ed
infine della finanza. Ed ha permesso di accumulare risorse tali da
costituire un prezioso polmone per il PCI.
Nella sua opera “Le carte del PCI” ha
compiuto un lavoro prezioso che ci permette di ricostruire il percorso
dei rapporti tra il movimento cooperativo e quel partito, in tutte le
sue varie fasi e trasformazioni. Un rapporto che per lungo tempo è stato
improntato a quella prassi di “collateralismo” che si traduceva per la
cooperazione rossa in una delle tante “cinghie di trasmissione” del
partito di riferimento. I momenti salienti furono nel 1961 con il
convegno nazionale del PCI sulla cooperazione, conclusosi con il varo di
una strategia di aggregazione del ceto medio assegnata come compito
alla Lega nell’ambito di una politica di alleanze. Alla metà degli anni
Settanta, nel quadro della politica di solidarietà nazionale, e della
scoperta dell’economia di mercato, la cooperazione veniva sollecitata ad
assumere forme e dimensioni più squisitamente imprenditoriali: una
sorta di ala marciante neocomunista nell’ambito e nella logica
dell’economia capitalistica. La vittoria elettorale a livello
amministrativo e regionale del PCI permetteva l’espansione delle
attività delle cooperative edilizie in ogni zona del territorio
nazionale, grazie alla gestione degli appalti delle giunte di
sinistra.(da Cooperative rosse da utopia a cassaforte)
Ricordo che il 20 luglio 2007, Clementina
Forleo nell’ambito delle indagini sulla tentata scalata della BNL da
parte dell’Unipol, inviò al Parlamento un’ordinanza in cui, tra l’altro
si legge:
” inquietanti interlocutori di numerose di dette conversazioni soprattutto intervenute sull’utenza in uso a Giovanni Consorte”
(N.d.R. Fassino e D’Alema) “appaiono non
passivi ricettori di informazioni pur penalmente rilevanti né personaggi
animati da sana tifoseria per opposte forze in campo, ma consapevoli
complici di un disegno criminoso di ampia portata”
Non voglio entrare nel merito
dell’indagine, ricordo soltanto che la Forleo fu immediatamente sospesa
dall’incarico, l’inchiesta affidata ad altri (di Fassino e D’Alema non
si parlò più) e solo dopo un anno, quando ormai l’insabbiamento era
avvenuto, la Forleo fu pienamente riabilitata.
Ma naturalmente sono solo coincidenze.
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