martedì 29 settembre 2015

QUELLO CHE GLI STORICI NON DICONO

Olocausto ,QUELLO CHE GLI STORICI NON DICONO

La collaborazione tra nazisti ed ebrei e l’atteggiamento ipocrita dell’Occidente democratico

di Gianfredo Ruggiero

La Germania nazionalsocialista considerava pregiudizialmente gli ebrei come un elemento estraneo alla nazione. Durante la sfortunata Repubblica di Weimar (1919-33), quando la popolazione tedesca subì la più grande crisi economica e sociale della sua storia (a causa soprattutto degli enormi debiti di guerra imposti dalle potenze vincitrici del primo conflitto mondiale), molti ebrei, nonostante rappresentassero meno dell’1% della popolazione, raggiunsero nel settore economico-finanziario posizioni di alto livello e di considerevole benessere tali da essere additati, a causa della loro presunta cupidigia, come responsabili della stato di crisi in cui versava la Germania. A ciò si aggiungeva l’atavico antiebraismo cristiano, il nazionalismo esasperato e il mito della purezza ariana dell’ideologia hitleriana. 

L’origine ebraica di Karl Marx, il teorico del comunismo, e di parte della dirigenza socialista tedesca, contribuì a rafforzare tale convincimento su cui basò la sua azione Adolf Hitler che fin da subito adottò nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per spingerli a lasciare la Germania (judenfrei), anche attraverso il sostegno all’emigrazione. Quest’ultimo aspetto rispecchiava l’ideale della patria ebraica preconizzata da Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista il quale, per quanto possa sembrare paradossale, concordava con i nazisti sul fatto che ebrei e tedeschi erano nazionalità distinte e tali dovevano restare.

Come risultato, il Governo di Hitler sostenne con vigore il Sionismo e l’emigrazione ebraica in Palestina dal 1933 fino al 1940-41 (1).

L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei trovò però forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento della conferenza di Evian del 1938, convocata da Roosevelt, dove i trentadue due stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni. L’unica nazione che si propose di accogliere rifugiati fu la Repubblica Dominicana che ne accettò circa 700, tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili, rifiutarono ogni forma di accoglienza (L’Italia fascista, invece, pur non avendo partecipato alla conferenza, da anni attuava una politica di ospitalità nei confronti degli ebrei).

L’atteggiamento ipocrita delle nazioni democratiche riguardo l’accoglienza degli ebrei è stato condensato in una frase di Goebbels che nel marzo 1943 poteva rilevare sarcasticamente:

« Quale sarà la soluzione del problema ebraico? Si creerà un giorno uno stato ebraico in qualche parte del mondo? Lo si saprà a suo tempo. Ma è interessante notare che i paesi la cui opinione pubblica si agita in favore degli Ebrei, rifiutano costantemente di accoglierli. Dicono che sono i pionieri della civiltà, che sono i geni della filosofia e della creazione artistica, ma quando si chiede loro di accettare questi geni, chiudono loro le frontiere e dicono che non sanno che farsene. E’ un caso unico nella storia questo rifiuto di accogliere in casa propria dei geni »(2).

Un episodio che testimonia il rifiuto dell’America ad accogliere gli ebrei riguarda la vicenda della nave St.Louis. Partita da Amburgo il 13 maggio 1939 con 937 profughi Ebrei, la nave era diretta a Cuba dove i migranti erano convinti di ottenere il visto per gli Stati Uniti. Sia Cuba sia gli Stati Uniti rifiuteranno però il permesso d’accesso ai rifugiati, obbligando così la nave a tornare in Europa.

Anche l’ipotesi di creare, prima nell’Isola di Madagascar e poi in Palestina, uno stato ebraico fallì per la forte opposizione di Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Fallirono anche le trattative condotte Ministro degli Affari Esteri germanico Helmut Wohltat nell’aprile 1939 con il governo inglese per un insediamento ebraico in Rhodesia e nella Guinea britannica (3).

Nonostante la sostanziale indisponibilità, che rasentava il boicottaggio, delle nazioni democratiche la politica emigratoria del governo nazista proseguì con l’istituzione dell’”Ufficio per l’Emigrazione Ebraica” con sedi a Berlino, Vienna e Praga che aveva il compito di agevolare il trasferimento degli ebrei e dei loro beni in Palestina. Furono anche organizzati dei campi di addestramento in Germania dove i giovani ebrei potevano essere iniziati ai lavori agricoli prima di essere introdotti più o meno clandestinamente in Palestina (all’epoca la Palestina era un protettorato inglese che si opponeva con forza alla colonizzazione ebraica, nonostante nel 1917 si impegnò formalmente, con la dichiarazione di Balfour del 2 novembre, a costituire il focolare ebraico in Palestina).

Fatto singolare e che nei circa 40 campi e centri agricoli della Germania hitleriana gestiti direttamente dal Mossad in cui i futuri coloni venivano addestrati alla vita nei kibbutz, sventolava per la prima volta quella bandiera blu e bianca che un giorno diventerà il vessillo ufficiale dello Stato di Israele (4).

Per liberarsi della presenza ebraica favorendo l’emigrazione in Palestina, il governo tedesco stipulò con le organizzazioni sioniste il cosiddetto “Accordo di Trasferimento” noto anche come Haavara, in virtù del quale gli ebrei emigranti depositavano il denaro ricavato dalla vendita dei loro beni in un conto speciale destinato all’acquisto di attrezzi per l’agricoltura prodotti in Germania ed esportati in Palestina dalla compagnia ebraica Haavara di Tel Aviv.

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Certificato di trasferimento di capitali ebraici dalla Germania alla Palestina

L’accordo di Trasferimento è stato sottoscritto il 10 agosto 1933 dal Ministro dell’economia del Reich Kurt Schmitt e dal rappresentante del Movimento Sionista in Palestina  Haim Arlosoroff che agiva per conto del Mapaï, il partito Sionista antenato del partito Laburista israeliano. A questa iniziativa politico-commerciale parteciparono personaggi divenuti in seguito molto noti come i futuri Primi Ministri David Ben-Gurion e Golda Meir (che collaborava da New York)(5).

Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, grazie all’ Haavara e ad altri accordi tedesco-sionisti, dei circa 522 mila ebrei presenti in Germania più della metà, 304 mila, poterono lasciare il paese con i loro beni superando il rigido embargo inglese. Alcuni di loro trasferirono in Palestina considerevoli fortune personali.

L’importo complessivo di danaro trasferito per mezzo dell’Haavara fra l’agosto del 1933 e la fine del 1939, fu di circa 139 milioni di marchi  (equivalenti a oltre 40 milioni di dollari). A cui si aggiungono ulteriori 70 milioni di dollari attraverso accordi commerciali collaterali. Grazie a questi trasferimenti e ai prelievi obbligatori imposti dal Movimento Sionista sulle transazion, furono costruite le infrastrutture del futuro stato ebraico in Palestina.

Lo storico ebreo Edwin Black sottolinea che i fondi ebraici provenienti dalla Germania ebbero un significativo impatto in un paese sottosviluppato com’era la Palestina degli anni ’30. Con i capitali provenienti dalla Germania furono costruite varie importanti imprese industriali, compresi l’acquedotto Mekoroth e l’industria tessile Lodzia. «attraverso questo patto, il Terzo Reich di Hitler fece più di ogni altro governo negli anni ’30 per sostenere lo sviluppo ebraico in Palestina» conclude Edwin Black(6).

Questa intesa portò successivamente ad un accordo commerciale tra Governo tedesco ed organizzazioni ebraiche con il quale arance e altri prodotti coltivati in Palestina venivano scambiati con macchinario agricolo tedesco(7).

Una immagine singolare che sintetizza meglio di altre la collaborazione tra nazisti tedeschi ed ebrei sionisti è la medaglia commemorativa coniata allo scopo dal Governo tedesco che reca su una faccia la svastica e sull’altra la stella di David.

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Medaglia commemorativa della collaborazione tra autorità tedesche e associazioni ebraiche sioniste durante gli anni trenta

Altra vicenda poco nota riguarda la nave passeggeri partita nel 1935 dal porto tedesco di  Bremerhaven con un carico di ebrei diretti ad Haifa, in Palestina. Questa nave, recava sul  fianco il suo nome, Tel Aviv, scritto in caratteri ebraici, e sull’albero sventolava la bandiera nazista con la croce uncinata. La nave di proprietà ebraica era comandata da un membro del Partito Nazionalsocialista(8).

Altro esempio della stretta collaborazione tra regime hitleriano e sionismo tedesco riguarda i gruppi giovanili ebraici come il “Bétar“ ed ai boy scouts sionisti cui fu permesso di indossare uniformi proprie  e di sventolare bandiere con simbolo dello Stato Sionista (cosa negata ad esempio ai gruppi giovanili cattolici, nonostante il Concordato).

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Manifestazione del gruppo giovanile ebraico tedesco Betar nel 1934

Intanto il governo britannico, da sempre ostile agli insediamenti ebraici in Palestina, impose delle restrizioni ancora più drastiche. In risposta a ciò, il servizio segreto delle SS concluse una alleanza con il gruppo sionista clandestino Mossad le-Aliya Bet  per portare illegalmente gli ebrei in Palestina. Come risultato di questa intensa collaborazione, vari convogli marittimi riuscirono a raggiungere la Palestina superando le navi da guerra britanniche pronte a colpire le imbarcazioni ebraiche. Nell’ottobre del 1939 era programmata la partenza di altri 10.000 ebrei, ma lo scoppio della guerra a settembre fece fallire il tentativo. Le autorità tedesche continuarono lo stesso a promuovere indirettamente l’emigrazione ebraica in Palestina negli anni successivi fino al 1941.

Una stima, seppur approssimativa, fissa in circa 800 mila gli ebrei che lasciarono i territori sotto il controllo germanico fino al 1941.

Con l’avvicinarsi della guerra ci fu la svolta e la posizione degli Ebrei cambiò in modo radicale. Il 5 settembre 1939, Chaim Weitzmann, futuro primo presidente dello stato di Israele, a nome dell’ebraismo mondiale si dichiarò parte belligerante contro i tedeschi e a fianco di Gran Bretagna e Francia (Jewish Chronicle, 8 settembre 1939). Questa vera e propria dichiarazione di guerra, che precedette l’identico atto del  marzo ’33, causò un inasprimento delle misure repressive contro gli ebrei e conferì ai nazisti una motivazione legale per la loro reclusione.WEIMAR_020

La prima pagina del quotidiano londinese Daily Expressi del 24 Marzo 1933: “L’Ebraismo dichiara guerra alla Germania, Ebrei di tutto il mondo unitevi”. “Il popolo israelita del mondo intero dichiara guerra economica e finanziaria alla Germania. La comparsa della svastica come il simbolo della nuova Germania fa rivivere il vecchio simbolo di guerra degli Ebrei. Quattordici milioni di ebrei sono uniti come un solo corpo per dichiarare guerra alla Germania. Il commerciante ebreo lasci il suo commercio, il banchiere la sua banca, il negoziante il suo negozio, il mendicante il suo miserabile cappello allo scopo di unire le forze nella guerra santa contro il popolo di Hitler”.

Il diritto internazionale, infatti,  prevede  la possibilità di internare i cittadini di origine straniera per evitare possibili azioni di spionaggio a favore dei paesi di origine (art. 5 della convenzione di Ginevra), cosa che fece l’America con i cittadini di origine giapponese: dopo averli spogliati di tutti i beni confiscandogli casa, attività e conti bancari, furono rinchiusi in campi di concentramento in condizioni disumane. Verso la fine della guerra nel campo di prigionia di Hereford, nella ricca America, i soldati italiani che rifiutarono di collaborare con gli alleati venivano volutamente sottoalimentati e lasciati morire di tubercolosi, senza cure, sotto l’acqua o il sole cocente, in mezzo agli abusi dei carcerieri che non esitavano ad uccidere al primo cenno di insofferenza. Prima di loro gli inglesi avevano internato, durante la guerra contro i Boeri,  oltre 100 mila donne e bambini nei campi di concentramento in sud Africa,  di questi  27 mila morirono di stenti, malattie e malnutrizione (crimini passati sotto silenzio).

Lo scoppio del conflitto pose fine alla politica tedesca di incoraggiamento al trasferimento degli ebrei verso la Palestina (nel 1942 restava in attività nella Germania un solo Kibbutz a Neuend(9).

Tuttavia, nei primi anni di guerra, i rapporti tra nazisti e organizzazioni ebraiche non furono del tutto interrotti, ma si spostarono sul piano prettamente militare in funzione anti inglese, anche se  l’influenza che ebbero sugli avvenimenti bellici fu praticamente nulla.

Agli inizi di gennaio del 1941 una piccola, ma importante organizzazione sionista, Lehi o Banda Stern (il cui leader Avraham Stern fu assassinato dalla polizia britannica l’anno successivo), fece ai diplomatici nazisti a Beirut una proposta formale di alleanza per lottare contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è che uno di essi era Yitzhak Shamir, futuro primo ministro di Israele(10).

Con il proseguimento della guerra che richiedeva sempre più soldati al fronte e operai nelle fabbriche il governo tedesco abbozzò l’idea di utilizzare massicciamente gli ebrei nell’industria bellica. Dopo l’attacco alla Russia l’idea del lavoro forzato prese corpo e fu perfezionata nel corso della conferenza di Wannsee del  20 gennaio del 1942 con il definitivo abbandono della politica di emigrazione e l’adozione della cosiddetta “soluzione finale territoriale” (eine territoriale Endlösung) che sostituiva la politica del trasferimento con quella della deportazione di tutti gli ebrei nei campi di lavoro dell’est.

«Adesso, nell’ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con una direzione adeguata. In grandi squadre di lavoro, con separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale. Quanto all’eventuale residuo che alla fine dovesse ancora rimanere, bisognerà provvedere in maniera adeguata, dal momento che esso, costituendo una selezione naturale, è da considerare, in caso di rilascio, come la cellula germinale di una rinascita ebraica» (Dal protocollo di Wannsee del 20 gennaio 1942).

Gli studiosi dell’Olocausto hanno sempre sostenuto che il piano generale dell’ebreicidio nazista venne ideato nella riunione di Wannsee, ma Norbert Kampe direttore del Centro Commemorativo della Conferenza di Berlino, contesta questa tesi. Egli  afferma che la conferenza riguardò solo “questioni operative” e non fu in alcun modo una piattaforma di “processi decisionali”, confermato dal fatto che alla conferenza di Wannsee Hitler e i suoi ministri non erano presenti.

Dove erano situati grandi insediamenti industriali furono istituiti campi di lavoro, come per esempio la fabbrica di caucciù sintetico a Bergen-Belsen, la I.G. Farben ad Auschwitz, la Siemens a Ravensbrück, la fabbrica sotterranea delle V-2 di Mittelbau-Dora collegata al campo di Buchenwald.

Il compito di utilizzare al meglio i campi di concentramento come centri di produzione industriale fu affidato all’Ufficio Centrale di Amministrazione Economica delle S.S. diretto da Oswald Pohl.

Il lavoro coatto fu utilizzato anche dalla società di costruzioni Todt per il ripristino delle linee di comunicazione (strade, ponti ferrovie,) che venivano costantemente distrutte dai bombardamenti alleati. questi lavori, che richiedevano un’enorme massa di operai (più di 1.500.000 nel 1944), furono svolti in buona parte ebrei e prigionieri di guerra(11).

Un aspetto inquietante e poco dibattuto riguarda le linee ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati sapevano fin dagli inizi del 1942 dell’esistenza dei campi di concentramento eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale (come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia).

Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in imbarazzo i cosidetti “paladini della libertà”?

Nel “Giorno della Memoria” esprimiamo la nostra piena solidarietà al popolo ebraico per la persecuzione subita e la ferma condanna ad ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove, rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici dei carnefici.

Gianfredo Ruggiero

Note                                                                                                                      

1)    Il giornale ufficiale della SS, “Das Schwarze Korps”, dichiarò il proprio sostegno al Sionismo in un editoriale di prima pagina del maggio del 1935:

 « Può non essere troppo lontano il momento in cui la Palestina sarà di nuovo in grado di ricevere i propri figli che ha perduto per più di mille anni. A loro vanno i nostri migliori auguri ».

Gli ebrei sionisti a loro volta, nel settembre del 1935 dopo la promulgazione della legislazione razziale tedesca (leggi di Norimberga) che sancivano la netta separazione della comunità ebraica dal resto della nazione tedesca ponendo il divieto di matrimoni misti e altre pesanti limitazioni che andavano in tale direzione, dichiararono, attraverso un editoriale del più diffuso settimanale sionista tedesco, il “Die Judische Rundschau”:

« la Germania viene incontro alle richieste del Congresso Mondiale Sionista quando dichiara gli ebrei che oggi vivono in Germania una minoranza nazionale… Le nuove leggi danno alla minoranza ebraica in Germania la propria vita culturale, la propria vita nazionale. In breve, essa può creare il proprio futuro ».

 2)    Bernd Nellessen: “Der Prozesi von Jerusalem”, Düsseldorf/Wien, 1964, p. 201.

3)    Theodor Herzl, nella sua prima opera “Der Judische Staat” (Lo stato ebraico)  aveva  individuato, nell’isola di Madagascar il luogo ideale dove fondare lo stato di Israele. Questa ipotesi fu presa in seria considerazione dai nazionalsocialisti in quanto l’insediamento in Palestina, la patria ideale degli ebrei, avrebbe inevitabilmente portato ad un scontro con gli arabo-palestinesi (cosa che effettivamente avvenne a partire dal 1948). Tuttavia anche questa ipotesi fu in seguito accantonata a causa del netto rifiuto delle democrazie occidentali. La patata bollente ritornò, di conseguenza, nelle mani dei tedeschi che riprese l’opzione Palestina.

4)    Manvell e Fankl: “SS und Gestapo”.

5)    L’accordo di Trasferimento autorizzava i Sionisti a creare due camere di compensazione, la prima sotto la supervisione della Federazione Sionista Tedesca di Berlino, l’altra sotto la supervisione dell’Anglo Palestine Trust in Palestina. L’ufficio di Tel Aviv è stato chiamato Haavara Transfert Office Ltd.  Si trattò di un vero e proprio accordo commerciale che, fra l’altro, contribuì a rompere il boicottaggio mondiale anti-nazista organizzato contro la Germania. Le compagnie erano due: la Haavara, ebraica a Tel Aviv, e la Paltreu, tedesca a Berlino. Il deposito minimo era di 1.000 sterline inglesi presso la Banca Wasserman di Berlino oppure presso la Banca Warburg di Amburgo. Tom Segev in “Le septieme million”, ed. Liana Levi, 1993.

6)    Edwin Black: “The Transfert Agreement”, 1984; F. Nicosia: “Third Reich”; W. Feilchenfeld: “Haavara-Transfer”; Encyclopaedia Judaica: “Haavara”, Vol. 7.

7)    Questa sorta di baratto esteso a tutte le esportazioni/importazioni, cardine della politica economica nazista che contribuì alla ripresa della Germania dopo i disastri della Repubblica di Weimar, fu fortemente osteggiato dalle organizzazioni ebraiche non sioniste che, al contrario, sostenevano l’embargo dei prodotti Made in Germany.

8)    W. Martini: “Hebräisch unterm Hakenkreuz”, Die Welt , 10 gennaio 1975.

9)    Y. Arad: “Documents On the Holocaust”, 1981, p. 155.

10) http://holywar.org/Sio_Naz.htm.

11) Creata da Fritz Todt, l’organizzazione operò in stretta sinergia con gli alti comandi militari durante tutta la Seconda guerra mondiale. Il principale ruolo dell’impresa era la costruzione di strade, ponti e altre opere di comunicazione, vitali per le armate tedesche e per le linee di approvvigionamento, così come della costruzione di opere difensive: la Linea Sigfrido, il Vallo Atlantico e – in Italia – la Linea Gustav e la Linea Gotica.

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Falsificazioni fotografiche http://ita.vho.org/valendy/ugo.htm

                                                           

                                                                                                                                             

lunedì 28 settembre 2015

LE PAROLE ED I FATTI




A  Grassobbio, nel Bergamasco, c’è una fabbrica, la FAAC, che produceva cancelli elettrici ed automatismi ed impiegava una cinquantina di operai.
La fabbrica era stata lasciata in eredità alla chiesa cattolica romana dal vecchio proprietario Michelangelo Mannini nel 1912.
Attualmente la proprietà è dell’arcivescovado di Bologna che recentemente ha deciso di delocalizzare l’azienda in Bulgaria per potere aumentare i profitti approfittando dei salari da fame di laggiù delle minori imposizioni fiscali e della legislazione sul lavoro molto più blanda che in Italia.
Come si vede, in perfetta assonanza con i principi del vangelo e della predicazione di Gesù Cristo e della santa chiesa cattolica romana..!
Nonostante le intercessioni di varie autorità religiose, il “patron” della Faac privilegia il profitto alla carità, il denaro alle persone, gli affari al vangelo e decide il decentramento trasferendo tutta l’azienda in Bulgaria, fulgido esempio di carità cristiana e di zelo evangelico, lasciano le famiglie dei 50 dipendenti italiani sul lastrico in un periodo in cui, come tutti sanno, trovare un altro lavoro è un sogno irrealizzabile..!
“La Chiesa di Bologna utilizzerà quei beni, così provvidenzialmente pervenutile, conformemente alle indicazioni della dottrina sociale della Chiesa, secondo il comandamento evangelico della carità”, riporta lo scarno comunicato della curia bolognese, diffuso al momento del passaggio di proprietà”
Queste le parole di monsignore Carlo Caffarra, amministratore delegato della Faac quando ne prese la direzione che testimoniano la falsità, le riserve mentali ed il pelo sullo stomaco di questo “servo del Signore”..!!
Il Papa predica al congresso USA ed all’Onu chiedendo bontà, misericordia, amore per il prossimo e le solite cose trite e ritrite che a parole la chiesa propone al mondo da duemila anni, ma non muove un dito per le famiglie degli operai della Faac di Grassobbio.
Il Papa è uno degli ultimi sovrani assoluti e se volesse, potrebbe mandare Monsignore Caffarra a piedi scalzi in un convento a studiarsi il vangelo ed a meditare sulla carità, MA NON FA NULLA..!!!
Nulla di nuovo nei secoli sotto il sole di Roma e tutto procede gattopardescamente tra l’ipocrisia generale.
Noi non conosciamo Gesù, ma basandoci su come viene descritto, siamo certi che se oggi egli tornasse sulla terra, girerebbe per il Vaticano e per le diocesi prendendo a frustate tutti quanti così come pare che fece con i mercanti del tempio di Gerusalemme..!!

Alessandro Mezzano

venerdì 25 settembre 2015

CIVILTA’ E DENARO





CIVILTA’ E DENARO





Nel nostro mondo cosiddetto civilizzato esistono regole e leggi che coordinano la vita degli individui, delle società, delle istituzioni e del mercato.
Più o meno buone esse regolano i parametri di ogni aspetto della vita dei cittadini e determinano, più o meno direttamente anche i costi delle varie produzioni industriali in quanto obbligano chi produce a seguire regole sulla mano d’opera, sull’inquinamento, sulla concorrenza, sulle condizioni di lavoro ecc. ecc.
Ci sono poi i sindacati che vigilano affinché vengano rispettati i contratti di lavoro, i rapporti con la proprietà, i diritti dei lavoratori e tutto quanto attiene al mondo del lavoro.
Lo stato, da parte sua, aggrava i costi sia con una tassazione vergognosamente oppressiva che con una inefficienza burocratica che si trasforma anche lei in costi aggiuntivi e soprattutto in carenza di investimenti finanziari dall’estero.
Tutto normale, tutto logico e tutto anche espressione di civiltà e di progresso sociale.
Senonché tutto questo mondo che si regge su regole ben precise e tassative deve sopportare, in nome della cosiddetta “globalizzazione mondiale dei mercati” la concorrenza di altri Paesi che riescono ad offrire le stesse merci prodotte nel mondo civilizzato a prezzi di gran lunga inferiori creando così una difficoltà oggettiva e spesso la impossibilità di proseguire l’intraprendere con le conseguenze che la disoccupazione aumenta vertiginosamente, il PIL diminuisce ed i Paesi impoveriscono in una spirale senza fine!
Noi non abbiamo nulla contro la concorrenza che anzi stimiamo essere uno stimolo a migliorare le produzioni ed a trovare sempre nuove vie per ridurre i costi ed aumentare la qualità, ma la concorrenza, per essere accettabile e positivamente inserita nel contesto produttivo, deve essere LEALE E TRASPARENTE.
Se analizziamo la situazione dei Paesi del terzo mondo che sono poi quelli che maggiormente ci fanno una concorrenza spietata, risulta che in quei Paesi non esistono né sindacati, né regole sindacali, che nelle fabbriche gli orari di lavoro sono a discrezione dei padroni, che i salari sono al limite del sostentamento, che si adopera mano d’opera infantile in condizioni a dir poco inaccettabili, che non esistono quasi spese di depurazione perché l’inquinamento ambientale non è né regolamentato, né punito, che nemmeno i controlli sulla tossicità delle produzioni sono effettuati con regolarità e che in conclusione mancano completamente quelle minime garanzie merceologiche, sociali, se non addirittura umane, che caratterizzano le nostre produzioni e che sono naturalmente dei costi aggiuntivi rispetto a quelle di quei Paesi.
Per questi motivi, se la concorrenza è di per se una condizione accettabile ed anzi desiderabile, la concorrenza SLEALE E DISUMANA di quei Paesi non lo è e pertanto sarebbe giusto e logico che nei trattati sul mercato globalizzato esistesse la regola che esso è possibile SOLAMENTE tra quei Paesi che rispettano le normali regole di civiltà e di umanità che regolano da noi il mondo del lavoro e che invece le importazioni da quei Paesi che tali regole NON RISPETTANO  siano vietate, considerate CONTRABBANDO e PUNITE SEVERISSIMAENTE..!!
Così facendo si difenderebbero i nostri posti di lavoro, il benessere dei Paesi civili e si COSTRINGEREBBERO  i Paesi che non lo sono a diventarlo per non soccombere e per partecipare al mercato mondiale!
Certamente per decidere in tal senso bisogna riacquistare il senso delle priorità e ritornare ad anteporre l’uomo al denaro ed il sangue all’oro altrimenti l’ingordigia dei guadagni farà aggio sulla giustezza della logica e sulla forza dell’Umanità.
Ma forse per fare questo è necessaria una rivoluzione..
Avremo la forza, la capacità e la volontà di farla..??

Alessandro Mezzano



I VIDEO -- DI RNCR-RSI CONTINUITA' IDEALE-- PUGLIA--

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mercoledì 23 settembre 2015

L’ipocrisia dell’Europa ...


 

L’ipocrisia dell’Europa che accoglie i musulmani e respinge i seminaristi

Da una parte l’accoglienza indiscriminata, pubblicizzata e festosa, dei migranti islamici provenienti dalla Siria, dall’altra il divieto di accesso ai seminaristi cattolici provenienti dal sudamerica in viaggio per il consueto raduno annuale nelle Marche: sono le due faccie della medaglia di un’Europa che sembra avere le idee chiare su quale vuole che sia il suo futuro, da qui a vent’anni.
***
immigrati-150907065404L’Europa affronta una crisi senza precedenti, un’emergenza dalle dimensioni colossali che rischia di portare nel vecchio continente 127 milioni di immigrati entro il 2050: una cifra che – e questo sembrerebbe far gola ai vertici della Unione Europea – risolleverebbe il dramma demografico ed economico di un continente di vecchi che non ha più figli, arrivando però a “snaturare” l’identità dell’Europa, sciogliendola in un misto di razze e di religioni senza più un distintivo segno di unità.
A questa emergenza l’Europa ha risposto rimboccandosi le maniche e aprendo le braccia: frontiere aperte al flusso di migranti, accoglienza senza sé e senza ma, inni di gioia e festosi benvenuti ai nuovi arrivati, strappi alle regole e alle frontiere degli stati per finire col commovente selfi-col-migrante promosso dalla signora Merkel. È questa la nuova linea della Comunità Europea che dopo diversi anni di silenzio ora, forzata dagli eventi, apre finalmente gli occhi e capisce che l’immigrazione clandestina non è più un problema italiano, spagnolo e greco ma una questione che riguarda tutte le nazioni europee. D’altronde, lo si è capito dall’inizio, nessun immigrato scappa dal suo paese perché sogna l’Italia di Renzi o la Roma di Marino (nessuno vuol cadere dalla padella alla brace!), ma, se questo viaggio ha una meta, questa è l’Europa del benessere, quella che funziona, che rispecchia i sogni di vita buona, felice e prospera.
foto Reuters
Tutto questo clima di accoglienza gode del massiccio sostegno della stampa che contribuisce a creare un pensiero comune (e unico) che vieta di esprimere un’opinione diversa dal politicamente corretto (ossia dall’accoglienza indiscriminata) se non si vorranno ricevere coloriti insulti (dal “nazista” alla “bestia”). Chi per qualsiasi motivo – ragionevole o meno non interessa – si oppone ad assecondare questo esodo è considerato un fascista senza cuore e privo di umanità.
Una campagna, quella dei media e dei premier fedelissimi alla “mamma Merkel”, che contribuisce a definire in maniera drastica (con una linea dritta verticale sulla lavagna) chi sono i buoni e chi i cattivi: dalla parte dei cattivi finiscono tutti coloro che, per qualche motivo – ragionevole o meno, non interessa – pone dei paletti, chiude le porte, pensa alla sicurezza del proprio paese e dei suoi cittadini o, semplicemente, si interroga sul da farsi senza obbedire alla cieca alle disposizioni dell’Angela-Padrona. I media poi (anche quelli cattolici, basti guardare FC) non disdegnano di lanciare in prima pagina la foto del cadavere bambino morto nel tentativo di arrivare in Italia per colpire la pancia degli italiani; una foto che non rispetta nessuno, né il povero bimbo, né la sua famiglia, né gli italiani colpiti allo stomaco; una foto che nessuno vorrebbe né dovrebbe vedere, ma che serve per contribuire a diffondere tra l’opinione pubblica la risposta ad ogni possibile obiezione: chi s’interroga sul da farsi, chi ha dubbi su questa entusiasta e spettacolare accoglienza, chi si pone la domanda se sia giusto o no sospendere le leggi e le regole per aprire le porte di tutti i paese e di tutte le chiese a milioni di musulmani (perché il dettaglio non è da poco), è semplicemente un a-s-s-a-s-s-i-n-o. Anzi, l’a-s-s-a-s-i-n-o-d-i-u-n-b-i-m-b-o innocente. Atroce! Che poi sorga il sospetto che il padre di quel bimbo, in quanto scafista, sia il suo carnefice (e non proprio una vittima innocente) fa scoppiare il caso di “corto circuito” mediatico e ci fa sospettare che le cose non stanno sempre come ce le fanno vedere (leggere QUI). Che poi nei giorni successivi siano morti altri bambini senza per questo meritare copertine con foto “sensibilizzanti” fa capire che gli specialisti del politicamente corretto non disdegnano di discriminare tra figli e figliastri.
L’Europa ha dunque cambiato l’anima mostrando un cuore grande verso tutti e rimboccandosi le maniche perché la propria casa divenga casa di tutti. A fare da direttore d’orchestra la Germania, quell’antico mostro xenofobo redento e purificato che oggi si erge – come una statua della libertà – a paladina dei deboli, dei poveri e dei diversi. La stessa Germania che poco fa cacciava gli stranieri senza un contratto di lavoro; la stessa Germania che, ricordatelo, poco fa minacciava la Grecia, già culla del pensiero razionale divenuto marchio registrato dell’Occidente, di venir sbattuta fuori per inadempienze finanziarie. E chissà quale sorte avrebbe atteso la nostra Italia se non fosse arrivata, repentina e miracolosa, quella conversione del cuore che ora fa della nazione teutonica la patria della speranza, del futuro e delle (pari) opportunità.
emiriIntanto l’Arabia Saudita si rifiuta di offrire qualsiasi tipo di aiuto umanitario disdegnando di accogliere profughi che – seppur musulmani e quindi fedeli ad Allah – destabilizzino il paese (leggere qui e ANCHE QUI per credere: non è una bufala!). Ma i ricchi emiri sauditi promettono – nella loro immensa generosità – di sostenere l’islamizzazione dell’Europa costruendo 200 moschee in Germania per il culto dei nuovi tedeschi musulmani.
Ora sì la Germania diventa un sogno paradisiaco: la Merkel promette casa e lavoro (“Assumete i profughi”!), mentre l’Arabia Saudita costruiscono moschee per tutti i gusti. Per quale motivo non bisognerebbe emigrare?
Nel frattempo, mentre il traffico ad est è furioso e forsennato, convulso ed affollato, da Ovest arriva un pellegrino. Non un migrante ma un pellegrino, uno che dalla guerra non scappa, ma che arriva in Europa per arruolarsi. Ma no! S’intenda bene: non in quella guerra irrazionale che vuol portare l’Islam sulla cima dell’Europa e del mondo imponendolo a suon di spade, di sciabole, di croci (quelle vere, non i nostri ciondoli portati senza consapevolezza né fede), di bombe afgane e armi chimiche.
pellegrino-in-cammino-santiagoturismo.com_Raúl (nome di fantasia, gli si conceda almeno questa cortesia) non desidera arruolarsi tra le file di Allah, il dio misericordioso che si sazia del sangue di infedeli massacrati; Raúl non vuol combattere per diffondere quell’invenzione straordinariamente popolare di Maometto, il profeta donnaiolo. Raúl vuol combattere quella battaglia spirituale che si chiama “Nuova Evangelizzazione”: tutt’altra storia. La sua preparazione sarà basata sui testi di filosofia e di teologia e non sulla memorizzazione meccanica dei versi coranici e delle norme suraniche. Il suo addestramento e la sua palestra saranno le parrocchie, le catechesi, le case delle famiglie, i poveri e i ricchi senza inutili e ideologiche distinzioni e non i campi di addestramento dei combattenti siriani; Raúl, si badi bene, non fugge dalla sua patria perché la sua nazione è un piccolo paradiso in terra: la chiamano la Svizzera centroamericana, un paese tranquillo e sicuro, prospero e centro di scambi commerciali e finanziari. Raúl viene dal Panama,  o meglio dal Panamá, un piccolo stato dal quale non c’è motivo di fuggire perché, al di là dei normali problemi di un paese centroamericano (in primis il netto divario tra ricchi e poveri), Panama resiste ancora al disastro socialista che ha invaso il sud del continente provocando danni irreparabili in molte zone. C’è sì povertà, anche miseria, ma ci sono possibilità, un sistema economico e politico che regge, le libertà personali sono rispettate, lo stato non impone nè il burca, nè il gender, non ci sono guerre, non c’è l’islam…
Raúl non fugge dunque da Panama per andare a rifugiarsi in Italia, perché in Italia non si vive meglio che nel suo paese. Anzi, il giovane panamense lascia il suo paese con un nodo al cuore, perché arruolarsi in questa missione significa seguire uno che “non sa dove posare il capo” e che invita a “non voltarsi indietro” perché “nessuno che abbia messo mano all’aratro e si volge indietro, è degno per il Regno dei Cieli”. Un bacio alla mamma, un abbraccio a papà (a Panama i maschi non si baciano, mai, neanche in famiglia!) e via in volo verso Porto San Giorgio, in qualche parte dell’Italia che ancora non ha ben identificato sulla mappa.
Gioia e dolore si mescolano nel cuore di Raúl che lascia la patria amata per partire verso il mondo. Perché quel paese bagnato dall’Adriatico è solo la prima tappa di un lungo viaggio che lo porterà “a tutte le parti” del mondo. Ad estrazione sarà inviato in qualche seminario missionario Redemptoris Mater per iniziare gli studi di filosofia e teologia, quella palestra che lo preparerà alla sua nuova missione di apostolo missionario, di pastore che offrirà la sua vita per salvare le pecore a lui affidate.
Ma il viaggio soffre un inaspettato arresto. Ad Amsterdam, nel cuore dell’Europa, Raúl viene identificato dalla polizia Olandese, viene fermato. Una sfilza di domande in inglese: dove vai? perché? chi ti manda? chi ti accompagna? Le autorità Olandesi telefonano a Panama, parlano con la madre. La donna spaventata, ha la voce tremante: “mio figlio vuol diventare sacerdote, viaggia in Italia, ha un incontro internazionale di giovani seminaristi”. Incongruenza: il visto da turista è ritenuto un offesa. Un’incongruenza imperdonabile per la polizia che decide respingere il sospettoso passeggero. Non può continuare, non ha i requisiti, mancano i motivi validi per entrare in Europa. Raúl, incredulo, riprende il suo passaporto nuovo di zecca stampato per l’occasione, fa dietro-front, si incammina per lo stesso corridoio che lo ha portato dall’aereo allo sportello doganale, scortato dalle guardie.
Chi lo vede potrebbe considerarlo pericoloso, forse un criminale, un fuggitivo, ricercato dalla polizia e finalmente trovato, intercettato durante la fuga. Lui, sguardo basso, confuso, non sa cos’altro pensare: “Sia fatta la tua volontà”. Torna a Panama, nella sua bella patria, in fondo aveva combattuto tanto con sé stesso prima di partire e di decidersi: lasciare tutto per seguire Dio in qualunque posto del mondo, non è mai stato semplice per nessuno, e Raúl – a differenza di altri – non voleva entrare ad ogni costo in Europa.
Ironia della Provvidenza Divina – perché, come dice Fabrice Hadjadj: “Dio è ebreo e dunque ha senso dell’umorismo” – l’estrazione tanto attesa è comunque avvenuta in contumacia, destinando quel giovane panamense al seminario di Namur, in Belgio, nel cuore di quell’Europa che, con una pedata, lo ha appena cacciato dal proprio continente come persona non gradita. Ora il visto si otterrà con calma e tutto sarà regolato nei minimi dettagli e nel rispetto delle leggi europee di migrazione (ne esisteranno ancora?). Avrà un visto da studente e tornerà a percorrere con più sicurezza, ma con la stessa emozione, quel corridoio che porta dall’aereo al controllo doganale.
E’ vero che Raúl non poteva godere di uno status di rifugiato, non fuggiva da una guerra, non era politicamente perseguitato da regimi teocratici basati sul terrore, proveniva da un “paese sicuro” dal quale non è lecito fuggire senza motivo. Ma è vero anche che Raúl è stato rispedito a casa perché faceva paura, più paura di quella che fanno i 150 milioni di musulmani dei quali probabilmente nessuno diventerà un “pastore che da la vita per le pecore”.
Se Dio vorrà diverrà prete cattolico e, con un calcolo approssimativo possiamo azzardare che lo diverrà nel 2025 quando in Belgio i musulmani supereranno di gran lunga i cattolici. A quel punto Père Raúl, ministro di una minoranza, avrà un piccolo gregge da guidare in mezzo a un mondo inginocchiato ad Allah: la sua missione sarà grande e pericolosa.
ipocritaSon tutte ipotesi sul futuro che i fatti odierni ci permettono di elaborare con margini di errore abbastanza ridotti. Ma il fatto ci conferma che l’Europa, ciò che vuol diventare, forse, lo ha già deciso. E anche se mettessimo in prima pagina le foto dello sconsolato Raúl, vittima di questa discriminazione e di questa contraddizione, nessuno, ma proprio nessuno, si impietosirà in questa ipocrita Europa.
                                                               ( DA TESTA DEL SERPENTE BLOG)

                                                                                                                                                              

lunedì 21 settembre 2015

IPER GLOBALIZZATI E SENZA FUTURO



Iper globalizzati e senza futuro

di  Marco Cedolin

Strano progresso quello intervenuto durante gli ultimi decenni, vissuti nell’illusione di essere diventati “cittadini del mondo”, mentre in realtà abbandonavamo ogni connotazione umana, per trasformarci prima in risorse e capitale e poi in esuberi, da smaltire in qualche maniera, possibilmente senza fare troppo rumore. Strano progresso quello arrivato melodioso attraverso le voci melliflue dei cantastorie, impegnati ad incensare le virtù taumaturgiche del libero commercio e della grande finanza, mentre “l’uomo comune” iniziava a morire, deprivato della propria identità e di ogni prospettiva di futuro.

Un progresso declinato nel verbo delle multinazionali e del gigantismo, dove piccolo è brutto per antonomasia, dove l’appartenenza e il senso di comunità sono piaghe da estirpare nel nome del mondialismo, dove le nazioni costituiscono il retaggio di un passato da dimenticare, ormai immolate sull’altare dei mercati, della finanza globale e di una piccola élite parassitaria che gestisce la vita di tutti noi, sempre che questo esercizio quotidiano di sopravvivenza possa definirsi vita. Ci hanno raccontato che sarebbe stato necessario rottamare istituzioni anacronistiche come lo stato e la famiglia, per entrare in un futuro radioso costituito da istituzioni transnazionali in grado di renderci liberi e felici. Che avremmo dovuto aprire le nostre frontiere alle importazioni, che quella della globalizzazione si sarebbe rivelata l’unica strada praticabile e oltretutto la migliore scelta possibile.

E tutti noi abbiamo accettato, obnubilati dal canto delle sirene mediatiche, spaventati dall’accusa di antimodernismo, plagiati da facili promesse che mai si sarebbero tradotte in realtà.

Abbiamo accettato un futuro privo di qualsiasi coordinata, dove l’iper-globalizzazione ci ha rubato ogni scampolo di umanità, dove perfino garantirsi il reddito necessario alla sopravvivenza sembra essere diventato un miraggio, dove una piccola casta transnazionale governa e gestisce tutto. Dall’economia alla politica, dall’informazione al mercato del lavoro, dalla cultura dominante alla gestione delle risorse. Le nazioni non sono ormai altro che gusci vuoti che si allungano su confini virtuali, all’interno dei quali arringa la folla un variopinto bestiario politico, interamente a libro paga del medesimo padrone. Il tenore di vita e le prospettive della popolazione continuano una caduta libera che sembra non avere fine, mentre ogni cosa si livella al ribasso, su scala sempre più globale.

Ci hanno raccontato per decenni che la globalizzazione sempre più spinta era parte integrante del progresso, non avremmo potuto stare meglio senza sradicare le nostre radici e avremmo dovuto farlo presto, perché nella modernità tutto corre veloce. Oggi siamo solamente una massa di “risorse” atomizzate, che corrono a perdifiato senza sapere dove andare, dal momento che nel mondo globalizzato non c’è più nessun posto in cui sentirsi a casa e nessuna famiglia con cui condividere qualcosa, ma solo un vuoto tanto assoluto quanto globale.


venerdì 18 settembre 2015

L’OSTETRICA DELL’ISIS

L’OSTETRICA DELL’ISIS




…Nel suo nuovo libro di rivelazioni “I File di WikiLeaks”, presentato in questi giorni alla Tv RT, il fondatore di WikiLeaks Julian Assange dedica un intero capitolo alla Siria con informazioni risalenti al 2006, quando ancora nessuno poteva immaginare che sarebbero esplose, di lì a poco, le Primavere Arabe.
Durante la trasmissione “Going Underground” di RT, Assange rivela il piano di Washington mirato a rovesciare il regime di Bashar al-Assad, programmato molto prima del 2011. Un piano contro il governo di Damasco che poco c’entra con l’apparente rivolta spontanea del popolo siriano….
Nulla di nuovo se non la riprova che la “democratica” America è la chiave di volta di manovre a dir poco scorrette per piegare la politica mondiale ai suoi interessi oppure, come in questo caso, a quelli dello stato sionista di Israele che aveva nella Siria di Assad uno dei suoi principali nemici ed antagonisti in medio oriente!
Perché, guarda caso, ogni volta che Israele ha un nemico, anche se esso vuole solamente difendere i diritti di un popolo dalle mire imperialiste di Israele che mira all’obiettivo espansionistico della “Grande Israele” ( come apertamente dichiarato in passato dai sui maggiori esponenti politici ) l’America democratica e pacifista si trova SEMPRE al suo fianco nel perseguire politiche di oppressione, di sterminio e di genocidio.
Vedi Palestina…!!
D’altronde è logico che in uno stato come l’America, dove solo il dio denaro conta ed ha valore, sia fortissima l’influenza politica di chi, come il sionismo, ha sul denaro un grande controllo..
Né la grande America guarda e si cura delle disastrose conseguenze come ha fatto in Iraq, come ha fatto in Afganistan, come ha fatto in Libia e come sta facendo in Siria dove la rivolta contro Assad si è servita degli estremismi tra sciti e sunniti ed ha fatto nascere il “Califfato dell’ISIS” che sta ora imperversando in tutto il mondo e che ha messo in pericolo la stessa Europa..!
Il che dimostra che oltre ad avere tanto pelo sullo stomaco gli americani sono pure un poco cretini dato che le conseguenze delle loro azioni sono spesso, alla lunga, negative anche per loro stessi..!!
Quanto poi ad Israele che in questo caso è stato l’ispiratore e l’istigatore, nemmeno tanto nascosto, di questa azione, ai sionisti non frega un cavolo del resto del mondo dato che loro sono “i prediletti da Dio”, sono “habram” e cioè “Uomini” mentre il resto dell’umanità è ”Goym” e cioè “animali”…!!!
Ad entrambi, America ed Israele, auguriamo di finire nello stesso modo in cui essi hanno fatto finire i loro nemici: distrutti per sempre..!!

Alessandro Mezzano
                                                                                                                        

giovedì 17 settembre 2015

RADIO TIRANAUNO...



Ci risiamo (anzi,non si è mai smesso) : non appena gli eventi della politica nazionale ed estera richiedono un sostegno mediatico,Radiouno corre in prima linea !!
Con la forza delle trasmissioni 24h,condotte generalmente da buoni "mestieranti",si martella la testa degli ascoltatori con un'informazione quasi esclusivamente di parte e molto,molto lacunosa...pur se subdolamente mascherata come "servizio pubblico" e pure "pluralista".
Sono io (e tanti altri) esagerato e fazioso ?  Sottopongo ai lettori queste mie considerazioni,poi decidano loro...
Dove entrano istituzioni e partiti (praticamente tutto)...ascoltate le trasmissioni che ospitano politici,opinionisti,economisti ed esperti vari...(sindacalisti compresi) : rappresentano "tutti" una qualche formazione politica sempre presente in parlamento o fanno riferimento a correnti e correntine varie che ambiscono ad entrarci !!
Peccato che,attualmente,quasi (o più) della metà degli italiani (me compreso) non votino !! Per decine di motivi diversi...ma non votano !! Piú che altro per  assoluta e crescente sfiducia nelle istituzioni e nei partiti...dico il falso ?
Ebbene,qualcuno ha mai sentito a Radiouno un qualunque ospite, intervistato su qualsivoglia tematica,dichiararsi "astensionista" o magari singolo rappresentante di questa decina di milioni di cittadini italiani ??
Io,mai...e voi ??
Come è possibile che un "servizio pubblico" ignori volontà,esigenze,aspettative di quanti non credono piú nella partitocrazia imperante (pure in Rai) ??
Possibilissimo,avviene "minuto per minuto" (mi perdonino gli ottimi,innocenti  conduttori di trasmissioni sportive e musicali fuori discussione)...basta seguire l'informazione per un paio di ore,poi balza evidente !
Idem,se addirittura non in maggior misura,per tutto ciò che è "Europa" comunitaria,quella di Bruxelles...che decide tutto su tutti,anche sui cetriolini !!
A fronte di un 60% di europei che non votiamo,più milioni di "euroscettici" che sono ostili alla UE,gli ineffabili conduttori delle varie trasmissioni ci presentano il regime UEista (tale sicuramente è per milioni di persone) come il paradiso in terra,la panacea di tutti i mali e l'unica speranza possibile per il futuro d'Europa.
Ospitando si,perché rappresentati in parlamento,pure "euroscettici" di casa nostra (cui non credo per nulla) ma rovesciando sui "populisti" nostrani ed esteri (che di UEismo non vogliono sentir parlare) tonnellate di offese ed insulti che vanno dallo "xenofobo" al "razzista" e pure "nazista"!!
Tutto,rigorosamente,senza alcun diritto di replica o rappresentanza....!!
Quanto sopra ancor più reso evidente da queste giornate di esodo di decine di migliaia di profughi,veri o presunti che siano.
Dimenticando (perché amici strettissimi ideologicamente) i muri eretti dagli Usa e da israele,Radiouno ha cavalcato,via inviati speciali,la caccia ad Orban ed alla Ungheria per la costruzione del muro (??) con interventi lacrimevoli e feroci nel sottolineare l'atteggiamento brutale e "nazista" del governo ungherese...
Qualcuno ha potuto ascoltare alla radio nazionale una sola intervista diretta all'ambasciatore,ad un ministro,ad un esponente di Jobbik (partito vituperato di estrema destra) o ad un solo difensore di Orban ?? Per i giornalisti Rai non esistono....questa la verità !!
La Siria e tutte le tragedie che la riguardano : chiamano tutti,esclusi i legittimi (anche per l'Onu,non solo per Putin) esponenti del governo siriano...mai uno qualunque di quanti,pur presenti,si spendono per Assad su internet...non a Damasco,qui in Italia e con nome e cognome.
Insomma,spero di aver reso l'idea :
RadioTiranauno trasmette sempre la stessa musica !! ...e non è balcanica


Grazie per l'attenzione.
Vincenzo Mannello 


                                                                                                                                               

domenica 13 settembre 2015

SIRIA: NON SOLO I PROFUGHI

SIRIA: NON SOLO I PROFUGHI

...sono il problema !!
Con l'immagine sconvolgente del piccolo Aylan tutti abbiamo avuto sbattuto in faccia il dramma dei profughi siriani in fuga dalle loro città e del loro peregrinare per mari e monti,destinazione Germania.
Le posizioni su questo dramma (unito a quelli di altre nazioni da dove si scappa pure per fame) sono piú o meno risapute da quanti leggono questa mia riflessione...uniscono o dividono l'opinione pubblica sull'onda delle emozioni e delle varie opinioni politiche di ciascuno di noi....e su questo,sorvolo.
Ritengo sia preminente porre l'attenzione su quanto accade in Siria e sui riflessi futuri di ciò che potrebbe accadere...,argomento che (generalmente) i media principali evitano di analizzare e sottoporre al loro (numericamente) grande pubblico.
Per non ingenerare timori piú che sacrosanti,visto il pericolo che realmente esiste di un cataclisma militare,politico e sociale di enormi proporzioni.
Oggi,in Siria,la situazione è questa : circa 1/5 del territorio è effettivamente sotto controllo dell'esercito governativo di Bashar al Assad,ma è la parte più popolosa della nazione..la piú produttiva (almeno lo era) e quella con le migliori infrastrutture industriali e sociali.
La capitale Damasco,patrimonio storico dell'umanità,è fortemente a rischio di cadere nelle mani dell'azione congiunta Isis-AlNusra-ribelli (che ne controllano alcuni sobborghi) qualora le linee di difesa governative cedessero.
Sarebbe una ecatombe di militari e civili,basti guardare cosa accade ad Aleppo (ex seconda città piú importante) dove i due fronti di scannano da anni per averne una minima idea.
Un'altra parte della Siria (ancora minore,ma pure densamente popolata) è controllata dal fronte eterogeneo AlNusra-ribelli,all'epoca armato e finanziato dagli Usa e dai paesi europei con la scusa delle "primavere arabe". Senza il determinante sostegno degli occidentali,dell'Arabia Saudita e degli Emirati sarebbe stato spazzato via già nel 2011 e non ci si ritroverebbe in questa situazione.
Sempre una consistente parte del territorio siriano (ai confini con Turchia ed Iraq) è sotto controllo dei Curdi,spesso alleati degli Assad,la cui fama di combattenti non abbisogna di delucidazioni.
Oggi combattono per la sopravvivenza contro l'Isis (e la Turchia).
Lo Stato Islamico,sorto e dilagato in soli tre anni,controlla gran parte della Siria,risorse energetiche comprese,però con territorio desertico e scarsamente popolato.
A parole,e con qualche bomba sganciata dagli aerei della #coalizionecrociata (con aggiunta di alleati musulmani),lo combatte tutto il mondo...nella realtà si amplia,si pompa (di petrolio e gas) e si prepara all'assalto finale.
So benissimo che,solo a leggere le righe soprastanti,già gira la testa...insomma,si capisce poco o nulla...io stesso faccio fatica a cercare di spiegare sintetizzando.
Uno sforzo ancora,per favore Ci si mette pure la religione a complicare tutto : sunniti  (tutti gli schieramenti anti Assad) contro sciiti,alauiti,cristiani e pure drusi e curdi (di fatto pro Assad).
Chi perde...rischia fisicamente di perdere tutto,compresa la testa...
Li lasciamo al loro destino ? Se la vedano tra di loro ?
Non è più possibile,non dovevamo interferire prima,nel 2011,per "esportare la democrazia" !! Non era bastato l'Iraq,neppure la recente Libia...dopo i guai creati laggiù dovevamo cacciare il "dittatore" Assad (peraltro eletto dal suo popolo)...oggi ci ritroviamo con 5 milioni di profughi siriani che vogliono venire in Europa,con destinazione Germania e Svezia !!
Finito ? Quando mai,il peggio deve ancora venire...se cade Assad !!
Damasco e tutta la fascia costiera,abitate da alauiti,sciiti,cristiani e drusi diverrebbe un lago di sangue...presto l'Isis prevarrebbe sui mercenari AlNusra-ribelli e ci ritroveremmo con il Califfo Al Baghdadi più potente del mitico Saladino.
Pensate alla Siria all'Iraq,alla Libia,al Sudan,alla  Nigeria e magari al rischio Egitto e vedrete che prospettiva...
Nel contempo,mentre scrivo,cosa accade ?
Israele,bontà sua,bombarda a Zabadani le truppe di Assad per appoggiare gli "amici" di AlNusra...
Francia ed Inghilterra,come contro Gheddafi,vogliono cacciare il "malvagio" Assad.
BombObama...pure,però giura di combattere (???) l'Isis.
L'Iran,capito di essere il prossimo bersaglio dello Stato Islamico (e degli occidentali) ha già truppe iraniane ed alleati (Hezbollah) sul terreno.
Putin,che fesso non è, ha compreso che il Califfo spingerebbe il proprio interesse pure in Cecenia e dentro la Federazione russa...e sta inviando armi e (forse) truppe di terra a Tartus (base navale russa in Siria).
Come finirà ?? Figurati se posso saperlo io ma credo proprio che finirà male !!

Grazie per l'attenzione.
Vincenzo Mannello
                                                                                                                                  

sabato 12 settembre 2015

Legge islamica in mano ai califfati?




 GEOPOLITICA 2015 

Legge islamica in mano ai califfati?

di Giovanna Canzano

intervista a Daniele Scalea
2 marzo 2015

"Una delle conseguenze del "Quarantotto Arabo" è il fallimento dell'Islam Politico "moderato", disposto ad accettare il processo elettorale e, almeno per ora, i diritti delle minoranze.
Gli islamisti, disillusi sulle possibilità di arrivare al potere democraticamente, si sono riversati in massa in opzioni radicali, intransigenti e insurrezionali come Daish". (Daniele Scalea)

Canzano 1- Dalla Primavera Araba, ai disordini in Egitto di questi giorni.

SCALEA – La "Primavera Araba" è stato un movimento storico che, apparentemente, avrebbe scalzato i vecchi regimi nazionalisti e laici, ormai privi dello slancio dei primi decenni del dopoguerra, a vantaggio di nuove realtà d'ispirazione religiosa, per lo più legate ai Fratelli Musulmani. Nei primi mesi delle rivolte, quindi nel pieno degli eventi, pubblicai un piccolo libro sul tema. Tra gli scenari futuri ipotizzati, c'era quello di un "Quarantotto arabo": esattamente come l'analogo europeo, la spinta politica emergente, dopo i successi iniziali, sarebbe stata soffocata. E' quel che è successo, con l'Arabia Saudita a giocare il ruolo che fu della Russia zarista. Ciò non significa che l'Islam Politico non tornerà a bussare alla porta del potere, presto o tardi.

Canzano 2- La Libia del dopo Gheddafi è diventato un terreno dove non c’è legge e tutto il territorio è in un continuo caos.

SCALEA – La Libia era un paese artificiale, un castello di carte in delicato equilibrio che Gheddafi, pur con tutti i suoi difetti, sapeva mantenere, garantendo standard di vita ineguagliati in Africa. Francia, GB e USA hanno voluto distruggere quell'equilibrio e, ciò ch'è peggio, una volta che l'hanno fatto si sono subito disimpegnati, accontentandosi di qualche contratto petrolifero. Il risultato è quello sotto gli occhi di tutti.

Canzano 3- La legge islamica in mano ai califfati?

SCALEA – Una delle conseguenze del "Quarantotto Arabo" è il fallimento dell'Islam Politico "moderato", disposto ad accettare il processo elettorale e, almeno per ora, i diritti delle minoranze. Gli islamisti, disillusi sulle possibilità di arrivare al potere democraticamente, si sono riversati in massa in opzioni radicali, intransigenti e insurrezionali come Daish.

Canzano 4- I Paesi Arabi in guerra solo per questioni economici?

SCALEA – No, credo che in questo caso contino molto di più politica e ideologia. L'Egitto combatte in Libia per non avere un paese vicino sotto l'influenza dei Fratelli Musulmani odiati da al-Sisi. L'Arabia Saudita impegna ovunque i suoi petrodollari per ribattere l'influenza di Turchia e Iran, e anche del Qatar che, pur essendo wahhabita come lei, ha strategie e interlocutori diversi sullo scacchiere regionale.


Daniele Scalea è Direttore Generale dell'Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG), Condirettore di "Geopolitica", Cultore di Geografia Politica ed Economica all'Università Sapienza di Roma, Blogger per "L'Huffington Post". Autori di alcuni libri e svariati articoli su temi storici e geopolitici, è frequente commentatore dei fatti internazionali, apparso tra gli altri su Rai 1, Rai 3, Radio Rai 1, Radio Rai 3, ADN Kronos, Class News CNBC, L'Indro, Il Secolo d'Italia, La Voce della Russia, IRIB, IRNA

11/05/2015