Il salvataggio della finanza americana sulle spalle dell’intero pianeta
di Salvo Ardizzone
La crisi che ha dilaniato e dilania il
mondo è nata negli Usa, è cosa universalmente nota; lo è meno il fatto
che Wall Street, che ne è all’origine, ne abbia fatto pagare l’intero
prezzo al resto dell’umanità e si sia arricchita sfacciatamente sui
disastri causati dalla sua sfrenata avidità. Ma andiamo con ordine.
Nel 2008, lo scoppio della bolla
speculativa dei mutui subprime, unito alle folli spese generate dalle
guerre scellerate dell’era Bush, avevano fatto preconizzare a molti un
tramonto del predominio del dollaro e dell’economia statunitense sul
globo; una logica considerazione a guardare i dati spaventosi di quei
giorni, che però non teneva conto dei fattori geopolitici.
Una moneta non conta soltanto per la
forza dell’economia che ha dietro e che rappresenta, ma anche (e in
questo caso diremmo soprattutto) per la forza politica e militare che la
sorregge e per l’influenza sulla finanza degli altri Paesi. Gli Usa (e
ancor più Wall Street) questo lo sanno benissimo da sempre, ed è per
questo che puntualmente si sono affidati allo Stato o alla guerra per
rilanciare la propria economia ogni volta che s’è trovata in difficoltà,
senza curarsi minimamente dei paurosi deficit di bilancio che ne
venivano perché li avrebbero scaricati su altri.
Anche nel 2008, mentre i governi della
Ue a rimorchio delle chiuse visioni di Berlino si affidavano a politiche
rigoriste suicide, la Federal Reserve (Fed) guidata da Ben Bernanke,
lanciava tre successivi programmi di acquisito di titoli di stato
(Quantitative Easing) che in pochi anni hanno dilatato il suo bilancio
da 850 a 4.500 Mld di $. Secondo il calcolo fatto a Washington, Cina,
Giappone e le principali economie del G20 (Brasile, India e così via),
terrorizzate dal deprezzamento del dollaro, ne avrebbero fatto incetta
sui mercati insieme ai T–Bonds emessi dalla Fed. Se non lo avessero
sostenuto, le loro monete si sarebbero rivalutate su di esso, rendendo
le loro attività (basate sulla vendita di materie prime e di manufatti,
Giappone escluso, di scarsa qualità e basso prezzo) assai meno
appetibili; inoltre, un dollaro in caduta libera avrebbe falcidiato le
loro riserve monetarie basate appunto sul biglietto verde.
Il risultato è stato che, mentre la
crisi finanziaria demoliva la Ue e Giappone e Cina si svenavano per
rafforzare la valuta americana, fra il 2009 e il 2013 negli Stati Uniti
si riversavano 2.510 Mld di $, praticamente lo stesso volume di moneta
messo in circolazione nelle prime due fasi del Quantitative Easing della
Fed, 2.600 Mld. Nella sostanza Washington non ha speso un soldo per
rivitalizzare la sua economia, lasciando che economie avanzate e nazioni
emergenti facessero a gara per sostenerla: il Giappone ha acquistato
T–Bonds per 556 Mld, la Cina per 543; il Brasile per 129 e così via. E
vista la crescente richiesta, questo finanziamento è avvenuto a
interessi sempre più bassi, passando dal 4% pre crisi, all’1,5% nel
pieno del ciclone.
La Cina stessa, che un colosso economico
ormai lo è, è stata costretta ad abbozzare: fra il 2013 e il 2014 ha
provato a ridurre la montagna di debito statunitense che detiene, ma è
stata una manovra di facciata, perché ha continuato a rastrellarne
tramite il governo belga che è arrivato a detenerne una cifra mostruosa
pari al 70% del proprio Pil (350 Mld). Anche Pechino è in trappola: se
cade il dollaro, gli effetti per la sua economia, che attraversa un
passaggio delicato, sarebbero devastanti.
In questo modo la Fed può infischiarsene
della montagna stratosferica del suo debito, schizzato oltre i 17mila
miliardi, una cifra che mai e poi mai potrà rimborsare; allo stato dei
fatti sono gli altri a farsene carico, e più aumenta più sono costretti a
farlo. Resta il fatto amaro che Nazioni con reddito pro capite assai
basso debbono finanziare, in cambio d’interessi quasi nulli, gli enormi
guadagni di Wall Street.
E qui veniamo alla seconda parte del
discorso: sarebbe comunque colpevole scaricare sugli altri Stati i
propri errori, ma almeno sarebbe comprensibile; si tratterebbe di
egoismo, spudorato cinismo, fate voi, se servisse a garantire il livello
di vita dei propri cittadini; ma ciò che è accaduto e accade è assai
peggio, è un crimine doppiamente odioso, che per sovrappiù è servito da
giustificazione a molti altri.
La Fed è la banca centrale più potente
al mondo; teoricamente, e sottolineiamo il termine, dovrebbe essere
indipendente dal Congresso, dalla Casa Bianca e soprattutto dalle
istituzioni bancarie e finanziarie che è chiamata a governare.
Semplificando al massimo, il suo ruolo dovrebbe (ancora il condizionale)
essere quello di vigilare sulla moneta e sostenere unicamente le grandi
banche tradizionali, senza avvicinarsi alle istituzioni finanziarie che
campano sulla speculazione e hanno caratteristiche e requisiti diversi.
Durante la crisi del 2008/2009,
tuttavia, essa ha concesso oltre 16mila Mld di prestiti a bassi tassi
d’interesse a ogni tipo di struttura finanziaria, spazzando via ogni
distinzione e mostrandosi tutto fuorché indipendente dalle istituzioni
che foraggiava così largamente. Al contrario, s’è sistematicamente
rifiutata di sostenere le piccole banche (quelle che reggono l’economia
reale) e d’intraprendere qualsiasi misura a favore delle piccole e medie
imprese e dei governi locali (costretti a tagli dolorosi e
licenziamenti di massa), trincerandosi dietro gli stessi limiti
regolamentari che infrangeva regolarmente per favorire i Big. Insomma:
ha coperto di denaro Wall Street (che il danno l’aveva fatto)
disinteressandosi completamente di Main Street, della gente comune che è
stata scientemente abbandonata.
La giustificazione ufficiale della
scelta che ha sommerso di dollari le grandi banche e le strutture
finanziarie più importanti è stata che, a cascata, quel denaro immesso
nel sistema sarebbe sceso fino all’economia reale che boccheggiava.
Peccato sia accaduto proprio il contrario: banche d’affari, hedge found e
ogni altra istituzione di Wall Street si sono riempiti all’inverosimile
di denaro a basso costo, scatenandosi nella speculazione con le spalle
coperte dalla Fed in caso di ulteriori perdite.
Di qui sono partite le ondate
speculative che hanno messo in crisi il debito sovrano della Ue
(soprattutto di Grecia, Spagna e Italia) e quando la Bce e il Fmi sono
intervenuti per evitare il disastro, sono passate all’incasso di
guadagni inimmaginabili. Goldman Sachs ha addirittura speculato sul
debito greco, che lei stessa aveva nascosto ai tempi dei governi di
centro destra attraverso operazioni finanziarie, facendone schizzare al
cielo gli interessi; poi, insieme J. P. Morgan ed altre grandi banche,
ha costituito fondi infrastrutturali per acquistare in Europa le
attività statali svendute dai governi per fare cassa con le
privatizzazioni imposte dagli ottusi rigoristi di Berlino; il tutto
grazie ai fiumi di denaro della Fed che a questo venivano destinati,
mentre disoccupati e homeless riempivano strade e periferie.
In questo modo la crisi è stata un
business senza precedenti per il famoso “un per cento” della
popolazione, sulle spalle del resto della società; i milionari sono
aumentati a dismisura insieme a un Pil bugiardo che ha ripreso a correre
insieme alla povertà che ha inghiottito milioni di famiglie con
l’esplosione delle più abiette diseguaglianze.
Perché la Fed ha fatto questa scelta,
correndo in soccorso delle istituzioni che avevano determinato il
disastro e coprendole mentre continuavano il saccheggio alle spalle
della società americana e del mondo intero?
Secondo le dichiarazioni ufficiali, essa
ha compiuto una scelta tecnica imparziale e autonoma, ma se solo si
guarda agli organigrammi ci si accorge che, seguendo un’antica
consuetudine, Ben Bernake, Janet Yellen chiamata a succedergli e la
stragrande maggioranza dei più alti rappresentanti della Fed e degli
organismi di controllo provengono da Wall Street e dalle istituzioni
finanziarie più importanti, con cui continuano a coltivare stretti
rapporti.
Per fare un unico esempio fra i
tantissimi, Jamie Dimon, Presidente di J.P. Morgan, era a capo della Fed
di New York quando la sua banca non solo veniva esentata dai requisiti
sul capitale, ma riceveva 29 Mld per acquisire Bear Stearns, zeppa di
titoli tossici, il cui rischio veniva accollato alla Fed. Per dirla con
Timothy Canova: “Un pollaio gestito dalle volpi”.
In questo modo, un sistema corporativo,
separato dal resto della società e refrattario alle esigenze e agli
interessi della massa della popolazione, ha gestito somme enormi nel
proprio esclusivo interesse. In questo modo, piegando norme e
regolamenti a piacimento, e al riparo da ogni controllo, un ristretto
numero di soggetti prima ha messo in crisi l’intero pianeta con le più
assurde operazioni finanziarie dettate solo dall’avidità, poi ha lucrato
somme incredibili grazie al disastro che aveva causato. E mentre a Wall
Street si brindava per la pioggia di miliardi che la ricopriva, il
mondo si riempiva di disoccupati, le famiglie finivano nella povertà, le
aziende fallivano.
Benvenuti nel paradiso del liberismo.
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