GLI ORRORI SENZA FINE DELLA " RESISTENZA PARTIGIANA "
Di Gianfredo
Ruggiero
Ogni anno, con
l’approssimarsi del 25 aprile, si susseguono a ritmo incalzante le rievocazioni
della guerra di liberazione.
E’ un crescendo di
manifestazioni, convegni e interventi per celebrare degnamente il sacrificio
dei partigiani e di quanti si immolarono per riportare in Italia libertà e
democrazia.
Le piazze si tingono di
rosso e i ricordi della barbarie nazifascista riaffiorano alla mente.
Tutto bene tranne che…
Dei "crimini fascisti"
oramai sappiamo tutto o quasi, ma cosa sappiamo del lato oscuro della
resistenza, quello fatto di processi sommari, fucilazioni, fosse comuni e
soldati uccisi sui letti di ospedale o prelevati dalle prigioni e freddati con
un colpo alla nuca, di violenze e stupri ai danni delle ausiliarie e delle
donne fasciste? Poco, molto poco.
E delle motivazioni,
non sempre nobili, che hanno portato i partigiani a coprirsi il volto e a
imbracciare il fucile cosa ci è fatto sapere? Praticamente nulla.
Conosciamo tutti la
triste vicenda dei 7 fratelli Cervi uccisi dai fascisti (è stato perfino tratto
un film), ma quanti conoscono l’altrettanto dolorosa storia dei 7 fratelli
Govoni, tra cui una donna, assassinati dai partigiani perché uno di essi
vestiva la camicia nera?
Si ricordano
giustamente le 365 vittime della strage nazista delle Fosse Ardeatine, mentre è
stata rimossa dalla storia un’altra orribile strage, quella di Oderzo dove, a
guerra finita, 598 tra allievi ufficiali e soldati della Guardia Nazionale
Repubblicana furono fucilati dai partigiani e gettati nel Piave dopo la loro
resa. Si celebra la strage nazista di Marzabotto, ma si dimentica la strage
partigiana di Schio….Di vicende come queste la storia, quella vera, ne è piena.
Non è mia intenzione
fare la macabra contabilità dei morti o stabilire chi maggiormente si macchiò
le mani di sangue innocente, ma solo contribuire a sollevare quel velo di
omertà che copre le malefatte dei vincitori e questo non per spirito di
rivalsa, ma solo per amore di verità, perché solo riconoscendo gli errori del
passato possiamo evitare di ripeterli in futuro (1).
Messi con le spalle al
muro i sostenitori della mitologia partigiana, dopo aver negato per
sessant’anni i crimini della loro parte, ora ammettono, a bassa voce e con
evidente imbarazzo, che“in effetti qualche
errore e qualche eccesso effettivamente ci furono, però…”
...e qui incomincia la
solita stucchevole tesi di comodo secondo cui da una parte, quella partigiana,
c’era chi combatteva per la libertà, mentre dall’altra parte c’erano i
sostenitori della tirannide nazifascista. Quindi, secondo loro, quei crimini
sono pienamente giustificati dal presunto nobile fine.
Se dovesse prevalere
questa logica qualunque crimine, anche il più efferato, sarebbe giustificato,
basta inventarsi una motivazione più o meno plausibile, tanto a renderla
credibile ci pensa la “libera stampa” e l’autocensura degli “storici” che per
puro conformismo tacciono.
Per motivi anagrafici
non ho conosciuto il Fascismo e anch’io, come la maggior parte degli italiani,
sono cresciuto a pane e resistenza avendo appreso la storia in maniera
superficiale dai libri di testo, dai programmi televisivi e attraverso la
cinematografia imperniata sui soliti luoghi comuni che vede i cattivi da una
parte e i buoni dall’altra.
Solo che non mi sono
accontentato della verità ufficiale e ho voluto approfondire le mie conoscenze.
Il risultato è stato
che mentre colmavo i miei vuoti i dubbi aumentavano. Dubbi che a tutt’oggi
nessuno è stato in grado di sciogliermi.
(
Bimbo dilaniato da una bomba partigiana nell' attentato di Via Rasella a
Roma. su di lui non piange il presidente della repubblica " nata dalla
resistenza " )
Il primo dubbio
riguarda la definizione dei partigiani quali”patrioti e combattenti
per la libertà”..
Il movimento partigiano
pur essendo estremamente variegato(2) – e al suo interno profondamente
diviso(3) – era militarmente e, soprattutto, politicamente egemonizzato dal
Partito Comunista Italiano, all’epoca diretta emanazione della Russia Sovietica
da cui prendeva ordine (e denari) tramite Togliatti, stretto collaboratore di
Stalin, che infatti viveva in Russia.
Obiettivo dichiarato di
questi partigiani era quello di instaurare la dittatura del proletariato e fare
dell’Italia, una volta sconfitto il fascismo, uno stato comunista satellite
dell’Unione Sovietica.
Non si capisce quindi
su quale base logica e storica i partigiani si possano definire tout court
patrioti e combattenti per la libertà.
Se l’Italia è oggi una
Repubblica “democratica” (sul concetto di democrazia, altro grande equivoco,
torneremo) non è certo per merito dei partigiani, ma in virtù della divisione
del mondo in due blocchi contrapposti decretata a Yalta nel ’45, da cui scaturì
la nostra collocazione nel campo occidentale e la conseguente dipendenza
americana.
Il contributo dei
partigiani alla sconfitta tedesca fu, infatti, del tutto marginale se lo
rapportiamo all’enorme potenziale bellico messo in campo dagli alleati. Le fila
partigiane s’ingrossavano man mano che l’esercito tedesco si ritirava sotto
l’incalzare degli angloamericani.
Gli stessi americani
avevano di loro una scarsa considerazione e li tolleravano solo perché facevano
per loro il lavoro sporco come assassinare i gerarchi fascisti e fare attentati
dinamitardi per suscitare la rappresaglia tedesca che fu quasi sempre spietata
e spropositata(4).
Cosa ci sia poi di
nobile e di coraggioso nell’uccidere alle spalle un uomo in divisa e poi
scappare a gambe levate, come facevano i partigiani di cui ancora oggi si
vantano, non lo capirò mai.
Il 25 aprile del ‘45
Mussolini era a Milano e solo dopo la sua partenza per trovare la morte a Dongo
il capoluogo lombardo fu “liberato” dai partigiani che, con le spalle coperte
dalle truppe americane, si abbandonarono ad una vera e propria orgia di sangue
contro i fascisti o presunti tali, compresi i loro familiari.
Come testimoniano le
lapidi al Campo 10 del Cimitero Maggiore di Milano che raccoglie le spoglie dei
fascisti (di quelle che si riuscì a recuperare, oltre un migliaio) molti dei
quali barbaramente assassinati o fucilati ben oltre il 25 aprile e dopo che ebbero
deposto le armi.
Il canale Villoresi era rosso del sangue delle
vittimemi disse un vecchio
fascista scampato alla mattanza.
Lo stesso discorso
riguarda la Russia di Stalin la quale contribuì in maniera determinante alla
sconfitta della Germania nazista, pagando per questo un pesante tributo di
sangue, ma al solo scopo di estendere il suo dominio su tutto l’est europeo e
non certo per portare in quelle sciagurate terre democrazia e libertà.
Non dimentichiamoci poi
che l’Unione Sovietica fu alleata della Germania nazista fino al 1941(5) con la
quale si spartì la Polonia due anni prima.
Particolare importante
che la storiografia ufficiale nasconde – perché farebbe smontare in un sol
colpo la tesi di comodo della “lotta della democrazia contro la tirannide” –
riguarda la dichiarazione di guerra di Francia e Inghilterra all’indomani
dell’invasione tedesca della Polonia: fu dichiarata alla Germania, ma non alla
Russia pur avendo anch’essa attaccato la Polonia alcuni giorni dopo alle
spalle, da est. Perché? Evidentemente la Polonia fu solo un pretesto per
muovere guerra alla Germania, mentre Stalin, che dopo la Polonia si apprestava
ad invadere la Finlandia e ad annettersi le deboli Repubbliche Baltiche con
l’assenso occidentale, era considerato già da allora un prezioso alleato, ben
sapendo che questi era uno spietato dittatore, che con le sue “purghe” aveva
massacrato, deportato nella gelida Siberia e ridotto alla fame milioni di
russi, molti dei quali ebrei, definiti “nemici della rivoluzione” (ma questo evidentemente
alle democrazie occidentali, America in testa, poco importava).
Il secondo dubbio
riguarda la definizione di“guerra di liberazione”,
quando invece fu una classica e tragica guerra civile. I fascisti non venivano
da Marte, erano italiani come italiani erano i partigiani. In quei lunghissimi
18 mesi la guerra non risparmiò nessuno, attraversò le famiglie e divise i
fratelli.
La guerra è una realtà
tragica e quella civile lo è ancor di più, in queste circostanze gli uomini
tendono a perdere la loro dimensione umana per accostarsi a quella bestiale,
per cui o stendiamo un pietoso velo e consideriamo tutti i morti uguali e
rispettiamo gli ideali che animarono le loro azioni giusti o sbagliati che
possano apparire, oppure la storia la raccontiamo tutta e per intero, senza
reticenze e convenienze politiche.
Altro grande equivoco
riguarda la presunta invasione nazista dell’Italia: tedeschi non invasero
l’Italia, c’erano già.
Dopo la caduta di
Mussolini, avvenuta il 25 luglio 1943, il governo Badoglio chiese aiuto all’alleato tedesco per
contrastare gli anglo americani che nel frattempo erano sbarcati in Sicilia(6).
I soldati italiani e
tedeschi si ritrovarono, quindi, a combattere spalla a spalla contro l’invasore
americano fino all’8 settembre ’43, quando il Re e Badoglio, con estrema
disinvoltura e lasciando allo sbando il nostro esercito, passarono armi e
bagagli dalla parte del nemico, scatenando l’ira di Hitler.
Solo la nascita della
Repubblica Sociale Italiana e la ricostituzione di un esercito lealista cui
aderirono, secondo uno studio di Silvio Bertoldi(7) e confermati dai libri
matricola, in seicentomila (quanti fossero i partigiani è invece ancora oggi un
mistero), frenò i propositi vendicativi di Hitler che aveva previsto il totale
smantellamento e trasferimento in Germania del nostro apparato industriale, la
deportazione nei campi di lavoro e nelle fabbriche tedesche di tutti gli uomini
che si fossero rifiutati di arruolarsi nella Wehrmacht e chissà cos’altro.
Le motivazione che
spinsero tanti giovani ad entrare nel neo costituito Esercito Fascista
Repubblicano furono diverse e non sempre nobili (come spesso accade in questi
casi): il rischio di fucilazione per i renitenti alla leva, l’intento di molti
militari deportati nei campi di concentramento in Germania di tornare in Italia
per poi disertare, la paga e la voglia di protagonismo.
Vi aderirono anche fior
di criminali(8), ma la stragrande maggioranza di essi lo fece per riscattare
l’onore perduto e per sottrarre l’Italia alla vendetta hitleriana.
Questi giovani, uomini
e donne, potevano al pari di molti loro coetanei, aspettare in qualche luogo
sicuro che la tempesta passasse, oppure andare con i partigiani le cui fila
s’ingrossavano man mano che i tedeschi si ritiravano e la vittoria alleata si
approssimava. Potevano, ma non lo fecero.
Preferirono continuare
a combattere, in divisa e a volto scoperto, per quel senso dell’onore che oggi,
in epoca di consumismo e individualismo, si fatica a comprendere, consapevoli
che le sorti del conflitto erano segnate e che difficilmente ne sarebbero
usciti indenni.
( Orrori partigiani : una fossa comune nel " triangolo della morte " in Emilia Romagna )
Furono migliaia e
migliaia in tutta Italia i soldati fascisti fucilati dopo la loro resa o
condannati a morte dopo processi sommari, come ampiamente documentato nei libri
di Gianpaolo Pansa, di Giorgio Pisanò e di Lodovico Ellena (solo per citarne
alcuni).
Un capitolo a parte lo
meritano le ausiliarie, giovani e giovanissimi donne, tutte volontarie. Il loro
tributo di sangue fu altissimo, catturate dai partigiani venivano spesso
stuprate e uccise.
A guerra finita molte
di loro, rapate a zero e spesso denudate, furono costrette a passare su carri
bestiame tra ali di folla aizzata, sottoposte a insulti e angherie di ogni
genere(9).
Il terzo dubbio riguarda la modalità di lotta
dei partigiani.
Mentre i fascisti come
abbiamo visto combattevano in divisa e a volto scoperto, inquadrati nelle
divisioni dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana o nelle varie milizie
volontarie i partigiani, invece, pur potendo anch’essi vestire una divisa – essendo
armati e finanziati dagli americani(10) – e pur potendo combattere
nell’esercito italiano di Badoglio secondo le regole di guerra, preferirono il
passamontagna, i soprannomi e la tecnica del mordi e fuggi a base di attentati,
sabotaggi e omicidi alle spalle. Tecnica sicuramente meno rischiosa per loro,
ma devastante negli effetti.
Il fine era infatti
quello di scatenare la rappresaglia tedesca e creare i presupposti per quella
guerra civile, poi eufemisticamente definita di “liberazione”, le cui ferite
sono ancora oggi aperte e mai si rimargineranno fino a quando la storia, quella
vera, non sarà finalmente alla portata di tutti.
Germania e Giappone,
anch’esse devastate dal conflitto, non subirono il dramma della guerra civile
perché, spiace dirlo, non vi furono quei fenomeni di opportunismo e di
asservimento al vincitore che in Italia diedero origine al movimento
partigiano.
Rispetto profondamente
quegli antifascisti che furono tali durante il regime e pagarono in prima
persona per le loro idee, meno, molto meno coloro che cambiarono casacca il
giorno dopo la caduta del Duce dopo averlo osannato per anni.
Sono questi i dubbi su
cui mi piacerebbe si sviluppasse un sereno dibattito, scevro da pregiudizi
ideologici e senza reticenze, finalizzato a capire la storia e non solo a
celebrarla, come purtroppo avviene da settant’anni.
Gianfredo Ruggiero, presidente del Circolo
Culturale Excalibur – Varese
Note
(1) Anche se dando un sguardo al mondo e
vedendo le violenza e le guerre che lo attraversano mi pare che gli
insegnamenti del passato non siano tenuti in grande considerazione.
(2) Vi erano i partigiani bianchi di estrazione
cattolica e legati alla nascente Democrazia Cristiana, i partigiani di Edgardo
Sogno di tendenza liberali e di sentimenti monarchici, gli azionisti ed infine
i partigiani comunisti, la stragrande maggioranza, legati a Mosca.
(3) Vedi la strage dei 17 partigiani cattolici
della brigata Osoppo avvenuta a Porzus fra il 7 e il 18 febbraio 1945 ad opera
di partigiani comunisti.
(4) Come accadde con le Fosse Ardeatine
conseguenza della bomba partigiana di Via Rasella che fece strage di riservisti
tedeschi e scempio di una donna italiana con suo bambino.
(5) Patto Rippentrop-Molotov.
(6) I governo Badoglio, per bocca del Generale
Ambrosio capo di stato maggiore generale, chiese ai tedeschi, il 6 agosto del
1943 a Tarvisio, 16 divisioni per rafforzare il fronte del sud.
(7) “Soldati a Salò” ed. Rizzoli, Milano 1995.
(8) Casi tipici furono la famigerata Villa Triste
di Milano, gestita da quel malvivente di Koh, e i criminali della banda di
Mario Carità a Firenze, tutti delinquenti che si ritenevano fascisti solo
perché indossavano la camicia nera.
(9) «Tra i fascisti catturati, erano le donne a
suscitare gli istinti peggiori. Prima di tutto perché erano donne, e poi perché
avevano ‘osato’ vestire una divisa e schierarsi con Mussolini. Anche loro
andavano punite, e per una donna la punizione più pesante, e insieme l’offesa
peggiore, era lo stupro» . Giuseppe Ravasio “Ausiliarie nella RSI. 1944-1945
“Greco & Greco Editori. – Luciano
Garibaldi “Le soldatesse di Mussolini. Memoriale inedito di Piera Gatteschi
Fondelli “- MURSIA, Milano, 1995.
(10) Ferruccio Parri, esponente partigiano e
Presidente del Consiglio dei Ministri subito dopo la fine della guerra, afferma
testualmente: «senza i soldi versati dagli angloamericani, il C.L.N.A.I.
(Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) avrebbe dovuto pressappoco chiudere
bottega.
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