IL
FASCISMO E LA LIBERTA'
di Franco Franchi
Il Fascismo fu anche libertà. Non
piena, non totale come in un sistema occidentale: ma piena per
chi volle conservarla, difenderla e praticarla con il coraggio
della dignità. Così garantiscono le eccezionali testimonianze di
Benedetto Croce e Francesco Flora, i nostri grandi
(antifascisti) della filosofia e della letteratura.
La "dittatura" fascista è fondata
sul consenso delle masse, palese, convinto, a volte gridato con
entusiasmo, e porta ad una conclusione difficilmente negabile:
Mussolini non usava i metodi tradizionali della democrazia per
rilevare il consenso popolare sulla politica del proprio
governo, ma poneva pur sempre il consenso, comunque raccolto o
individuato, alla base delle decisioni fondamentali, fuorché
all'interno del Parlamento dove venivano rispettate - al di là
del metodo elettorale - anche le forme della democrazia, sia
pure in un diverso rapporto costituzionale tra Governo e
Parlamento, più efficiente e più adeguato alla nuova velocità
della politica: il rapporto di cooperazione delle Camere con il
Governo per la formazione delle leggi. I tempi esasperanti della
democrazia prefascista vengono travolti dai nuovi movimenti
culturali e politici che hanno raccolto l'esigenza di dinamismo
impressa alla vita delle società europee dalla prima guerra
mondiale. Tutto è trasformato dall'immane conflitto e, al
bisogno di dare risposte immediate ai nuovi problemi sotto
l'incalzare della scienza, della tecnologia, delle
rivoluzionarie invenzioni come la radio che porta la
comunicazione al cosiddetto "tempo reale", può ben essere
sacrificata qualche formalità della vecchia democrazia, per
altro squalificata dall'inefficienza. Ma Mussolini non rompe mai
con il principio di democrazia, tanto che definirà il Fascismo
una "democrazia organica", ma ne inventa una nuova fondata sul
consenso sostanziale che si avvicina alle antiche forme della
democrazia diretta. È vero che l'esercizio della democrazia
diretta è più adeguato alla città-stato, con il popolo-corpo
elettorale convocato in piazza, ma l'avvento della radio,
la creazione di impianti sempre più potenti, la capillare
distribuzione degli apparecchi riceventi, la diffusione della
stampa trasformano lo Stato in una grande, unica piazza
dove simultaneamente arriva la voce del governo e il governo
raccoglie le reazioni del popolo. Non ci sono "garanti", ma la
garanzia c'è ed è insita nella cultura del dovere dei governanti
e, soprattutto, nella volontà di un Capo che vuole governare con
il consenso, che controlla tutto l'apparato statuale, anche il
rispetto dell'orario di lavoro nei ministeri.1
Al tempo stesso la dottrina elabora
la moderna tesi costituzionale della "elezione come designazione
di capacità". La vecchia democrazia prefascista, infatti, anche
nella piatta restaurazione operata dopo il secondo conflitto
mondiale, non ha mai garantito l'effettiva capacità dell'eletto
rispetto alle funzioni pubbliche cui è chiamato: ossequio ad una
forma che si esaurisce nell'apparenza, ma con violazione di una
sostanza che si traduce in danno per la società. Ma se nel
Fascismo permane questo principio democratico del consenso, pur
discutibilmente interpretato, vi permane di conseguenza il
principio fondamentale della libertà. Ora, però, la libertà si
afferma a fianco dell'altro elemento fondante: l'autorità, che
trova il massimo riferimento nell'ordine, nella Nazione, sintesi
di tutti i particolari; in un Paese che di questo binomio
inscindibile aveva soprattutto bisogno per conseguire
l'interesse nazionale, altro concetto nuovo da cui tutti gli
interessi particolari discendono ed in cui tutti gli interessi
particolari trovano soddisfazione. Il Fascismo trova lo Stato in
piena crisi dell'autorità che significa- come afferma Giuseppe
Capograssi nelle sue "Riflessioni sull'autorità e la sua crisi"
- "assenza dell'autorità... la società rimasta senza autorità
vive senza pensiero e lo Stato è ridotto a un accidente e quasi
materiale rapporto di forze... La crisi dell'autorità poiché è
mancanza di autorità e crisi di coscienza è dunque crisi di
libertà".2
In queste nuove 6 Tesi, a noi
interessa più semplicemente riscontrare, esaminando aspetti
essenziali della vita in regime fascista, come sussistano vaste
aree di libertà, a riprova che il regime non solo non rendeva
obbligatorio il consenso come qualcuno sostiene, ma ammetteva, o
tollerava, il dissenso proprio nei settori più delicati e più
idonei a influenzare l'opinione pubblica.
In primo luogo spicca la libertà
nell'insegnamento universitario, quello, cioè, che forma la
classe dirigente, le professionalità e la stessa classe
politica. E si dovrà proprio a questa rispettata libertà se il
dissenso potrà assumere le forme aperte dell'antifascismo che
pur restò in cattedra, in parallelo allo svilapparsi di una
classe politica fascista, colta, preparata e coerente che saprà
affrontare anche il sacrificio supremo andando volontariamente
alla guerra. È noto a tutti che Concetto Marchesi, grande
latinista e grande stalinista, rimase in cattedra per tutto il
Fascismo fino agli albori della Repubblica Sociale Italiana.
E di libertà si parla in un altro
settore caratterizzante: la Magistratura. A dispetto di tutta la
propaganda di quest'ultimo cinquantennio, la toga del giudice
non è mai stata asservita al regime. Ci sono, è vero, magistrati
che ostentano la camicia nera, pochi per fede, di più per
servilismo, ma sono una minoranza, restando la stragrande
maggioranza dignitosamente indipendente, spesso sfidando lo
stesso regime senza contraccolpi.
Nel Parlamento, costituito dalla
Camera dei Deputati (solo nel gennaio del '39 trasformata in
Camera dei Fasci e delle Corporazioni) e dal Senato del Regno,
vengono invece rispettate anche le forme della democrazia, con
il voto segreto sulle leggi fino alla riforma del 1939, con ampi
dibattiti rigorosamente verbalizzati dove emerge il dissenso,
con atteggiamenti tipici dell'opposizione. L'odioso assassinio
di Matteotti ha solo l'occasione parlamentare, ma le vere cause,
di origine extraparlamentare e in parte ancora oscure, svelano
una congiura contro Mussolini e il suo governo protesi verso la
normalizzazione e impegnati nel ripudio della violenza delle
vecchie squadre per l'affermazione dello Stato e delle sue
leggi. È noto, infatti, che da quella ignobile colpa Mussolini
verrà assolto due volte: una dalla magistratura di allora, e
l'altra - ben più significativa - dalla magistratura di questa
Repubblica antifascista nella revisione del processo del 1947.
Ancor più nota e riconosciuta è l'area di libertà riscontrata
nelle riviste dei G.U.F. (Gruppi Universitari Fascisti) e nelle
cosiddette riviste "ereti-che", dove più forte si manifesta il
dissenso e si pratica la critica più dura. Le testate, molte e
arcinote, sono un vero tormento per il regime e soprattutto per
la gerarchia, tenuta sotto tiro da giovani intellettuali
fascisti che vogliono colpire per migliorare, ma anche da altri
giovani intellettuali che trovano in quei fogli la palestra per
approdare all'antifascismo. Nei G.U.F. si forma e si sviluppa
quella critica al regime fascista che è prova di libertà, e la
chiusura di alcune testate universitarie o di alcune riviste
"eretiche" non si deve a provvedimenti dell'autorità, ma al
fatto che i direttori o i titolari delle testate preferirono, di
fronte alla guerra, abbandonare la critica e andare a
combattere, con l'impegno, a vittoria conseguita, di ripulire il
fascismo dai difetti del gerarchismo, dall'acquiescenza alla
vita comoda del potere, dalla corruzione, per restituire al
movimento la fede delle origini. E la più famosa rivista
antifascista, di scontro aperto contro il regime, resta "LA
CRITICA" di Benedetto Croce che continuò ad uscire per tutto
l'arco di vita del fascismo, e che cessò spontaneamente nel 1943
a regime fascista caduto. Lo stesso cammino parallelo di
un'altra Critica, la "CRITICA FASCISTA" di Bottai, che da un
punto di vista fascista lottò tenacemente per la libertà, e per
l'apertura a tutte le voci e a tutti gli apporti. A conclusione
di queste nuove Tesi sul Fascismo si colloca quella della
libertà nella Repubblica Sociale Italiana, affermata da molti ma
costituzionalizzata da Vittorio Rolandi Ricci, il grande
giurista ligure, monarchico liberale, senatore nominato da
Giolitti, il quale, a ottantatre anni, approda alla Repubblica
di Mussolini. Il fascismo repubblicano, duramente impegnato
nella guerra e nella guerra civile, scopre pienamente il valore
eterno della libertà, colto nel suo più alto significato dal
Capograssi in sintesi indissolubile con l'autorità; mentre
Gentile, nella sua ultima opera "scritta a sollievo dell'anima",
così individua il rapporto tra i due valori: l'autorità non deve
recidere la libertà, la libertà non può pensare di fare a meno
dell'autorità.
In questo difficile equilibrio tra
autorità e libertà si sviluppa il Fascismo, non sempre trovando
la giusta misura - spesso in danno della libertà - ma sempre
ritenendone la inscindibilità in un sistema politico
costituzionale fortemente innovatore, e mai in rottura con la
democrazia, della quale contesta non il principio ma il sistema:
quel sistema costituzionale tradotto nel vecchio e ovunque
fallito "parlamentarismo".
E infine, fuori Tesi, è posta una
breve conclusione del quaderno sulla "libertà dalla paura":
perché gli Italiani, durante il ventennio fascista, non
conobbero la paura, come qualcuno goffamente si ostina a
sostenere, ma vissero una vita intensa di lavoro, di
straordinarie conquiste giuridiche e sociali, di entusiasmi, di
controllato benessere, di edificanti costumi, di progresso e di
rinverdite tradizioni, di-manifesta partecipazione alla vita
pubblica, di quasi totale adesione alla volontà di un Capo che
trasformava la Penisola in un febbrile cantiere di opere della
civiltà, e che trasmetteva l'orgoglio dell'italianità ritrovata.
E di un altro immenso bene godettero
gli Italiani: quello della sicurezza e dell'ordine, tanto
desiderato e invocato dopo il caos violento dell'Italia
prefascista.
"Libertà dalla paura", dunque, come
primo segno e fondamento di tutte le libertà.
1 Vedi telegramma di Mussolini in
Circolare dell'Istituto nazionale fascista infortuni sul lavoro,
23 maggio 1941-XIX, n° 48/41 (2190/C.G), "orario di ufficio": "È
ormai diventato un sistema quello adottato da Ufficiali e
Fun-zionari che consiste nell'avviarsi all'ufficio alle 8 il che
significa essere al tavolo di lavoro non prima delle 8 et 15 e
forse più tardi alt Esigo che questa deplorevole abitudine
tipica manifestazione di quel pressapochismo deleteria tara del
carattere di troppi italiani abbia immediatamente a cessare alt
Alle 8 chi non è già al suo tavolo di lavoro ha perduto la
giornata con le relative conseguenze alt Farò controllare quanto
sopra alt - MUSSOLINI".
2 Capograssi pubblica il Saggio
sullo Stato nel 1918; le Riflessioni sull'autorità e la
sua crisi nel 1921; La nuova democrazia diretta nel
1922. Le Riflessioni sono ripubblicate da Giuffrè nel
1977, e nella Presentazione a cura di Mario D'Addio si legge:
"Stato, Autorità, democrazia: Capograssi si impegnò nello studio
dei problemi centrali della vita politica in un periodo come
quello immediatamente susseguente alla fine della prima guerra
mondiale, in cui il tradizionale ordine politico, sconvolto dal
conflitto, sembrava aver perduto il suo centro di stabilità e di
equilibrio". Le Riflessioni furono scritte "quando nella
situazione politica italiana maturava la crisi profonda dello
Stato liberale che, posto improvvisamente dinanzi ai grandi
problemi economici e sociali della democrazia di massa, alle
esigenze di profondo rinnovamento fatte valere proprio da quelle
masse popolari che avevano sostenuto il sacrificio della guerra
e che sulla base del suffragio universale reclamavano una più
diretta partecipazione al governo della cosa pubblica, vedeva
negata da più parti la sua stessa esistenza, misconosciuta la
sua ragion d'essere. Ma la forza speculativa dell'autore, la
capacità di saper vivere la situazione politica al livello dei
grandi problemi della filosofia moderna e contemporanea, di
saper parlare di politica in una prospettiva teoretica senza
perdere il contatto con le concrete esigenze del momento
politico, ne fanno uno degli scritti più originali e più
penetranti sul complesso e delicato problema dell'autorità".
FONTE:
http://www.thule-italia.com/
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