GIUSEPPE SPINELLI
L'OPERAIO CREMONESE
DIVENTATO MINISTRO DEL LAVORO
E’in uso ribadire – da73 anni ad oggi – che la genesi e lo sviluppo della Repubblica
Sociale Italiana si perfezionano quale rivolta spontanea d’una élite di
combattenti e di cittadini agli avvenimenti politico-militari che
nell’estate 1943 travolsero la nostra Nazione e, sui quali, Benito
Mussolini attestò con il documento "Storia di un anno" (edito l’anno
successivo da Mondatori e diffuso dal "Corriere della Sera")
l’esemplificazione del "tempo del bastone e della carota" in cui il
malcostume dell’inganno e del tradimento assursero a foggia d’utile
compromesso, ma in realtà la RSI fu molto di più, specie nell’ambito
d’innovazioni nella civiltà del lavoro, tant’è vero che il 14 ottobre
1944 – in una dichiarazione ai volontari della Brigata Nera "Aldo
Resega" di Milano – confermò che l’intera Legislazione sulla
socializzazione dell’economia produttiva "altro non è, se non la
realizzazione italiana, romana, nostra effettuabile del socialismo; dico
nostra in quanto fa del lavoro il soggetto unico dell’economia, ma
respinge la livellazione di tutto e di tutti; livellazioni inesistenti
nella natura e impossibili nella storia".
A tali innovazioni legislative aveva
dato il proprio contributo l’intero governo della RSI e, con maggiore
incisività, il ministero dell’Economia Corporativa che ebbe in Angelo
Tarchi e in Manlio Sargenti i cesellatori delle premesse fondamentali
nella creazione della nuova struttura per l’economia italiana,
esattamente il DL del 12.2.1944 n. 375 sulla socializzazione delle
imprese (quelle di proprietà privata con un milione di capitale e con
almeno cento lavoratori, nonché delle altre appartenenti allo Stato,
alle Provincie, ai Comuni e ogni altra azienda a carattere pubblico) e
quello successivo n. 382 del 24 giugno, indispensabile per la sua
realizzazione, ma i metodi d’applicazione (aggiornamento degli statuti
delle aziende, la loro revisione, la seguente approvazione ecc.) si
manifestarono alquanto lenti, dimodoché l’attuazione complessiva della
riforma richiese un’accelerazione che Mussolini, Pavolini e gli altri
esponenti del Partito Fascista Repubblicano impresso con il DL del 19
gennaio 1945 n. 15 che istituì il Ministero del Lavoro, mentre quello
dell’Economia Corporativa divenne il dicastero della Produzione
Industriale.
Alla conduzione del gabinetto del
Lavoro venne incaricato l’operaio cremonese Giuseppe Spinelli, già
linotipysta d’una azienda tipografica e che nell’autunno 1943 aveva
assunto la segreteria provinciale del Sindacato lavoratori
dell’industria meneghina e del suo "hinterland", poi il 17.09.1944 – per
le sue capacità di risolutore delle esigenze emergenti in ogni settore –
il capo della RSI lo designò all’improbo compito di podestà di Milano,
di quella metropoli lombarda che nella Repubblica Sociale svolse un
ruolo di primordine nell’azione politica del PFR e nelle iniziative
della cultura e nel perfezionamento delle attività produttive.
In riflesso del nuovo incarico, G.
Spinelli insediò il proprio dicastero in un antico palazzo milanese di
Corso Venezia e constatò come, sino a quel momento, in ogni azienda in
cui venne intrapresa l’applicazione della socializzazione erano stati
approntati decreti ministeriali ognuno diverso dall’altro, come avvenne –
per esempio – per l’impresa edilizia Cesare Margini, in quella Graniti
d’Italia s.p.a., nelle industrie Grafiche Italiane Stucchi, nelle
officine meccaniche Enrico Battagion, nelle S.A. Off. Mecc. Della
Stanga, nella FIAT torinese, nella Soc. Anonima Editrice Milanese,
nell’Alfa Romeo, alla Soc. in accomandita Turati Lombardi & C.,
nelle Industrie Grafiche Nicola Moneta ed altre, con nuovi statuti
(quelli richiesti dal DL del 12.2.1944 n.375) che dovevano essere
pubblicati – dopo l’approvazione da parte delle maestranze – sulla
"Gazzetta Ufficiale d’Italia", sostitutiva nella RSI della precedente
G.U. del Regno.
Altresì, furono socializzate anche le
imprese editrici e giornalistiche Mondatori, Hoepli, Rizzoli, Garzanti,
Vallardi, Bompiani, Meschina, Signorelli, Ricordi, Carroccio, Corriere
della Sera, La Stampa, Il Lavoro, Cremona Nova e l’EIAR (Ente delle
Audizioni Radiofoniche).
In totale, in base al consuntivo del
gennaio 1945, erano state socializzate settantasei imprese con
centoventinovemila dipendenti e per l’importo di 4.119.000.000 lire di
capitale, una cifra davvero enorme in quel tempo, essendo stato difeso
con energia vittoriosa da Domenico Pellegrini Giampietro (ministro delle
Finanze, Scambi e Valute nel governo della RSI) il valore della moneta
italiana.
Su ciò fornisce un’ampia
documentazione il dott. Sergio Pisciotta nell’opera "La rivoluzione
nella rivoluzione" (ediz. Settimo Sigillo, 1997), lo studioso che nel
1996 ha conseguito il "premio di laurea" bandito dall’Istituto Storico
della RSI e che, nella cronistoria della dottrina sociale del Fascismo e
sul nuovo ordinamento produttivo da noi illustrato, evidenzia la
missione compiuta con decisione e con tenacia da Giuseppe Spinelli nel
suo compito di ministro del Lavoro e quando sulla Repubblica Sociale
incombeva la catastrofe del 25 aprile e si poteva prefiggere la tragica
conclusione del 2° conflitto mondiale in Europa, nella valle padana e in
tutto il suo territorio.
Infatti, Spinelli si rese conto che
la socializzazione delle imprese doveva realizzarsi mediante un solo
decreto legislativo e valido per un intero settore produttivo, anziché
per ogni singola azienda, e iniziò a farlo nell’ambito industriale dove i
capitalisti (come denunciò Ugo Manunta nel volume "La caduta degli dei,
storia intima della RSI", pubblicato nel 1947 dall’Azien, Edit.
Italiana, Roma) tentarono la fuga dei loro beni finanziari, temendo di
rimanere penalizzati nella remunerazione degli investimenti effettuati
in precedenza.
Però,
avendo predisposto il governo della RSI la socializzazione dell’intero
sistema economico nazionale (e in primis – come specifica Pisciotta – il
credito che regolava il flusso dei capitali) nessuna assemblea
aziendale composta in parti uguali da azionisti (i vecchi proprietari) e
dai produttori (i lavoratori) avrebbe riconosciuto ai finanziatori la
facoltà di trasferire a capitale le ingenti riserve palesi e occulte
accumulate in base ai dividendi contenuti dalle leggi fasciste al più
basso livello possibile e, tantomeno, la differenza intercorrente tra il
patrimonio azionario e il valore reale degli impianti esistenti. In
ciò, e lo si rileva nel testo "I seicento giorni di Mussolini" (ediz.
Faro, 1948), vengono specificate da Ermanno Amicucci e le "mine sociali"
della RSI che tutte le categorie produttrici avrebbero dovuto
strenuamente difendere quale diritto acquisito dopo la conclusione del
conflitto militare e l’invasione d’Italia da parte del nemico allora
bloccato sulla "linea Gotica", norme legittime che – invece – dopo il 25
aprile vennero abrogate dalle oligarchie finanziarie e dai marxisti
(soprattutto per imposizione violenta dei comunisti) e che,
assurdamente, in proposito, ottennero l’approvazione dei principali
danneggiati (gli stessi lavoratori) che acclamarono quest’annullamento
come una conquista della "liberazione".
Non si deve altresì dimenticare che,
per potenziare lo sviluppo della socializzazione, con il DL del
12.2.1944 n. 269 la RSI creò l’Istituto di Gestione e Finanziamento –
curato dall’IRI e finanziato dall’IMI – il quale disciplinò la
sponsorizzazione delle imprese e il controllo sui rappresentanti dei
consigli d’amministrazione sia pubblici che privati, provvedimento che
G. Spinelli ed i suoi collaboratori considerarono nel potenziamento
dell’ordinamento di tutela dei produttori mediante la strutturazione di
un sindacato operante come se l’economia fosse già totalmente
socializzata. Quindi, scomparve la figura del capitalista e subentrò
quella del capo dell’impresa, cioè l’animatore o il tecnico
dell’azienda, lavoratore anche lui e pertanto socio del nuovo sindacato
destinato a diventare il pilastro dello Stato del Lavoro, mentre
l’organizzazione sindacale è costituita dalla Confederazione Unica, non
burocratizzabile, bensì epicentro d’incontro per tutti i produttori,
fulcro d’elevazione professionale, culturale e materiale. Tale nuova
realizzazione programmò anche la costruzione delle case d’abitazione per
i lavoratori quale loro proprietà (Roberto Bonini, "La socializzazione
delle imprese nella RSI", Ediz. Giappichelli, 1993 – pag. 240) e
l’istituzione d’un comitato permanente in merito.
Quest’evoluzione straordinaria
dell’ordinamento che la RSI e il suo ministero del Lavoro
intensificarono con G. Spinelli quale "rivoluzione nella rivoluzione"
(cosi bene sintetizzata da Sergio Pisciotta) provocarono notevoli
preoccupazioni al RUK (il ministero tedesco della produzione bellica)
rappresentato in Italia dal gen. Hans Leyers, ma non scompose
l’operaio-ministro nello svolgimento della sua missione e che affrontò
con fermezza l’ovattata opposizione degli industriali e di quanti
intrallazzavano con la Wehrmacht, con l’organizzazione Todt e nei
salotti della borghesia imboscata in attesa della conclusione del
conflitto e dove anche i benpensanti del CLN Alta Italia (finanziati da
G. Falck, dai fratelli Crespi, da Alberto e Piero Pirelli, da R.
Lepetit, P. Ferrario ecc.) elaboravano i compromessi politici inerenti
la "guerra civile" che costarono tante sofferenze tra i cittadini,
vittime di questa diplomazia.
D’altronde, la reazione dei grandi
capitalisti alla realizzazione innovatrice della socializzazione nelle
fabbriche e nelle imprese non distaccò Spinelli e tutti i suoi
collaboratori da tale evoluzione civile che – tra l’altro – venne
esaltata anche da Paul Gentizon nella sua prefazione in lingua francese
dell’Histoire d’une année (op. cit.) indicandola quale via maestra del
progresso – la via Appia della storia – dal Mediterraneo verso un futuro
costruttivo e positivo per il mondo intero.
Accentuò la resistenza dei
capitalisti, a quanto andava concretizzando la RSI nei settori
produttivi, il programma di socializzazione totale intrapreso da G.
Spinelli agli inizi del 1945, quindi ancor prima degli esiti definitivi
della guerra in corso e – come segnala S. Pisciotta nell’opera citata,
pag. 62 – quando i "grossi calibri" della finanza adoperano qualsiasi
mezzo affinché si fermasse l’ingranaggio socializzatore e si desse
all’ortica la riforma, mentre in Corso Venezia a Milano si vedevano
salire e scendere dal Ministero del Lavoro sciami di insigni
rappresentanti dell’industria nazionale, come se fosse una stazione di
locomotive.
In riferimento a tali fatti e al
sabotaggio orchestrato dall’alta finanza e dal partito comunista negli
stabilimenti industriali dell’intera valle padana, per impedire
l’adesione delle varie categorie produttrici al piano d’applicazione
dell’ordinamento socializzatore delle imprese, è doveroso rammentare che
fu il Capo della RSI ("Testamento politico di Mussolini, 22 aprile
1945", ediz. Tosi – 1948 – pag. 32) a precisare: "Il colmo è che i
nostri nemici hanno ottenuti che i proletari, i poveri, i bisognosi di
tutti, si schierassero anima e corpo dalla parte dei plutocratici, degli
affamatori, del grande capitalismo". In precedenza, il 3 aprile 1945,
si svolse anche l’ultimo direttorio del PFR e, ad esso, G. Spinelli
partecipò precisando che lo sviluppo del sistema rivoluzionario della
socializzazione nell’economia e la costituzione della Confederazione
Unica nell’ambito sindacale inserivano la RSI tra gli Stati più avanzati
nell’adempimento della Civiltà del Lavoro. Si deve in conclusione
asserire che quel ministro operaio di Cremona seppe svolgere nella
Repubblica Sociale l’attuazione d’un diagramma di progresso civile.
Bruno De Padova
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