Quei filmati di Al Qaeda? Li faceva il Pentagono
di Marcello Foa - 05/10/2016Fonte: Marcello Foa
I video di Al Qaeda? Così
falsi da sembrare veri e commissionati non da Bin Laden, ma dal
Pentagono, per il tramite dell'agenzia di PR britannica Bell Pottinger
che per almeno cinque anni ha lavorato in Iraq su mandato del
Dipartimento della difesa americano ottenendo un compenso di oltre 100
milioni di dollari all'anno. Totale: 540 milioni di dollari, una cifra
esorbitante.
Sì, sì, avete letto bene: certi filmati di Al Qaeda erano "made in USA". A rivelarlo è il Bureau of Investigative Journalism in un'ottima inchiesta appena pubblicata sul web, incentrata sulla testimonianza di un video editor, Martin Wells, che quei filmati li ha fatti in prima persona, e riscontri nei documenti ufficiali.
Sì, sì, avete letto bene: certi filmati di Al Qaeda erano "made in USA". A rivelarlo è il Bureau of Investigative Journalism in un'ottima inchiesta appena pubblicata sul web, incentrata sulla testimonianza di un video editor, Martin Wells, che quei filmati li ha fatti in prima persona, e riscontri nei documenti ufficiali.
La storia è intrigante, quasi da
film. Siamo a Londra. Wells, un video operatore free lance, nel maggio
del 2006 viene contattato con la prospettiva di un contratto in Medio
Oriente e al primo colloquio si accorge che il committente è molto
particolare. Non è la solita società di produzione ma l'ambiente in cui
viene accolto è militare; anzi di intelligence militare. Viene scortato
da guardie armate all'ultimo piano di un palazzo. Il colloquio è breve e
gli comunicano subito l'assunzione perché hanno fatto delle verifiche
sul suo conto e lo hanno trovato «pulito». Tempo 48 ore e si trova a
Baghdad in una base ultraprotetta, una centrale dove vengono pianificate
operazioni di guerra psicologica, in gergo le psyops, alcune delle
quali tradizionali. "Dovevamo produrre filmati "bianchi" ovvero nei
quali la fonte era dichiarata, tendenzialmente si trattava di spot
contro Al Qaeda", spiega Wells.
Ma altre erano decisamente meno
trasparenti. "La seconda tipologia era 'grigia': finti servizi
giornalistici che poi venivano mandati alle Tv arabe". E poi c'era
quella "nera" in cui la paternità dei video era "falsamente attribuita".
Insomma false flag, che Wells spiega così: "Producevamo finti filmati
di propaganda di Al Qaeda, secondo regole e tecniche precise; dovevano
durare dieci minuti ed essere registrati su dei CD, che poi i marines
lasciavano sul posto durante i loro raid, ad esempio durante
un'incursione nelle case di persone sospettate di terrorismo.
L'obiettivo era di disseminare questi video in più località,
possibilmente lontani dal teatro di guerra perché scoprire filmati di
quel genere in località insospettabili avrebbe aumentato il clamore e
l'interesse mediatico". Dunque non solo a Baghdad, ma anche "in Iran, in
Siria (prima della guerra) e persino negli Stati Uniti".
Capito? Certi angoscianti scoop che
rimbalzavano sul web o in Tv in realtà erano fabbricati a tavolino da
una società di PR britannica all'interno di una base statunitense in
Iraq. E vien da sorridere pensando che poi erano la CIA o la Casa Bianca
a certificarne l'autenticità.
Wells conferma modalità che gli esperti di spin conoscono bene. Il mandato viene affidato da un governo a società di consulenza esterne per aggirare la legge, evitare il controllo di commissioni parlamentari e proteggere le istituzioni nell'eventualità che queste operazioni vengano scoperte e denunciate dalla stampa, cosa che peraltro non accade quasi mai. I fatti svelati dal Bureau of Investigative Journalism infatti risalgono al periodo 2006-2011; nel frattempo la Bell Pottinger è passata di mano e le truppe americane si sono ufficialmente ritirate dall'Iraq. Lo scoop è sensazionale ma difficilmente assumerà rilevanza internazionale perché riguarda un passato lontano e infatti la maggior parte dei grandi media lo ha ignorato.
Wells conferma modalità che gli esperti di spin conoscono bene. Il mandato viene affidato da un governo a società di consulenza esterne per aggirare la legge, evitare il controllo di commissioni parlamentari e proteggere le istituzioni nell'eventualità che queste operazioni vengano scoperte e denunciate dalla stampa, cosa che peraltro non accade quasi mai. I fatti svelati dal Bureau of Investigative Journalism infatti risalgono al periodo 2006-2011; nel frattempo la Bell Pottinger è passata di mano e le truppe americane si sono ufficialmente ritirate dall'Iraq. Lo scoop è sensazionale ma difficilmente assumerà rilevanza internazionale perché riguarda un passato lontano e infatti la maggior parte dei grandi media lo ha ignorato.
Intendiamoci. Il fatto che in un
contesto di guerra, seppur particolare come quella al terrorismo, si
possano concepire operazioni di questo tipo non sorprende. Lo insegnano,
da secoli, Sun Tzu e Machiavelli. Il problema è che di solito sono
limitate al teatro di guerra, mentre negli ultimi anni hanno assunto una
valenza globale. Quella propaganda non è rivolta solo agli iracheni e
agli attivisti di Al Qaeda ma anche ai cittadini del resto del mondo,
persino agli americani nonostante la legge statunitense lo vieti
espressamente. Ed è diventata sistematica. Sappiamo che la guerra in
Iraq è stata proclamata su accuse inventate a tavolino. Sappiamo che i
report sull'andamento della lotta ai telabani in Afghanistan sono stati
falsificati per anni ingigantendo i successi dell'esercito americano,
sappiamo delle manipolazioni mediatiche di alcuni drammatici episodi del
conflitto in Siria e sappiamo anche che alcuni filmati dell'ISIS sono
stati postprodotti e manipolati, in certi casi anche con risvolti
comici, come quello in cui i terroristi scorrazzano per il deserto
iracheno su un pick-up con le insegne di un idraulico del Texas.
La frequenza e l'opacità di questi episodi pone un problema di fondo, molto serio: quello dell'uso e soprattutto dell'abuso delle tecniche di psyops, che non può diventare un metodo implicito di governo attraverso il condizionamento subliminale ed emotivo delle masse. Non nelle nostre democrazie.
La frequenza e l'opacità di questi episodi pone un problema di fondo, molto serio: quello dell'uso e soprattutto dell'abuso delle tecniche di psyops, che non può diventare un metodo implicito di governo attraverso il condizionamento subliminale ed emotivo delle masse. Non nelle nostre democrazie.
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